Sempre più imprese scelgono il concordato preventivo per evitare la liquidazione giudiziale. Ecco come funziona, tra vantaggi, rischi e nuove regole del Codice della crisi.
Un’azienda può evitare la liquidazione giudiziale, il nuovo nome del fallimento, chiedendo l’accesso al concordato preventivo. Una procedura regolata dal Codice della crisi, che consente di ristrutturare il debito e offrire ai creditori un risultato almeno pari a quello della liquidazione. Molte PMI strette tra caro-finanza e calo dei consumi stanno optando per questa soluzione alternativa al fallimento.
Il termine “concordato preventivo” rischia però di generare confusione: non ha nulla a che vedere con il concordato preventivo biennale fiscale, introdotto di recente per stabilire in anticipo il reddito imponibile. Qui siamo nel diritto della crisi d’impresa. Vediamolo nel dettaglio.
Che cos’è il concordato preventivo e chi può usarlo
Il concordato preventivo è un procedimento concorsuale disciplinato dall’art. 84 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. n. 14/2019):
“Il concordato preventivo consente a un’impresa in crisi o insolvenza di proporre ai creditori un piano di soddisfacimento che può essere in continuità aziendale o di tipo liquidatorio”
In ogni caso, la proposta deve garantire ai creditori un risultato non inferiore a quello che otterrebbero con la liquidazione giudiziale, che ha sostituito il fallimento.
Nel caso del concordato preventivo l’impresa conserva un margine di gestione e prova a mantenersi in vita, mentre nel caso della liquidazione giudiziale si chiude l’attività e si procede alla vendita coatta degli asset.
Non tutte le imprese possono accedere. Il concordato preventivo è riservato agli imprenditori commerciali assoggettabili a liquidazione giudiziale, quindi a chi supera determinate soglie dimensionali. Chi non le raggiunge rientra nella categoria delle imprese minori (attivo annuo non superiore a 300.000 euro, ricavi non oltre 200.000 euro e debiti entro i 500.000 euro negli ultimi tre esercizi). In questi casi la procedura disponibile è il concordato minore previsto nella disciplina del sovraindebitamento, con regole più semplici ma finalità analoghe.
Perché conviene aderire al concordato preventivo?
Un imprenditore può considerare il concordato preventivo quando la crisi appare gestibile e reversibile, cioè quando esiste la prospettiva di convincere i creditori che il piano offra un vantaggio superiore rispetto alla liquidazione giudiziale. In altre situazioni, quando l’insolvenza è conclamata, il concordato serve a costruire un percorso ordinato per evitare la liquidazione.
Avvio della procedura con riserva, documenti e misure protettive
L’accesso al concordato preventivo può avvenire anche con la domanda con riserva art. 44 CCII. In questa ipotesi l’imprenditore non deposita subito un piano completo, ma presenta i bilanci degli ultimi tre esercizi, l’elenco nominativo dei creditori e dei debitori e una prima documentazione contabile. Il tribunale assegna un termine compreso tra 30 e 60 giorni per depositare la proposta e il piano prorogabile per altri 60 giorni solo in presenza di giustificati motivi e se non è già pendente una domanda di liquidazione giudiziale.
Durante questa finestra temporale l’impresa rimane “protetta” e può lavorare all’elaborazione della proposta con l’ausilio dell’attestatore indipendente. Non si tratta però di un periodo “vuoto”: il tribunale può imporre obblighi informativi periodici e il versamento di somme destinate a coprire le spese della procedura.
Presentata la domanda, viene effettuata l’iscrizione al Registro delle imprese e la comunicazione ai creditori. Da quel momento l’impresa entra in una fase di spossessamento attenuato.
“L’imprenditore non è più del tutto libero di agire, ma non è neppure privato del controllo come in liquidazione.”
In concreto, conserva i poteri di ordinaria amministrazione, mentre gli atti di straordinaria amministrazione devono essere autorizzati dal tribunale, sia prima sia dopo il decreto di apertura del concordato (artt. 46 e 94 CCII). Questo regime serve a garantire la tutela dei creditori ed evitare manovre distrattive sul patrimonio.
In questa fase, possono essere chieste misure protettive ex art. 54 CCII:
“Le misure protettive prevedono la sospensione delle azioni esecutive e cautelari individuali: pignoramenti, sequestri o vendite forzate vengono congelati, impedendo che i creditori agiscano in via solitaria.”
Tali misure sono concesse dal tribunale , che ne definisce contenuto e durata dopo aver sentito le parti. Ad esempio, un’impresa che rischia il pignoramento dei conti correnti può chiedere la misura protettiva per bloccare l’azione della banca e poter presentare un piano di continuità.
Per accedere al concordato oltre ai bilanci e all’elenco dei creditori, occorre predisporre uno stato analitico ed estimativo delle attività, l’indicazione dei rapporti giuridici pendenti, la situazione patrimoniale aggiornata, le proiezioni finanziarie e soprattutto la relazione dell’attestatore indipendente, che certifica la veridicità dei dati e la fattibilità del piano.
A cosa serve la domanda con riserva?
L’avvio del concordato preventivo con riserva serve a “congelare” la situazione per qualche mese, evitando che l’impresa venga travolta delle azioni esecutive mentre prepara il piano. È utile quando l’imprenditore ha bisogno di tempo per negoziare con le banche o predisporre un piano di continuità.
Dal piano al voto fino all’omologa
Il fulcro del concordato preventivo è il piano, che deve contenere elementi minimi stabiliti dalla legge ed è il documento con cui l’imprenditore convince i creditori e il tribunale della possibilità di evitare la liquidazione giudiziale.
Cosa deve contenere il piano?
L’art. 87 CCII richiede che il piano indichi le cause della crisi o dell’insolvenza, le strategie di superamento, i tempi di esecuzione, il valore di liquidazione come parametro di confronto e se previsto, l’individuazione di un assuntore, cioè un soggetto che si impegna a eseguirlo o ad acquisire parte dell’attivo.
La proposta può assumere due forme:
- il concordato in continuità aziendale, diretta (l’impresa prosegue in capo al debitore) o indiretta (gestione affidata a un terzo o tramite affitto d’azienda già stipulato in funzione del ricorso);
- il concordato liquidatorio, che mira alla vendita ordinata dei beni.
Per il liquidatorio, l’art. 84, co. 4, CCII richiede due condizioni precise:
“Un apporto esterno che incrementi almeno del 10 % l’attivo disponibile e il pagamento minimo del 20% dei crediti chirografari. Senza queste soglie la proposta non è ammissibile.”
Concordato preventivo: come trattare i debiti fiscali e contributivi?
Un passaggio delicato riguarda i crediti verso l’Erario e gli enti previdenziali. L’art. 88 CCII disciplina la transazione fiscale e previdenziale, che consente di prevedere falcidie o dilazioni, ma solo se un professionista indipendente certifica che i creditori pubblici ricevono un trattamento non peggiore rispetto alla liquidazione. Gli enti hanno 90 giorni per esprimersi, se non aderiscono, il tribunale può comunque imporre l’omologa, applicando il meccanismo del cram-down fiscale previsto dal correttivo. In questo modo si evita che un singolo diniego blocchi l’intera procedura.
Classi e voto dei creditori
Il piano deve suddividere i creditori in classi omogenee in base alla natura dei crediti e agli interessi coinvolti. I privilegiati, i pignoratizi e gli ipotecari non votano se è previsto il pagamento integrale in denaro entro termini certi: 180 giorni dall’omologa (30 giorni per i crediti di lavoro). Negli altri casi partecipano al voto insieme agli altri.
L’art. 109 CCII prevede regole diverse:
- in generale, la proposta è approvata se ottiene la maggioranza dei crediti ammessi al voto e, in presenza di classi, la maggioranza deve verificarsi anche nel maggior numero delle classi;
- se un creditore detiene oltre il 50% dei crediti, serve anche la maggioranza per teste;
- nei piani in continuità, è richiesta l’unanimità delle classi, salvo che intervenga il cram-down ex art. 112.
Il giudizio di omologa del tribunale
L’ultima fase è l’omologa ex art. 112 CCII. Il tribunale non si limita a un controllo formale: verifica la regolarità della procedura, la corretta formazione delle classi, il rispetto della parità di trattamento e la convenienza economica rispetto alla liquidazione giudiziale.
Quando una o più classi votano contro, il giudice può imporre comunque l’omologa applicando il meccanismo del cross-class cram-down. Ciò avviene se sono rispettati precisi presupposti:
- il best interest test, ossia che i creditori dissenzienti non ricevano meno di quanto avrebbero ottenuto in liquidazione;
- la parità di trattamento tra classi di pari rango;
- il rispetto della graduazione dei crediti sul valore di liquidazione;
- l’applicazione della relative priority rule per l’eventuale surplus;
- il voto favorevole di almeno una classe interessata.
Il cram-down permette di superare il dissenso di una parte, ma solo se il piano è sostenibile e non sacrifica in modo illegittimo i creditori contrari.
Vantaggi, rischi e motivi di rigetto
Come visto, per l’imprenditore, il concordato preventivo offre benefici immediati e concreti. Il primo è la sospensione delle azioni esecutive e cautelari individuali: i creditori non possono procedere con pignoramenti o sequestri, dando respiro alla gestione. In più, il concordato consente di mantenere in vita l’impresa, preservando rapporti commerciali e posti di lavoro. A ciò si aggiunge la possibilità di governare la crisi dall’interno, pur sotto la vigilanza del tribunale. Anche i tempi risultano più prevedibili.
Dal punto di vista dei creditori i vantaggi non sono minori. L’apertura del concordato garantisce controllo informativo strutturato: il commissario giudiziale vigila sull’operato dell’imprenditore e relaziona al tribunale. Inoltre, la prospettiva di soddisfacimento del credito è spesso superiore a quella di una liquidazione.
Concordato preventivo: quali sono i motivi di rigetto?
L’art.112 CCII stabilisce che:
“Il tribunale può dichiarare inammissibile la domanda se mancano i documenti richiesti o se la proposta appare manifestamente inidonea a soddisfare i creditori.”
Altri motivi di rigetto emergono quando il piano si rivela non fattibile (ad esempio per proiezioni finanziarie irrealistiche), se si violano i principi di parità di trattamento tra creditori. Un’altra causa frequente di diniego è l’assenza di convenienza rispetto alla liquidazione giudiziale, che resta il parametro di confronto.
Quando l’omologa non viene concessa, la conseguenza naturale è l’apertura della liquidazione giudiziale. L’imprenditore perde la governance, subentra il curatore e il patrimonio viene gestito secondo le regole concorsuali ordinarie.
Cosa succede in caso di concordato preventivo? Casi tipo
Il concordato preventivo è uno strumento che prende forme diverse a seconda delle condizioni dell’impresa. Vediamo come funziona nella pratica.
Una PMI che sceglie la continuità
Immaginiamo una piccola azienda manifatturiera con 50 dipendenti e un forte indebitamento verso le banche. Invece di fermarsi, l’imprenditore presenta un piano industriale realistico, con tagli ai costi e nuove linee produttive, supportato dall’attestazione di un professionista indipendente. Ai fornitori viene proposto un pagamento ridotto ma più conveniente di quello che otterrebbero in caso di liquidazione. Le banche accettano una dilazione. Il concordato in continuità in questo modo preserva posti di lavoro e mantiene in vita l’impresa.
Il concordato liquidatorio ordinato
Diversa è la situazione di una società immobiliare priva di prospettive industriali. Qui la via è il concordato liquidatorio: i beni vengono messi in vendita con procedure competitive, per ottenere prezzi migliori rispetto alla liquidazione giudiziale. La legge prevede requisiti precisi: il piano deve assicurare un apporto esterno che incrementi di almeno il 10% l’attivo disponibile e garantire il pagamento del 20% dei chirografari (art. 84, co. 4 CCII). Per i creditori, pur senza integrale soddisfazione, significa “un recupero più alto e più rapido” di quello che avrebbero ottenuto dalla liquidazione.
Il concordato semplificato post-negoziazione
L’ultima ipotesi è quella del concordato semplificato previsto dall’art. 25-sexies CCII. Si apre quando la composizione negoziata della crisi si conclude senza un accordo, ma l’esperto certifica che le trattative sono state condotte correttamente.
È uno strumento a prevalente finalità liquidatoria, con un percorso più rapido: non è previsto il voto dei creditori, ma si passa direttamente all’omologa del tribunale. Dopo il correttivo-ter è stato chiarito che l’accesso è possibile anche tramite domanda con riserva, con termini stringenti per depositare il piano (in genere entro 60 giorni dalla relazione finale dell’esperto). La dottrina e la giurisprudenza più recente discutono sulla reale utilità per le imprese minori, ma resta uno strumento che può evitare la liquidazione giudiziale immediata quando le trattative falliscono, offrendo comunque una chiusura ordinata della crisi.
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