Ecco perché nelle buste paga ci sono solo 26 giorni e quali sono le conseguenze sullo stipendio del dipendente.
La busta paga è uno strumento fondamentale per i lavoratori dipendenti: pertanto, saper come leggerla correttamente è essenziale per tutelare i propri diritti.
Nonostante ciò, è facile faticare le prime volte dinanzi a questo documento, in cui le voci non sono spiegate chiaramente. Una delle perplessità più comuni dei lavoratori riguarda la presenza di soli 26 giorni, una caratteristica non comune a tutte le buste paga ma comunque piuttosto diffusa per convenzione.
Vediamo perché in busta paga solitamente si trovano solo 26 giornate lavorative, quali sono le alternative e soprattutto come verificare che i calcoli siano corretti.
Perché ci sono 26 giorni in busta paga
Rispettando le regole individuate dalla legge e dai contratti collettivi, oltre a quello individuale ovviamente, la gestione della paga può avvenire in modo piuttosto elastico. È infatti l’azienda a decidere come calcolare gli stipendi e di conseguenza compilare la busta paga, purché il documento contenga tutte le indicazioni richieste dalla legge e corrispondano al vero. Per convenzione e praticità, tuttavia, oggi i sistemi in uso sono ben pochi, come quello dei 26 giorni.
Bisogna innanzitutto considerare che il sistema di retribuzione può essere orario o mensilizzato, con differenze riguardanti esclusivamente il metodo di calcolo e non la retribuzione effettiva. La paga mensilizzata prevede appunto una retribuzione fissa per ogni mese di lavoro, anziché su base oraria. Per riuscire a eseguire i calcoli necessari serve quindi considerare un numero di giorni convenzionale sempre uguale per ogni mese.
La maggior parte dei Ccnl sceglie come numero - si parla in proposito di divisore convenzionale - il 26, perlomeno quando l’articolazione oraria prevede 6 giorni lavorativi alla settimana.
Il modo in cui si arriva a questo divisore è piuttosto semplice: ci sono 52 settimane intere in un anno (365/7) che moltiplicate per 6, i giorni lavorativi settimanali, danno 312 giorni lavorativi all’anno. Dividendo questo numero per i 12 mesi si ottiene infine 26, il numero di giorni lavorativi che compone fittiziamente ogni mese dell’anno.
Lo stesso procedimento viene adottato quando i giorni di lavoro settimanali sono cinque anziché 6, portando a un divisore di 22 giorni. Come già detto, non si tratta di regole ferree, visto che ogni contratto collettivo può prevedere delle disposizioni diverse. Il motivo per cui in busta paga ci sono 26 giorni (o 22) è comunque questo ed è fondamentale verificare quale sia la regola di riferimento nel proprio Ccnl per non commettere errori.
Come cambia lo stipendio
L’adozione della paga mensilizzata anziché quella oraria non deve avere riflessi sulla retribuzione del dipendente.
Il divisore giornaliero segue le stesse logiche di quello orario, pertanto l’ammontare dello stipendio annuo è equivalente. Per i dipendenti la cui retribuzione viene calcolata secondo il sistema orario, però, si hanno stipendi diversi ogni mensilità, che poi si compensano, cosa che non accade con il sistema mensilizzato.
I datori di lavoro possono infatti prevedere l’adozione di un sistema piuttosto che quello previsto dal Ccnl, purché rispettando la retribuzione prevista dalla contrattazione di primo livello e quindi adeguando di conseguenza gli importi.
In caso di cambiamenti nel corso dell’occupazione bisogna fare particolare attenzione, in quanto nel passaggio da un sistema all’altro la paga oraria deve necessariamente essere differente per produrre lo stesso importo totale alla fine dell’anno lavorativo.
Se questo criterio viene rispettato, la busta paga è in regola. Ciò per quanto riguarda lo standard lavorativo, che ovviamente può subire delle variazioni.
Chi ha una paga mensilizzata, quindi 26 giorni in busta, non subisce variazioni in caso di assenze per cui è prevista la retribuzione come feste, ferie e permessi, che vengono indicati come valori figurativi. Al contrario, si tiene conto delle ore eccedenti - gli straordinari per lo più - o mancanti, come le assenze non retribuite. Queste ore devono essere aggiunte o sottratte attraverso, rispettivamente, le competenze e le detrazioni nel documento di paga.
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