L’andamento dello spread durante gli ultimi governi

Alessandro Cipolla

6 Febbraio 2019 - 10:21

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Anche dopo l’approvazione della legge di Bilancio resta sempre attuale il tema dello spread: ecco un’analisi dell’andamento del differenziale durante i passati governi.

L’andamento dello spread durante gli ultimi governi

Lo spread torna a spaventare l’Italia, tanto che il governo Conte dopo l’iniziale “non ci sposteremo di un millimetro” alla fine ha ceduto e ha acconsentito a modificare la propria legge di Bilancio ritoccando, al ribasso, sia il deficit che la stima del Pil.

Un muro contro muro questo tra il governo Lega-Movimento 5 Stelle e l’Unione Europea che ha agitato i mercati, con il differenziale tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi che è tornato pericolosamente a salire, per poi calare quando è stata evitata la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia.

Ma da cosa dipende l’oscillazione dello spread Btp-Bund? Per capire al meglio cosa può incidere in negativo o in positivo, abbiamo analizzato il suo andamento nei momenti più significativi di questa Seconda Repubblica, per capire quali avvenimenti hanno determinato le mosse del differenziale nell’uno e nell’altro senso.

Lo spread quando è nato l’Euro

Il 1 maggio del 1998 l’Italia venne ufficialmente inserita nel novero dei primi paesi che avrebbero utilizzato la Moneta Unica. Non fu semplice però rientrare nei rigidi parametri comunitari, tanto che nel 1996 il primo governo Prodi dovette ricorrere al Contributo straordinario per l’Europa, meglio noto come Eurotassa, ovvero un’imposta basata su cinque aliquote progressive (fino al 3,5%) sul reddito annuo lordo.

Il 1 gennaio del 2002 quando entrò ufficialmente in circolazione l’Euro, lo spread tra Germania e Italia era a 27 punti. Alla guida del paese allora c’era Silvio Berlusconi, per quello che era il suo secondo governo dopo la breve esperienza del 1994.

Durante questa legislatura, che durò fino al 2006 con tanto di rimpasto di governo un anno primo della scadenza, lo spread ha sempre mantenuto un andamento stabile per poi scendere a 17 punti quando a maggio il paese è tornato al voto.

Grazie a una coalizione dell’Ulivo formato monstre, da Rifondazione fino all’Udeur di Mastella, Romano Prodi vinse le elezioni e diede vita al suo secondo governo che durò fino a gennaio 2008. Quando il professore si dimise, lo spread era a quota 40 punti.

Voto anticipato e nuovo largo successo per Silvio Berlusconi che, l’8 maggio 2008, giurò insieme al suo governo quando lo spread era a 45 punti. In quel periodo però scoppiò la crisi economica che contagiò il mondo intero.

La crisi

La crisi economica globale, tra le tante conseguenze, portò anche a un progressivo aumento dello spread. Quando l’8 aprile 2009 il governo Berlusconi approvò il Decreto Anticrisi, il differenziale era arrivato a quota 122 punti.

Il provvedimento portò a un progressivo calo tanto che a inizio 2010 si era scesi a 86 punti. Oltre agli scenari economici internazionali, in casa nostra il governo iniziò a traballare per la rottura tra Berlusconi e Fini.

Quando l’ex Presidente della Camera il 30 luglio 2010 decise di abbandonare il Popolo delle Libertà e di fondare Futuro e Libertà, garantendo comunque il sostegno al governo Berlusconi, lo spread era a quota 128 punti.

Era il periodo quello anche del cosiddetto Rubygate che coinvolse l’allora Presidente del Consiglio, con Silvio Berlusconi che il 21 dicembre 2010 venne indagato dalla Procura di Milano. Quando il 30 dicembre il suo governo approvò la legge di Bilancio, lo spread era a 186 punti.

Nei primi mesi del 2011 lo spread fu altalenante anche se rimase tutto sommato costante. Quando però a inizio estate per il centrodestra arrivò una pesante sconfitta alle amministrative, considerando anche le vicende processuali del premier, il differenziale a luglio passò da 183 a 354 punti.

L’estate 2011 fu quindi una sorta di picco della crisi, con l’Italia complice anche la difficile situazione politica interna che venne inserita nei PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna), acronimo dei paesi che erano in difficoltà.

Con l’addio di Mario Draghi a Bankitalia e la bocciatura di Standard & Poor’s sui conti nostrani, ad agosto 2011 lo spread per la prima volta sfondò il tetto dei 300 punti, toccando l’apice dei 389 punti il 4 agosto.

Quello fu il momento in cui Jean Claude Trichet e Mario Draghi, presidente uscente e quello in pectore della BCE, mandarono una dura lettera al governo italiano indicando delle misure da adottare per evitare la bancarotta del paese: in quel momento entrò sulla scena politica Mario Monti, da molti indicato come l’unico in grado di risolvere questa crisi.

Gli ambienti del centrodestra quindi parlavano di un tentativo di rovesciamento del governo da parte dei “poteri forti”. A settembre però quando si dovette imbastire la Manovra, lo spread riprese a galoppare arrivando anche a quota 397 punti anche perché arrivò l’annunciato downgrade da parte di Standard & Poor’s.

La pressione dell’Europa così aumentò sempre più tanto che il 26 ottobre Silvio Berlusconi cedette e, anche lui con una lettera, promise che il suo governo avrebbe adottato misure per aumentare l’età pensionabile e la flessibilità nel mondo del lavoro.

La maggioranza però ormai era allo sbando e il 9 novembre 2011 lo spread toccò il suo record: 574 punti. Il 12 novembre quindi, dopo l’approvazione della Manovra, Berlusconi si dimise e il 16 novembre prese il via il governo Monti.

Dal governo Monti a quelli di centrosinistra

Caduto sotto i colpi dello spread, il governo Berlusconi lasciò il passo a quello dei tecnici presieduto da Mario Monti. Il 4 dicembre 2011 il Consiglio dei Ministri varò il Decreto Salva-Italia, con provvedimenti in materia fiscale e previdenziale (la famosa legge Fornero).

Il decreto ebbe però l’effetto di stemperare la tempesta finanziaria, con lo spread che il 5 dicembre scese a 374 punti. Dopo un fiammata fino a quota 500 punti, nei mesi successivi il differenziale iniziò a calare.

Quando il 24 e 25 febbraio 2013 l’Italia tornò alle urne, lo spread era sceso a 293 punti. Con la nascita del governo Letta, continuò la discesa tanto che il 1 gennaio 2014 il differenziale faceva segnare quota 216 punti.

Arrivato Renzi al governo nel febbraio 2014, quando il 26 maggio il Partito Democratico alle elezioni europee ottenne il 40% lo spread fece segnare 156 punti, continuando a calare progressivamente nei mesi seguenti.

Con l’introduzione del Jobs Act e l’approvazione della Manovra, il 31 dicembre 2015 lo spread arrivò a 96 punti. Il 5 dicembre 2016, giorno delle dimissioni di Matteo Renzi dopo la sconfitta referendaria, il differenziale era a 165 punti.

L’instabilità politica del paese che ne derivò, nonostante l’avvio del governo Gentiloni, riportò a febbraio 2017 lo spread a quota 200 punti. Quando il 23 dicembre però venne approvata la legge di Bilancio, il differenziale era tornato a 148 punti.

Il governo Lega-Movimento 5 Stelle

Si è arrivati così alle ultime elezioni politiche del 4 marzo 2018 con lo spread che faceva segnare 131 punti. Nonostante il sostanziale pareggio, l’asticella è rimasta pressoché stabile fino a metà maggio.

Tra il 28 e il 29 maggio, giorno in cui in pratica si è fatto il governo Conte, lo spread è balzato da quota 233 a 289 punti. Dopo questo forte rialzo, il differenziale è rimasto stabile per tutta l’estate fino all’arrivo di settembre e del Def da dover imbastire.

Le rassicurazioni del ministro dell’Economia Giovanni Tria hanno fatto da pompiere e lo spread così è sceso fino a 233 punti. Quando però il Def è stato ufficializzato, ecco che il differenziale ha ripreso la sua corsa tornando sopra il muro dei 300 punti.

Il picco si è raggiunto il 19 ottobre 2018, quando lo spread ha toccato quota 329 punti base. Dopo l’accordo raggiunto a dicembre con la Commissione Europea che ha portato ad evitare la procedura d’infrazione, adesso il differenziale è calato intorno ai 250 punti base.

Vedendo e analizzando questa sorta di “storia dello spread”, si può notare come in fondo ci siano state delle analogie tra quello che accadde nell’autunno del 2011 e l’impennata di fine 2018.

L’aver rivisto al ribasso i parametri del deficit e del Pil ha fatto scendere lo spread sotto i 300 punti base, ma alla lunga questo potrebbe non essere sufficiente con questa nuova crisi che è da considerarsi ancora in atto.

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