Cosa rischiano le banche italiane se First Republic Bank fallisce

Luna Luciano

30 Aprile 2023 - 10:38

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First Republic Bank è sull’orlo del fallimento e si teme non sarà possibile salvarla, ma che effetto avrà l’ennesimo fallimento di una banca statunitense sulle banche italiane? Quali sono i rischi?

Cosa rischiano le banche italiane se First Republic Bank fallisce

L’Italia e le banche italiane temono il cosiddetto “effetto farfalla” con il crollo di First Republic Bank (Frb), una piccola banca statunitense rispetto ai colossi di Wall Street, che nelle ultime 24 ore ha registrato un crollo delle azioni e ingenti perdite di denaro.

La teoria del caos - trasportata in ambito economico - secondo la quale basterebbe un “battito d’ali di una farfalla”, ossia il fallimento di una piccola banca statunitense, per “scatenare un uragano dall’altra parte del mondo”, e quindi far crollare banche dall’altra parte dell’atlantico, preoccupa non poco gli esperti, che hanno già dichiarato impossibile il salvataggio di Frb.

Questo è l’ennesimo fallimento repentino di una banca, aggiungendosi alla lista dopo Silicon Valley e Signature, dovuto all’attuale condizione economica e finanziaria americana. In pochissimi giorni, dopo una settimana in cui le azioni hanno chiuso al minimo, l’istituto ha segnalato una perdita di 100 miliardi di dollari nei depositi dei clienti.

Il timore degli esperti è che questa nuova chiusura possa avere gravi ripercussioni in Italia, dato che l’istituto risulta essere la quarta banca a livello nazionale per attivo. Davanti a una simile situazione è opportuno conoscere quali sono le cause della crisi e quali possono essere i rischi per gli investitori italiani.

First Republic Bank rischia il fallimento: cosa sta accadendo alla quarta banca in Italia e le cause

I media statunitensi danno ormai per fallita la First Republic Bank, dichiarando impossibile un salvataggio tempestivo che possa mettere a riparo l’istituto da un’imminente chiusura. Senza contare la fuga dei depositanti che rende problematico finanziare gli impieghi.

Pur essendo una piccola banca rispetto ai colossi di Wall Street, stando ai dati di fine marzo, Frb avrebbe avuto impieghi per 173 miliardi di dollari (circa 155 miliardi di euro), e 104 miliardi in depositi, di cui 30 erano però frutto di un prestito elargito il mese precedente da altre banche statunitensi, perciò tanto piccola non è, specialmente in Italia, dove risulta essere la quarta banca nazionale per attivo. Per tale motivo, il suo imminente fallimento potrebbe quindi avere ripercussioni in Italia. Infatti, dalla crisi del 2008, è ormai chiaro come il mondo bancario sia inestricabilmente intrecciato.

Come spiegato da Repubblica, tra le cause di questi fallimenti concatenati troviamo l’abitudine delle banche a erogare prestiti in gruppo. Non solo. Numerose attività vedono il continuo trasferimento dei rischi su investitori terzi, tra cui altre banche. Ecco, quindi, che quando una banca crolla i concorrenti invece che gioirne e trarne vantaggio ne soffrono. Uno dei fattori che sicuramente ha giocato un ruolo essenziale all’interno della crisi di liquidità che a inizio marzo ha travolto Silicon Valley Bank, Signature Bank e Silvergate negli Stati Uniti: i social media.

Dopo il Covid, numerosi utenti sono diventati “clienti digitali”. Non è un caso che pochi giorni a ridosso del crac finanziario di Svb di inizio marzo, la piattaforma LunarCrush abbia rilevato un aumento delle citazioni sui social della banca della Svb aumentate “del 78.102,5%, con un +51.000% di contributi social e un 252.194,8% di «engagement»”. Segno evidente della fuga dei clienti.

Cosa rischiano le banche italiane se First Republic Bank fallisce

Davanti alla serie di fallimenti bancari negli Stati Uniti è naturale domandarsi se questi possano avere ripercussioni in Italia, dall’altro però gli esperti invitano alla calma e a non cedere al panico.

Guardando alle realtà commerciali europee. Se sono stati registrati degli sbandamenti in Borsa, l’indice Ftse Italia Banche ha quasi recuperato tutti i ribassi segnati tra l’8 e il 24 marzo. Non solo.

Se è vero che le crisi bancarie di marzo, negli Stati Uniti e in Svizzera, hanno tutte come innesco la carenza di liquidità seguita al ritiro dei depositi, bisogna tener conto che nell’eurozona lo scenario della “raccolta bancaria è più favorevole, e stabile, che altrove”.

Infatti, come spiegato in un approfondimento su Repubblica, la raccolta deriva, per due terzi, dai piccoli depositi delle famiglie che affidano cifre sotto i 100 mila euro, il limite entro cui, in caso di fallimento, “scatta la garanzia dei fondi di tutela nazionali”. Se durante l’apertura alla crisi economica di marzo, Svb aveva il 94% dei depositi non garantiti, le banche europee nello stesso periodo avevano 3 mila miliardi di euro di liquidità sopra i minimi di vigilanza, circa 12 mila miliardi di depositi e 1.000 miliardi di bond sovrani liquidabili senza minusvalenze.

È per tale motivo che gli analisti rassicurano gli investitori sull’assenza di un rischi di contagio”. Basti pensare che in Italia, poi, i depositi hanno una vischiosità - ossia la resistenza dei prezzi a crescere e diminuire in caso di variazioni della domanda e dell’offerta, che dell’aumentare o diminuire dei mezzi di pagamento in circolazione - tra le più alte.

A marzo l’Abi (Associazione bancaria italiana) ha censito 1.783 miliardi di euro di depositi, 15 in meno rispetto a gennaio, che corrisponde solo allo 0,8% di “fuga” nel trimestre, e secondo Barclays quei soldi sono confluiti nei 10 miliardi di Btp sottoscritti dai risparmiatori italiani nel 2023. Infine, come ricorda Repubblica, non bisogna poi molto stupirsi, dato che:

il decennale del Tesoro rende oltre il 4%, mentre a marzo il tasso medio pagato dalle banche Abi ai depositanti era lo 0,26%, con tasso medio sui prestiti ormai al 3,81%, dopo un anno di rialzi dei tassi Bce. Che tuttavia in Italia sono stati trasferiti ai depositanti solo per l’11% del totale.

Stando a questi dati sembrerebbe, quindi, che gli investitori e risparmiatori in Italia possano dormire sonni tranquilli, nessun effetto farfalla sembra possa smuovere il sistema bancario italiano.

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