Come combattere i paradisi fiscali e l’evasione: spunta l’aliquota minima globale

Laura Pellegrini

12 Aprile 2021 - 12:18

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Gli Stati Uniti hanno proposto l’introduzione di un’aliquota minima globale sui profitti esteri delle società: in questo modo si potrebbero recuperare i mille miliardi sottratti ogni anno al Fisco.

Come combattere i paradisi fiscali e l’evasione: spunta l’aliquota minima globale

La segretaria del Tesoro statunitense Janet Yellen ha lanciato un appello a tutti gli Stati del mondo affinché si uniscano alla proposta degli Usa di introduzione di un’aliquota minima globale sui profitti esteri delle società, indipendentemente dal Paese in cui si trovano. La nuova tassa andrebbe a colpire tutte quelle società che realizzano profitti negli Stati con un sistema di tassazione agevolato.

L’obiettivo della global tax è recuperare i mille miliardi che le società sottraggono ogni anno al Fisco, oltre a combattere la “corsa al ribasso” degli Stati per attrarre le multinazionali.

Come funziona l’aliquota minima globale: a chi si applica, perché è importante e da quando si potrebbe introdurre.

Come funziona l’aliquota minima globale

Per poter introdurre un’aliquota minima globale da applicare ai profitti esteri delle multinazionali, occorrerà trovare un compromesso tra tutti i Paesi OCSE. Infatti, mentre gli Usa premono per un’aliquota al 21%, i Paesi dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico spingono su una tassa al 12,5%. Per l’approvazione, però, serve l’unanimità.

La nuova proposta introdurrebbe una novità importante: i Paesi di origine delle società multinazionali possono applicare una tassa simile quando le affiliate prevedono un’aliquota inferiore a quella globale. Se, per esempio, Facebook versa il 12,5% a Dublino, la restante parte dovrà essere versata a Washington.

L’aliquota media per le imprese dei Paesi OCSE era del 32,2% nel 2000, mentre nel 2020 è scesa al 21,4% per effetto della “corsa al ribasso” che molti Paesi stanno adottando per attrarre gli investimenti delle società multinazionali. Andando ancora più indietro nel tempo si evidenzia un divario ancora più netto: nel 1980 l’aliquota era pari al 45%.

Paradisi fiscali: quali sono

Considerando l’aliquota proposta dagli Usa al 21%, attualmente sono almeno 13 i Paesi OCSE al di sotto della soglia: Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Polonia, Slovenia, Bulgaria, Cipro, Irlanda, Lituania, Romania, Ungheria.

Di questi, 3 hanno fissato delle aliquote particolarmente attrattive per le multinazionali: Irlanda, Cipro e Ungheria. Attualmente in Irlanda l’aliquota effettiva è del 7,3%, mentre i ricavi dichiarati ammontano a 83 miliardi di euro. L’Ungheria, invece, ha un’imposta legale sulle società del 9%, mentre la Bulgaria la applica al 10%.

L’Irlanda è uno dei Paesi che ospita le maggiori società tech statunitensi, come Facebook, Google, Microsoft e Apple. Secondo il ministro delle finanze Paschal Donohoe, infatti, “la concorrenza fiscale legittima ha un proprio ruolo” e perciò è pronto a porre il proprio veto sulla proposta di un’aliquota minima globale.

Ma il primato va ai Paesi Bassi, che percepiscono ogni anno 200 miliardi di dollari di profitti altrui. Seguono anche le Isole Cayman, con un gettito annale di 150 miliardi di dollari (pari a 30 volte il loro Pil nazionale), e le Isole vergini britanniche con più di 60 volte il Pil complessivo del paese.

Aliquota minima globale: perché è importante

Introdurre un’aliquota minima globale non soltanto aiuterebbe a combattere l’evasione fiscale, ma permetterebbe di ricavare un gettito di circa 100 miliardi di dollari in tutto il mondo, secondo un’analisi dell’Ocse che prevedeva l’introduzione di un’aliquota minima del 12,5%.

Per l’Italia la perdita attuale vale 9 miliardi di dollari l’anno, mentre per gli Stati Uniti si parla di almeno 49 miliardi di dollari (secondo i dati di Tax Justice Network) che finiscono principalmente nelle isole Cayman, in Gran Bretagna o in Giappone.

Per quanto riguarda l’Europa, l’introduzione di un’aliquota minima globale porterebbe meno ricavi ai più piccoli Paesi dell’Unione, mentre “contribuirebbe a riportare le entrate imponibili ai tre paesi dell’Unione che vantano un onere fiscale più elevato: la Francia, con un’imposta del 32%, la Germania, con un’imposta di circa il 30%, e l’Italia, quasi il 28%”, come ha spiegato Andreas Rees, chief German economist di Unicredit.

In attesa di un accordo OCSE, l’Italia (così come altri Paesi europei come la Francia e il Regno Unito) ha introdotto una web tax unilaterale, cioè un’imposta sui servizi digitali, le cui scadenze sono state prorogate dal DL Sostegni.

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