Cina sta per diventare il maggiore creditore al mondo. Perché è un grande rischio?

Violetta Silvestri

28/03/2023

28/03/2023 - 14:22

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Nuovi rischi di instabilità finanziaria con la Cina che si avvia a diventare il più grande creditore al mondo: lo rivela uno studio. Pechino svetta con i suoi ingenti prestiti di salvataggio.

Cina sta per diventare il maggiore creditore al mondo. Perché è un grande rischio?

Cina sotto i riflettori della finanza globale: un nuovo studio afferma che il dragone ha elargito ingenti somme di denaro in prestito ai governi di Asia, Africa ed Europa, aumentando la sua influenza mondiale attraverso il megaprogetto infrastrutturale Belt and Road e diventando uno dei maggiori creditori del mondo.

Stando alla ricerca pubblicata da AidData, Pechino ha svolto sempre di più il ruolo di prestatore di salvataggio di emergenza per quegli stessi paesi che fanno parte della sua ambiziosa Via della Seta, molti dei quali stanno ora lottando per ripagare i propri debiti.

Come evidenziato dai ricercatori, di fatto “la Cina ha creato un nuovo sistema globale per i prestiti di salvataggio transfrontalieri ai paesi in difficoltà”, fondato su tassi di interesse elevati, poca trasparenza e nessun livello di condivisione internazionale. Per questo, se la potenza asiatica si affermasse come il maggiore prestatore al mondo, sarebbe un grande rischio per la stabilità finanziaria a livello globale.

Cina: prestiti record ai Paesi sull’orlo del fallimento. Cosa sapere

Tra il 2008 e il 2021, la Cina ha speso 240 miliardi di dollari per salvare 22 paesi che sono “quasi esclusivamente” debitori del progetto Belt and Road, tra cui Argentina, Pakistan, Kenya e Turchia, secondo lo studio pubblicato martedì dai ricercatori della Banca mondiale, Harvard Kennedy School, Kiel Institute for the World Economy e il laboratorio di ricerca statunitense AidData.

I prestiti erogati sono di due tipologie. Uno avviene attraverso una linea di “swap line”, in cui lo yuan viene sborsato dalla People’s Bank of China, la banca centrale, in cambio di valuta domestica. In questo modo sono stati erogati circa 170 miliardi di dollari. Il secondo è tramite il sostegno diretto alla bilancia dei pagamenti, con 70 miliardi di dollari promessi, principalmente da banche cinesi di proprietà statale.

I prestiti cinesi ai paesi in difficoltà debitorie sono aumentati da meno del 5% del suo portafoglio di prestiti all’estero nel 2010 al 60% nel 2022, secondo lo studio. Il balzo, dunque, è degno di nota.

La Via della Seta porta verso il baratro Pechino?

Un particolare importante da sottolineare in questo meccanismo di salvataggio da parte del dragone è il legame - nocivo - con la Belt and Road Initiative, il programma infrastrutturale transnazionale più grande mai realizzato al mondo e sul quale la Cina punta da anni. Gli Stati salvati, infatti, rientrano quasi tutti in questo progetto cinese (da molti considerato una vera e propria trappola, in realtà).

L’American Enterprise Institute, un think tank con sede a Washington, ha valutato il valore dei progetti infrastrutturali guidati dalla Cina e di altre transazioni classificate come Belt and Road a 838 miliardi di dollari tra il 2013 e la fine del 2021.

La miniera d’oro del salvataggio, però, rivela le carenze nella strategia di uno schema descritto dal leader cinese Xi Jinping come il “progetto del secolo”, ma che ha poi rivelato diversi punti deboli e assai oscuri. Studi di fattibilità assenti e una generale mancanza di trasparenza hanno dominato la Via della Seta.

Diversi progetti sono diventati casi studio su come non intraprendere prestiti per lo sviluppo. Una famigerata “strada verso il nulla” da 1 miliardo di dollari in Montenegro rimane incompiuta e perseguitata da accuse di corruzione, ritardi nella costruzione e problemi ambientali.

I porto di Hambantota e la Lotus Tower dello Sri Lanka sono visti come sintomi della crisi del debito del paese, mentre più di 7.000 crepe sono state trovate in una diga ecuadoregna costruita da appaltatori cinesi vicino a un vulcano attivo.

In questa cornice assai complessa, per fare alcuni esempi, l’Argentina ha ricevuto di più, con $111,8 miliardi, seguita dal Pakistan con $48,5 miliardi e dall’Egitto con $15,6 miliardi. Nove paesi hanno ricevuto meno di 1 miliardo di dollari.

Da sottolineare, inoltre, che i prestiti di salvataggio sono concentrati principalmente nei paesi a medio reddito che costituiscono i quattro quinti dei suoi prestiti, a causa del rischio che rappresentano per i bilanci delle banche cinesi, mentre ai governi a basso reddito vengono offerti periodi di grazia ed estensioni della scadenza, afferma il rapporto.

In definitiva, Pechino non offre salvataggi a tutti i mutuatari della Belt and Road in difficoltà. I grandi destinatari dei finanziamenti della Via della Seta, che rappresentano un rischio significativo per il bilancio delle banche cinesi se cadono in insolvenza o se i progetti non vengono terminati, hanno maggiori probabilità di ricevere aiuti di emergenza.

“In ultima analisi, Pechino sta cercando di salvare le proprie banche. Ecco perché è entrata nel rischioso business dei prestiti di salvataggio internazionali”, ha affermato Carmen Reinhart, professoressa della Harvard Kennedy School ed ex capo economista presso il World Bank Group.

Cina: da maggiore prestatore al mondo a grande rischio globale?

Sebbene i salvataggi della Cina siano ancora inferiori a quelli forniti dagli Stati Uniti o dal Fondo monetario internazionale (FMI), che concede regolarmente prestiti di emergenza ai paesi in crisi, è diventato un attore chiave per molti paesi in via di sviluppo.

L’ascesa di Pechino come gestore di crisi internazionali sembra familiare: gli Stati Uniti hanno adottato una strategia simile per quasi un secolo, offrendo ancore si salvezza per paesi ad alto debito come quelli dell’America Latina durante la crisi del debito degli anni ’80, afferma il rapporto.

Tuttavia, le differenze sono notevoli ed è qui che scatta l’allarme per la finanza globale.
Innanzitutto, il denaro cinese non è economico. Un tipico prestito di salvataggio del FMI comporta un tasso di interesse del 2%, mentre quello medio applicato a un prestito di salvataggio cinese è del 5%.

Inoltre, l’emergere della Cina come “prestatore di ultima istanza” altamente influente presenta sfide critiche per le istituzioni a guida occidentale come il FMI, che hanno cercato di salvaguardare la stabilità finanziaria globale dalla fine della seconda guerra mondiale.

“L’architettura finanziaria globale sta diventando meno coerente, meno istituzionalizzata e meno trasparente”, ha affermato Brad Parks, direttore esecutivo di AidData.

I prestiti della Cina sono molto più segreti, con la maggior parte delle sue operazioni e transazioni nascoste a controlli pubblici.

Poi, Pechino ha rifiutato di partecipare ai programmi multilaterali di risoluzione del debito anche se è membro del FMI. “L’approccio strettamente bilaterale [della Cina] ha reso più difficile coordinare le attività di tutti i principali finanziatori di emergenza”, ha sottolineato Parks.

Costi alti, opacità, negazione di collaborazione nella gestione di prestiti contro fallimenti di paesi, rendono la Cina un protagonista della finanza mondiale complesso. Il tutto, in un momento storico assai difficile e incerto.

L’aumento dei tassi di interesse globali e il forte apprezzamento del dollaro hanno sollevato preoccupazioni circa la capacità dei paesi in via di sviluppo di rimborsare i propri creditori. Diversi sovrani sono in difficoltà, con una mancanza di coordinamento tra i creditori accusati di prolungare alcune crisi.

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