La classifica dei Paesi con le maggiori riserve di petrolio

Luna Luciano

28 Giugno 2025 - 22:49

Quali sono i Paesi con le più grandi riserve petrolifere al mondo e come le tensioni geopolitiche ne influenzano prezzo e produzione: ecco tutto ciò che c’è da sapere.

La classifica dei Paesi con le maggiori riserve di petrolio

Il petrolio è da oltre un secolo il cuore pulsante dell’economia globale. Fonte energetica e leva di potere strategico, le sue riserve rappresentano per molti Paesi non solo una risorsa, ma una vera e propria arma geopolitica.

Ogni anno, enti e istituzioni specializzate aggiornano i dati sulle riserve petrolifere accertate a livello mondiale, fornendo una fotografia fondamentale per comprendere gli equilibri energetici e politici del pianeta.

Nel dicembre 2023, i dati dell’Oil & Gas Journal, diffusi tramite la U.S. Energy Information Administration (EIA) hanno evidenziato che le prime dieci nazioni al mondo detengono complessivamente circa 1,5 trilioni di barili di riserve comprovate. Un numero impressionante, ma distribuito in modo altamente diseguale. Se da una parte troviamo Paesi con enormi giacimenti come Venezuela, dall’altra vi sono nazioni industrializzate che devono importare la quasi totalità del petrolio che consumano.

Scopriamo insieme quali sono i Paesi con le maggiori riserve, soffermandosi sui principali protagonisti e sul loro ruolo nella geopolitica del greggio.

I Paesi con la più grande riserva di petrolio: la classifica

La classifica delle riserve petrolifere accertate mostra con chiarezza come la ricchezza energetica sia concentrata in pochi Paesi, molti dei quali membri dell’OPEC, l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio. Stando alla classifica del 2023 i primi dieci Paesi al mondo per riserve di petrolio sono:

  1. il Venezuela con 303 miliardi di barili (membro OPEC) è il Paese con le maggiori riserve comprovate al mondo. Tuttavia, a causa della profonda crisi economica e delle sanzioni internazionali, la produzione venezuelana è in netto calo. Il settore petrolifero, che un tempo finanziava gran parte del bilancio statale, oggi fatica a sostenere l’economia nazionale.
  2. l’Arabia Saudita con 267 miliardi di barili (OPEC) è uno dei massimi produttori al mondo grazie anche a bassissimi costi di estrazione. Con oltre 11 milioni di barili al giorno pompati nel 2023, è un attore chiave nel mercato globale.
  3. l’Iran con 209 miliardi di barili (OPEC) risulta essere al terzo posto. Nonostante le sanzioni e gli attacchi di Israele e Usa, ha aumentato le esportazioni a 1,8 milioni di barili al giorno e una parte rilevante delle riserve globali.
  4. il Canada con 163 miliardi di barili (non OPEC) possiede le sue riserve sotto forma di sabbie bituminose, il che richiede costose tecnologie estrattive.
  5. l’Iraq con 145 miliardi di barili (OPEC) nonostante decenni di guerre e instabilità politica, continua a essere un produttore importante nel panorama energetico mondiale.
  6. gli Emirati Arabi Uniti, con 113 miliardi di barili (OPEC) e una politica energetica stabile e forti investimenti in tecnologia, consolidano la loro posizione tra i grandi esportatori di petrolio.
  7. il Kuwait con 102 miliardi di barili (OPEC), pur essendo un piccolo Paese ha una presenza significativa nel mercato petrolifero, con infrastrutture ben sviluppate e una produzione costante.
  8. la Russia con 80 miliardi di barili (OPEC), nonostante le tensioni con l’Occidente e le sanzioni, resta una delle potenze energetiche mondiali, sia per il petrolio che per il gas.
  9. Stati Uniti con 74 miliardi di barili (non OPEC), grazie allo shale oil, sono diventati il maggior produttore mondiale, ma le riserve accertate restano inferiori rispetto ad altri giganti.
  10. Libia con 48 miliardi di barili (OPEC) presenta un potenziale enorme, ma la cronica instabilità politica frena la piena valorizzazione delle sue risorse.

Petrolio e crisi geopolitiche: come oscilla il prezzo con le guerre

Il prezzo del petrolio è uno degli indicatori economici più sensibili agli eventi geopolitici. Conflitti, tensioni internazionali e sanzioni possono influenzare il mercato in tempi brevissimi, provocando oscillazioni che incidono sui costi energetici globali e, di conseguenza, su inflazione, trasporti e produzione industriale.

Un esempio recente è rappresentato dalle tensioni tra Iran-Israele e Stati Uniti. Dopo l’attacco israeliano, il prezzo del petrolio è schizzato verso l’alto per il timore di un’escalation nella regione del Golfo, da cui proviene circa un terzo della produzione globale. Tuttavia, il successivo attacco di rappresaglia iraniano contro basi statunitensi ha innescato un crollo dei prezzi, segno della forte volatilità del mercato.

Un altro scenario ad alto rischio guardando all’Iran è che il Paese decida di chiudere lo Stretto di Hormuz, punto di passaggio strategico attraverso cui transita circa il 20% del traffico petrolifero mondiale. Un’eventuale chiusura da parte dell’Iran potrebbe avere effetti devastanti sui prezzi, ma è considerata poco probabile da molti analisti, poiché rappresenterebbe una mossa estrema che priverebbe Teheran di una delle sue principali leve diplomatiche.

Le guerre e le crisi quindi non influiscono solo sui prezzi, ma anche sulle decisioni strategiche dei Paesi produttori, sulle scorte globali e sugli investimenti in fonti energetiche alternative. In un contesto sempre più instabile, il petrolio continua a essere un barometro cruciale per capire la direzione della politica internazionale, dimenticando che questo prodotto è altamente infiammabile, come la scacchiera geopolitica: basta poco per far sì che tutto bruci.

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