Per le donne con figli ci sono agevolazioni ai fini dell’accesso alla pensione. Ecco quali sono.
Ci sono buone notizie per le madri italiane che in diversi periodi della loro vita non hanno lavorato per potersi prendere cura dei figli. Una scelta voluta in alcuni casi, dovuta quando invece le difficoltà nel trovare una soluzione per assistere i figli durante l’orario di lavoro hanno di fatto reso necessaria una pausa dal lavoro.
La buona notizia è che il tempo perso può essere riconosciuto in fase di valutazione dei requisiti per andare in pensione, attraverso alcune agevolazioni riservate alle donne con figli.
D’altronde quello dei lavori di cura è un tema ancora oggi profondamente dibattuto, in quanto avere dei figli in molti casi ha ripercussioni sulla carriera di una donna, con il rischio di comportare un vuoto contributivo che si ripercuote sulla pensione, tanto sull’importo quanto nel raggiungimento dei requisiti per andarci.
A dimostrazione di questo gap tra uomini e donne c’è il fatto che quest’ultime trovano maggiori difficoltà nell’andare in pensione con quelle misure che richiedono un elevato requisito contributivo: è stato così ad esempio per Quota 100, alla quale hanno fatto ricorso maggiormente gli uomini, come pure per l’attuale Quota 103. Così come vale per la pensione anticipata, per la quale però alle donne è richiesto un anno di contributi in meno per andarci, 41 anni e 10 mesi contro i 42 anni e 10 mesi degli uomini.
Ma non è l’unica agevolazione introdotta per tutelare maggiormente le lavoratrici che avendo avuto figli si presume abbiano avuto degli stalli di carriera: il nostro sistema previdenziale prevede tante altre misure di questo tipo, vediamo quali sono.
Sconto pensione di vecchiaia
La legge Dini ha riconosciuto alle lavoratrici un’agevolazione che consiste in uno sconto dell’età anagrafica nell’accesso alla pensione di vecchiaia, compresa l’opzione contributiva, e anticipata contributiva.
Nel dettaglio, per le lavoratrici che non hanno contributi versati prima dell’1 gennaio 1996, oppure per chi ricorre al computo della Gestione separata rientrando interamente nel regime contributivo, viene riconosciuto uno sconto di 4 mesi per ogni figlio, fino a un massimo di un anno.
Questo significa che le donne con almeno 3 figli possono:
- andare in pensione a 63 anni con la pensione anticipata contributiva;
- andare in pensione a 66 anni con la pensione di vecchiaia;
- andare in pensione a 70 anni con la pensione di vecchiaia contributiva.
L’aumento della pensione
La stessa legge Dini prevede un’alternativa alle suddette agevolazioni, consentendo alle lavoratrici di chiedere che la pensione venga calcolata con una formula maggiormente favorevole.
Anziché andare prima in pensione, si può di fatto beneficiare di un coefficiente di trasformazione più conveniente, inteso come quel parametro che viene utilizzato per convertire i contributi maturati in importo della pensione.
Nel dettaglio, nel sistema di calcolo contributivo viene fissato un certo coefficiente a seconda di quello che è l’anno in cui si va in pensione. Più si va tardi e più la percentuale è maggiore, con il montante contributivo che quindi viene valorizzato maggiormente.
Per questo motivo è importante l’agevolazione riconosciuta dalla legge Dini, con la quale viene stabilito che:
- la lavoratrice con 1 o 2 figli ha diritto a un coefficiente maggiorato di 1 anno. Se ad esempio va in pensione a 67 anni avrà la pensione calcolata con la percentuale prevista per chi ci va a 68 anni (quindi del 5,931% invece che il 5,723%);
- la lavoratrice con almeno 3 figli ha invece il coefficiente maggiorato di 2 anni. Per chi smette di lavorare a 67 anni, quindi, la pensione verrà calcolata utilizzando il coefficiente previsto per chi ha 69 anni (6,154%).
Meno soldi per la pensione anticipata contributiva
Un’altra agevolazione riservata alle donne è quella introdotta con la legge di Bilancio 2024 con la quale sono stati modificati i requisiti per accedere alla pensione anticipata contributiva con 64 anni di età e 20 anni di contributi.
Viene infatti stabilito che per l’accesso alla pensione è necessario aver maturato un importo dell’assegno pari ad almeno 3 volte il valore dell’Assegno sociale, quindi 1.605 euro circa nel 2024.
Precedentemente la soglia richiesta era di 2,8 volte l’Assegno sociale, misura che è stata mantenuta per le donne che hanno un figlio, alle quali quindi è sufficiente un importo di 1.498 euro per andare in pensione. Per chi ha almeno 2 figli, invece, la soglia viene ridotta a 2,6 volte, pari a 1.391 euro nel 2024.
Lo sconto dell’Ape Sociale
Anche l’anticipo pensionistico conosciuto come Ape Sociale prevede un’agevolazione per le donne. Oggi per ricorrere a questa opzione serve, oltre a far parte di una di quelle categorie che necessitano di maggior tutela (disoccupati, invalidi civili, caregiver e usuranti), aver compiuto 63 anni e 5 mesi di età e raggiunto 30 anni di contributi (36 nel caso degli usuranti).
Per le donne il requisito contributivo è più basso, in quanto viene ridotto di 1 anno per ogni figlio, fino a un massimo di 2 anni. Queste possono ricorrere all’Ape Sociale anche con 28 anni di contributi.
Opzione Donna con agevolazioni
Agevolazioni ci sono anche per l’accesso a Opzione Donna, misura riservata alle lavoratrici che consente loro di andare in pensione all’età di 61 anni, con 35 anni di contributi e un assegno ricalcolato interamente con il contributivo. Opzione Donna che da qualche anno è però riservata a invalide, caregiver e lavoratrici in procinto di perdere il lavoro (o che lo hanno già perso) alle dipendenze di una grande azienda.
La buona notizia è che a Opzione Donna ci vanno prima le lavoratrici che hanno figli: a 60 anni con un figlio, 59 anni con almeno due.
Riconoscimento della contribuzione figurativa
Alle sole lavoratrici madri la cui pensione è calcolata interamente con il sistema contributivo la legge riconosce il diritto a contributi figurativi per i seguenti periodi:
- assenze dal lavoro per l’educazione e l’assistenza dei figli fino ai 6 anni di età nella misura massima di 170 giorni per ciascun figlio;
- 25 giorni di assenza all’anno (fino al limite di 24 mesi) per assistere il figlio con più di 6 anni, il coniuge o i genitori, purché conviventi e portatori di handicap.
Anche se prendersi cura dei figli ha comportato un’interruzione del lavoro e quindi il mancato versamento dei contributi, alcuni di questi periodi - entro i limiti previsti dalla legge - vengono comunque riconosciuti ai fini della pensione.
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