Chi sono i volenterosi, cosa vogliono e perché l’Italia ne è stata esclusa

Luna Luciano

17 Maggio 2025 - 13:35

Chi sono i volenterosi, cosa vogliono dall’Ucraina e perché Giorgia Meloni è rimasta fuori dall’ultimo vertice? Un’assenza che apre scenari inquieti per l’Italia in Europa.

Chi sono i volenterosi, cosa vogliono e perché l’Italia ne è stata esclusa

Si è concluso il nuovo summit dei volenterosi, i Paesi che hanno intenzione di sostenere l’Ucraina contro la Russia. Questa volta però ha fatto molto discutere l’assenza di Giorgia Meloni: non si è presentata lei o non è stata invitata?

La domanda è diventata un vero caso politico. Il vertice di Tirana , il più recente tra quelli che vedono coinvolti i leader della coalizione pro-Kiev, ha segnato un possibile punto di rottura per l’Italia, fino a oggi sempre presente, seppur critica su alcune linee d’azione, tra cui l’invio di truppe in Ucraina.

L’assenza della premier italiana non è passata inosservata, soprattutto perché è avvenuta in un momento in cui i maggiori leader europei, Macron, Starmer, Merz e Tusk, rilanciavano la necessità di una presenza coesa e determinata per garantire la sicurezza ucraina. Altro indizio di una possibile “frattura” tra Roma e i “volenterosi” è il botta e risposta tra Meloni e Macron su ciò che davvero si è discusso ai tavoli del summit.

In questo scenario, l’Italia sembra muoversi su un crinale pericoloso, rischiando di essere marginale rispetto a decisioni cruciali che definiranno gli equilibri futuri dell’Europa. Di fronte a un simile quadro è naturale domandarsi chi siano i volenterosi, cosa vogliano e perché l’Italia oggi sembra essere isolata: di seguito tutto quello che serve sapere a riguardo.

Quali sono i Paesi “volenterosi” e cosa vogliono

La “coalizione dei volenterosi” è nata ufficialmente il 17 febbraio 2025 a Parigi, su iniziativa di Emmanuel Macron e Keir Starmer e riunisce 37 Paesi, compresi Stati membri dell’Unione Europea, della NATO, del Commonwealth e potenze asiatiche come Giappone, Australia e Nuova Zelanda.

L’obiettivo condiviso è fornire sostegno all’Ucraina, non solo attraverso armamenti e aiuti finanziari, ma anche mediante la pianificazione di una possibile forza di peacekeeping da dispiegare dopo la guerra, in funzione di garanzia contro future aggressioni russe.

Il gruppo include, oltre a Francia e Regno Unito, anche Germania, Polonia, Canada, Spagna, Paesi baltici, e altri partner transatlantici. I “volenterosi” stanno elaborando un piano coordinato di sicurezza europea che, almeno nei desideri dei promotori, superi le logiche della NATO e proponga un modello proattivo, con un forte contenuto politico e militare.

Non tutti i membri sono disposti a inviare truppe sul campo però, esattamente come l’Italia, anche Australia o Canada sono disposti a offrire supporto tramite intelligence o logistica ma senza mandare i propri militare sul campo di guerra. Altri Paesi, invece, valutano l’invio di soldati in zone cuscinetto o in Paesi confinanti con l’Ucraina. L’obiettivo condiviso è evitare che la fine del conflitto si traduca in una pace fragile e instabile.

Nel summit più recente, a Tirana, si è parlato – almeno secondo Macron – non tanto di truppe, quanto di coordinamento su un possibile cessate il fuoco e delle misure per garantirne il rispetto. Eppure, questa versione è stata smentita da Meloni, secondo la quale l’Italia è stata coerente nel rifiutare un coinvolgimento diretto. Il nodo, però, non è tecnico, ma profondamente politico.

Volenterosi, perché l’Italia è stata esclusa?

L’assenza di Giorgia Meloni al vertice di Tirana ha sollevato polemiche in Italia e dubbi a livello europeo. La premier ha dichiarato di non aver partecipato per “coerenza”, ribadendo la contrarietà all’invio di truppe italiane in Ucraina. Ma la sua assenza ha coinciso con un’indiscrezione del quotidiano Die Welt, secondo cui il nuovo accordo tra SPD e CDU in Germania prevederebbe l’esclusione dell’Italia dal formato “Weimar Plus”, un tentativo politico di ridimensionare il ruolo di Roma.

Fonti vicine a Palazzo Chigi parlano di una decisione autonoma, coerente con la linea già espressa nei mesi precedenti. Tuttavia, ciò contrasta con i fatti: Meloni aveva partecipato a tutti i summit precedenti, pur manifestando sempre contrarietà all’invio di soldati italiani. Il 10 maggio, ad esempio, era collegata in videoconferenza da Roma a un vertice simile con gli stessi interlocutori.

Questo cambio di atteggiamento improvviso ha alimentato sospetti: Meloni non ha partecipato per scelta o perché non invitata? La smentita del governo tedesco non ha dissipato i dubbi, mentre il ministro Tajani ha parlato di un’“operazione antieuropea” per escludere l’Italia.

Nel frattempo, le opposizioni italiane accusano il governo di aver messo l’Italia “in panchina”, riducendo la sua influenza nei processi decisionali europei. Ma il vero problema resta strategico: rifiutarsi di partecipare a un formato in nome della coerenza può rivelarsi un boomerang se il resto dell’Europa decide di andare avanti senza Roma.

Frattura tra volenterosi e Italia: possibile isolamento della penisola?

L’episodio di Tirana ha segnato la frattura più evidente tra l’Italia e i “volenterosi”, ma non è il primo segnale di tensione. Se all’inizio Roma sembrava voler giocare un ruolo da protagonista nel promuovere una “pace giusta” per l’Ucraina, oggi il suo posizionamento appare più ambiguo. L’assenza dell’Italia da un summit così rilevante, proprio mentre altri leader europei e persino Donald Trump si confrontano con Zelensky, alimenta la percezione di un Paese sempre più defilato.

A detta del governo italiano, non si tratta di isolamento, ma di coerenza e trasparenza: “non partecipiamo a formati che non condividiamo nel merito”, ha dichiarato la premier. Tuttavia, questa posizione rischia di lasciare l’Italia fuori dai tavoli che contano. In Europa si sta delineando una nuova architettura della sicurezza continentale e non è detto che ci sarà posto per chi oggi si tiene ai margini.

L’impressione è che l’Italia non riesca a trovare un equilibrio tra prudenza e protagonismo. La linea del “sì al sostegno, no ai soldati” non è nuova, ma in passato non ha impedito la partecipazione ai vertici. Cosa è cambiato ora? Una crescente diffidenza da parte dei partner europei? O una strategia italiana per smarcarsi da decisioni impopolari? Nel frattempo, cresce il rischio che Roma venga considerata un interlocutore secondario nelle grandi partite europee. E, se la guerra dovesse finire, saranno proprio i “volenterosi” a sedersi al tavolo per ridisegnare la pace. Senza l’Italia.

Iscriviti a Money.it