Assunzione familiari e parenti in azienda: regole e limiti da rispettare

Simone Micocci

30 Novembre 2018 - 11:30

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Non sempre l’assunzione di un familiare in azienda è legittima: dipende dalla forma di esercizio dell’attività aziendale e dal legame di parentela. Facciamo chiarezza.

Assunzione familiari e parenti in azienda: regole e limiti da rispettare

Generalmente non ci sono regole che vietano l’assunzione di familiari in azienda, salvo in determinati casi che andremo ad analizzare nel prosieguo dell’articolo. Ci sono infatti delle precisazioni da fare in merito ai compensi presunti percepiti da un collaboratore familiare.

Come noto, salvo determinati contesti - ad esempio quando si dimostra una finalità di solidarietà - l’attività lavorativa si presume come resa a titolo oneroso.

A tal proposito, per quanto riguarda il lavoro prestato in ambito familiare la Corte di Cassazione - sezione lavoro - con la sentenza 18284 del 2003 ha chiarito che il lavoro prestato in ambito familiare può presumersi a titolo gratuito per il solo fatto che il datore di lavoro è uno stretto congiunto. Al di fuori dell’impresa familiare, invece, il rapporto di lavoro si presume come gratuito solamente in presenza di un vincolo politico, ideale o religioso (con l’onere della prova che in tal caso ricade sul datore di lavoro).

A questo punto bisogna fare delle considerazioni in merito alla legittimità di un legame di parentela tra datore di lavoro e dipendenti. L’articolo 2094 del Codice Civile, infatti, definisce il prestatore di lavoro subordinato come il soggetto che “si obbliga - mediante retribuzione - a collaborare nell’impresa prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.

Ciò significa che il rapporto di lavoro subordinato costituisce la prova della concreta e reale sussistenza dell’onerosità della prestazione.

Ci sono dei casi, però, in cui non è possibile presumere la prestazione a titolo oneroso tra datore di lavoro e dipendente familiare ed è per questo che ci sono delle limitazioni riguardanti la loro assunzione.

Nel dettaglio, come vedremo nel proseguo dell’articolo, per capire quando è possibile assumere un familiare in azienda bisogna tener conto di due fattori: la forma di esercizio dell’attività aziendale e il legame di parentela che sussiste tra le parti. Andiamo ad approfondire entrambi questi concetti così da fare chiarezza su quando è possibile assumere un familiare in maniera del tutto legittima.

Quando si possono assumere i familiari?

Come anticipato, uno dei fattori che determina la legittimità di un rapporto di subordinazione lavorativa tra due familiari è quello riguardante la forma di esercizio dell’attività aziendale.

Ad esempio, nel caso della società di capitali il titolo oneroso della prestazione lavorativa è sempre presunto, indipendentemente da un eventuale legame di parentela tra il lavoratore e uno o più soci dell’impresa. In questo caso, infatti, il rapporto di lavoro non è con il familiare, bensì con la società.

Questo però non vale per tutte le società di capitali. Ad esempio fanno eccezione quelle a socio unico, o anche quelle con due soli soci al 50%. Scatta la verifica dell’effettiva legittimità del rapporto di lavoro anche per quelle società dove la maggior parte delle quote appartengono al soggetto con cui sussiste il legame di parentela con il lavoratore che si vuole assumere.

Infine, l’ultima eccezione è per quelle società di capitali con più amministratori nel caso in cui il dipendente sia un parente conviventi con uno degli amministratore, purché quest’ultimo abbia pieni poteri nella gestione del personale dipendente.

Per quanto riguarda le società di persone, invece, generalmente l’Inps non riconosce il rapporto subordinato instaurato tra parenti, salvo il caso delle prestazioni rese in forma occasionale. In tutti gli altri casi, infatti, l’Istituto riconduce il lavoro subordinato a forme di collaborazione familiare e per questo soggette agli obblighi contributivi delle gestioni autonome.

In alternativa è possibile giustificare la legittimità di un rapporto di lavoro tra familiari dimostrando che la prestazione lavorativa viene effettuata nell’ambito di un concreto esercizio del potere direttivo e gerarchico del socio che ha il controllo della società; un’eventualità che però l’Inps poche volte riconosce.

L’ultimo caso è quello della ditta individuale, per la quale l’attività lavorativa del parente si presume automaticamente a titolo gratuito. Di conseguenza, l’assunzione di un familiare con contratto di lavoro subordinato è illegittima (e non deducibile).

Questo vale però esclusivamente per alcuni familiari; ad esempio, questo divieto persiste nei confronti del coniuge, del figlio minorenne, del figlio maggiorenne ma inabile al lavoro, dei genitori o dei nonni.

È comunque possibile rinvenire una legittimità nel rapporto di lavoro subordinato quando coinvolge i seguenti familiari: figlio maggiorenne, fratello o sorella (purché non conviventi), zii (non conviventi) e cugini (non conviventi).

Quando si può collaborare a titolo gratuito con i familiari?

Non sempre però la collaborazione familiare necessita dell’assolvimento degli obblighi nei confronti dell’Istituto previdenziale competente: questo, infatti, non è necessario quando la collaborazione è meramente occasionale.

In questi casi, infatti, la collaborazione si presume come effettuata in virtù di un’obbligazione di natura “morale”, ossia sul legame solidaristico e affettivo del proprio contesto familiare.

In primis è bene ricordare che per prestazione occasionale si intende quella svolta in maniera non sistematica e stabile, ossia non integrante comportamenti di tipo abituale e prevalente nell’ambito della gestione e del funzionamento di impresa.

Si presumono come collaborazioni gratuite - e quindi che non necessitano dell’iscrizione nella Gestione assicurativa di competenza - quelle svolte da pensionati parenti o affini dell’imprenditore poiché si presume che questi inverosimilmente possano garantire un impegno con carattere di continuità.

Lo stesso vale per quelle collaborazioni effettuate dal familiare che è impiegato full time presso un altro datore di lavoro; il tempo residuo, infatti, è troppo limitato per far presumere che questo possa effettuare qualche attività lavorativa per il proprio familiare con carattere di prevalenza e continuità.

Per maggiori informazioni in merito vi consigliamo la lettura di- Commercianti e artigiani: quando versare i contributi ai collaboratori familiari?

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