Google evita la vendita di Chrome ma resta sotto assedio Antitrust. Cosa cambia per il titolo Alphabet e quali scenari si aprono per gli investitori.
Chrome non si tocca. Almeno per ora resta a Google. Il giudice federale Amit Mehta, lo scorso 2 settembre, ha stabilito che Google non dovrà vendere il browser più usato al mondo. Una vittoria che a Mountain View viene festeggiata come un successo, ma che in realtà lascia aperte più incognite che certezze. Perché se da una parte il colosso americano evita lo scenario più radicale, dall’altra resta al centro del più grande processo antitrust degli ultimi vent’anni, un caso che ha già fatto tremare le fondamenta del suo impero digitale.
Il procedimento non nasce oggi. Era il 2020 quando il Dipartimento di Giustizia, sotto la presidenza Trump, accusò Google di avere costruito un monopolio illegale nei motori di ricerca. Da allora il percorso è stato un susseguirsi di colpi di scena: la difesa dell’azienda, le testimonianze di Sundar Pichai, la condanna del 2024 per abuso di posizione dominante. Fino alla proposta del governo americano di “spezzare” l’azienda, imponendo la vendita di Chrome e di alcuni asset strategici.
Il verdetto di settembre ha escluso lo scenario più estremo, ma ha introdotto nuovi obblighi che cambiano la partita. Google dovrà condividere i dati di ricerca con i concorrenti e non potrà più blindare accordi esclusivi con Apple e altri produttori. Una crepa che, secondo gli analisti, potrebbe aprire spazi per nuovi attori nel mercato. La domanda ora è: cosa succede dopo?
Google sotto assedio dell’Antitrust
Per capire dove si va, serve ricordare da dove si viene. L’indagine partita nel 2020 ha attraversato due amministrazioni presidenziali e ha portato sul banco degli imputati manager di peso, da Sundar Pichai fino a dirigenti Apple. Nel 2024 è arrivata la prima condanna, con il giudice Mehta che ha definito Google “senza veri concorrenti”. Da lì, il governo ha proposto un pacchetto di rimedi radicali, dalla vendita di Chrome, allo stop ai pagamenti miliardari per restare motore predefinito, fino alla condivisione obbligatoria dei dati e alle limitazioni sugli investimenti in AI.
Google ha risposto offrendo concessioni minime. La partita però non è ancora chiusa. Non c’è la vendita di Chrome, ma l’azienda deve condividere il suo tesoro più prezioso, i dati. La decisione non è definitiva. Alphabet ha già annunciato ricorso e i tempi non saranno brevi. Si parla di un processo d’appello che potrebbe trascinarsi fino al 2027.
In parallelo, anche in Europa il colosso è sotto osservazione. Qui la Corte di Giustizia ha appena annullato una multa da 1,5 miliardi inflitta nel 2019 per le clausole considerate abusive nel programma AdSense. Una vittoria inattesa che ribalta la linea dura della Commissione, ma che non cancella i procedimenti ancora aperti né la volontà di Bruxelles di tenere alta la pressione sulle Big Tech.
Cosa significa per investitori e risparmiatori
Per gli investitori la vicenda è una lezione di realismo. Alphabet resta una delle società più solide al mondo, con un modello di business capace di generare flussi di cassa giganteschi e margini invidiabili. Ma la traiettoria non è più lineare. L’obbligo di condividere i dati potrebbe intaccare uno dei suoi principali vantaggi competitivi, mentre l’incertezza dei procedimenti legali pesa come una spada di Damocle sulle prospettive di lungo termine.
Intanto il titolo è balzato del 9,01% a Wall Street, toccando nuovi record assoluti a 231 dollari e riattivando il rally di lungo corso. Secondo Goldman Sachs il titolo ha un fair value di 234 dollari (vicino ai prezzi attuali), con un rating “buy”. La banca d’affari ha dunque un approccio positivo nel medio-lungo periodo e sottolinea come la decisione del tribunale possa contribuire a ridurre quella tensione sui multipli che aveva pesato nelle ultime settimane, alimentata dall’incertezza regolatoria. L’effetto si è fatto sentire anche tra gli altri broker: Barclays ha rivisto al rialzo il target portandolo a 250 dollari, mentre KeyBanc Capital Markets spinge l’asticella ancora più in alto, a 265 dollari.
Inoltre, il contesto attuale, con l’economia americana che continua a sorprendere per resilienza e la fase di taglio dei tassi, riporta liquidità nei mercati. Questo significa che i giganti tecnologici continueranno a essere un pilastro nei portafogli di fondi pensione, ETF e piani di accumulo.
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