Aggressione verbale sul posto di lavoro, come difendersi?

Emanuele Di Baldo

15 Luglio 2025 - 18:03

L’aggressione verbale sul posto di lavoro rappresenta indubbiamente una problematica seria. Ecco come difendersi attraverso gli strumenti legali disponibili.

Aggressione verbale sul posto di lavoro, come difendersi?

L’aggressione verbale sul posto di lavoro rappresenta una problematica sempre più diffusa. Infatti, questo fenomeno ha un impatto non solo sulla sicurezza fisica, ma anche sulla salute mentale e sul benessere generale delle persone coinvolte.

In passato, le offese verbali erano considerate reato penale (ingiuria), ma dal 2016 questo è stato depenalizzato e ora viene considerato un illecito civile. Ciò significa che chi subisce offese dirette sul luogo di lavoro non può più denunciare il fatto come in precedenza, ma deve agire in sede civile. Tuttavia, i risarcimenti possono essere significativi.

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) riconosce la violenza sul lavoro come una minaccia alla dignità, alla sicurezza e al benessere dei lavoratori, sottolineando come ogni tipo di aggressione lasci un segno sul lavoratore, influenzando la sua capacità di svolgere efficacemente le proprie mansioni. Nella nostra guida esamineremo le diverse forme di aggressione verbale sul posto di lavoro, il quadro legale attuale e le strategie concrete per difendersi e ottenere giustizia.

Quando l’aggressione verbale sul lavoro diventa un problema legale

Nel sistema giuridico italiano, gli episodi di aggressione verbale sul posto di lavoro possono configurarsi come veri e propri illeciti, sia civili che penali. Comprendere la distinzione tra queste categorie è fondamentale per chi si trova a dover affrontare simili situazioni.

Differenza tra ingiuria e diffamazione secondo il Codice Penale

La legislazione italiana distingue chiaramente tra ingiuria e diffamazione. L’ingiuria consiste nell’offesa alla dignità o all’onore di una persona in sua presenza o mediante comunicazione diretta. La diffamazione, invece, si verifica quando l’offesa alla reputazione avviene comunicando con più persone in assenza della vittima.

La principale differenza risiede nella modalità di comunicazione: l’ingiuria prevede un’offesa diretta alla persona, mentre la diffamazione si realizza quando l’offesa viene comunicata a terzi in assenza dell’offeso. Inoltre, la diffamazione richiede il coinvolgimento di almeno due persone oltre all’autore e alla vittima, elemento non necessario nell’ingiuria.

Depenalizzazione dell’ingiuria: cosa è cambiato dal 2016?

Un cambiamento significativo è avvenuto con il Decreto Legislativo n. 7 del 15 gennaio 2016, che ha depenalizzato l’ingiuria. Prima di questa riforma, l’ingiuria costituiva un reato punibile con la reclusione fino a sei mesi o con una multa fino a 516 euro.

Attualmente, l’ingiuria è considerata un illecito civile, non più un reato penale. Questo significa che chi subisce un’ingiuria non può più presentare una denuncia penale, ma deve agire in sede civile richiedendo un risarcimento. La sanzione pecuniaria civile prevista va da 100 a 8.000 euro, a seconda della gravità dell’offesa e delle circostanze.

Nonostante la depenalizzazione, il diritto di ottenere giustizia rimane intatto, semplicemente cambia la sede in cui questo diritto può essere esercitato: non più il tribunale penale, ma quello civile.

Quando si configura il reato di diffamazione sul posto di lavoro

La diffamazione, a differenza dell’ingiuria, rimane un reato penale disciplinato dall’articolo 595 del Codice Penale. Sul posto di lavoro, si configura quando un collega, un superiore o un subordinato offende la reputazione di un lavoratore comunicando con altre persone in sua assenza.

Per costituire diffamazione, l’offesa deve:

  • ledere la reputazione della persona;
  • essere comunicata a più persone;
  • avvenire in assenza della vittima.
    La pena prevista è la reclusione fino a un anno o una multa fino a 1.032 euro. Tuttavia, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, se viene commessa con un mezzo di pubblicità o con un atto pubblico, la pena può aumentare.

Sul luogo di lavoro, esempi tipici di diffamazione includono la diffusione di informazioni false sulle competenze professionali, sulla vita privata o sul comportamento di un collega, specialmente se avviene mediante email aziendali, chat di gruppo o durante riunioni in assenza dell’interessato.

È importante sottolineare che la critica costruttiva o l’esercizio legittimo del potere direttivo da parte dei superiori non costituiscono diffamazione, purché espressi in modo rispettoso e professionale.

Come reagire subito a un’aggressione verbale da parte di un collega

Affrontare un’aggressione verbale sul posto di lavoro richiede azioni immediate e strategiche. Per tutelare i propri diritti, è fondamentale conoscere i passaggi corretti da seguire subito dopo l’incidente.

Segnalazione al datore di lavoro e obblighi aziendali

Quando si subisce un’aggressione verbale da parte di un collega, il primo passo consiste nel segnalare formalmente l’accaduto al datore di lavoro o al responsabile delle risorse umane. Questa comunicazione dovrebbe avvenire per iscritto, preferibilmente via email, descrivendo dettagliatamente l’episodio, specificando data, ora, luogo e persone presenti.

Il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire un ambiente lavorativo sicuro e privo di violenze, come stabilito dal D.Lgs. 81/2008 sulla sicurezza sul lavoro. In caso di inazione da parte dell’azienda, si può valutare un’ulteriore segnalazione all’Ispettorato del Lavoro.

Documentare l’accaduto: email, messaggi, testimoni

Raccogliere prove dell’aggressione verbale è essenziale per qualsiasi azione successiva. Pertanto:

  • conservare messaggi, email o comunicazioni scritte contenenti offese;
  • annotare immediatamente i dettagli dell’episodio in un diario personale;
  • identificare possibili testimoni dell’accaduto;
  • se consentito dalla legge, considerare registrazioni audio dell’incidente.
    Queste prove saranno determinanti sia per eventuali procedimenti disciplinari interni che per azioni legali esterne all’azienda.

Quando è possibile avviare un procedimento disciplinare?

Un procedimento disciplinare può essere avviato quando l’aggressione verbale viola il codice di condotta aziendale o il regolamento interno. Solitamente, il datore di lavoro è tenuto a seguire una procedura specifica: inizialmente viene inviata una contestazione disciplinare al dipendente responsabile, il quale ha diritto a presentare giustificazioni entro cinque giorni. Successivamente, l’azienda può adottare provvedimenti proporzionati alla gravità dell’episodio, dal richiamo verbale fino al licenziamento per giusta causa nei casi più gravi, come previsto dall’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori.

Nel caso in cui l’azienda non intervenga adeguatamente, la vittima può valutare l’opportunità di procedere con azioni legali esterne, considerando sia la via civile per il risarcimento danni che quella penale in caso di diffamazione.

Denuncia e risarcimento per aggressione verbale sul lavoro

Le possibilità di ottenere giustizia e risarcimento per chi subisce aggressioni verbali sul lavoro dipendono dalla classificazione dell’offesa e dalle prove disponibili. Ecco come procedere legalmente.

Quando è possibile sporgere denuncia per diffamazione

Per querelare il responsabile di un’aggressione verbale, l’offesa deve configurarsi come diffamazione. Questo avviene quando:

  • l’offesa lede la reputazione e non rappresenta una semplice critica;
  • viene pronunciata in assenza della vittima e in presenza di almeno altre due persone.

La querela va presentata entro tre mesi dall’episodio. Tuttavia, se l’offesa viene rivolta direttamente alla persona (ingiuria), dal 2016 non costituisce più reato penale ma illecito civile, rendendo impossibile la denuncia alle forze dell’ordine.

Come funziona il risarcimento danni in sede civile

Nel caso di ingiuria, è possibile procedere esclusivamente in sede civile. Il giudice determina il risarcimento secondo equità, poiché non esistono parametri oggettivi per quantificare il danno.

Il colpevole rischia una sanzione pecuniaria da 100 a 8.000 euro, oltre al risarcimento per la vittima. In caso di diffamazione, il risarcimento può essere richiesto sia nel processo penale, attraverso la costituzione di parte civile, sia con un’autonoma causa civile.

Prove necessarie per ottenere un risarcimento

Per ottenere un risarcimento, l’onere della prova ricade sulla vittima, che deve dimostrare:

  • l’esistenza di un danno concreto;
  • il comportamento scorretto o illegittimo dell’aggressore;
  • il nesso causale tra comportamento e danno subito.
    A differenza del processo penale, in quello civile non è sufficiente la testimonianza della vittima. Sono indispensabili prove tangibili come registrazioni, messaggi, email o testimonianze di colleghi.

Aggressione verbale e infortunio sul lavoro: quando si configura?

Un comportamento verbale inappropriato da parte di superiori o colleghi che impatta significativamente sulla salute fisica e psicologica può essere riconosciuto dall’INAIL come infortunio sul lavoro. Questo riconoscimento è avvenuto in casi concreti, come quello di un’infermiera che, dopo un’aggressione verbale, ha dovuto ricorrere al Pronto Soccorso e assentarsi dal lavoro per dieci giorni.

Per ottenere l’indennizzo, il dipendente deve dimostrare che il datore di lavoro avrebbe potuto evitare l’aggressione adottando misure di sicurezza adeguate.

Cosa fare se l’aggressione verbale proviene dal datore di lavoro

Quando le offese e le aggressioni verbali provengono dal datore di lavoro, la situazione diventa particolarmente delicata, poiché entra in gioco la disparità di potere tra le parti. Il lavoratore, tuttavia, non è privo di tutele e può difendersi efficacemente conoscendo i propri diritti.

Limiti del potere direttivo e disciplinare

Il potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro non è illimitato. Sebbene il superiore possa legittimamente impartire direttive e rilevare errori, questi interventi devono sempre rispettare la dignità personale e professionale del dipendente.

Le critiche devono essere costruttive, mai offensive, e soprattutto non possono mai trasformarsi in insulti o umiliazioni pubbliche.

Quando un datore di lavoro utilizza espressioni ingiuriose, toni aggressivi o comportamenti intimidatori, supera i confini del legittimo esercizio del potere direttivo. In questi casi, il lavoratore può documentare gli episodi attraverso registrazioni (se consentite), testimonianze di colleghi o comunicazioni scritte, per poi valutare azioni legali a propria tutela.

Quando si configura il reato di maltrattamenti

Nei casi più gravi, l’aggressione verbale reiterata da parte del datore di lavoro può configurare il reato di maltrattamenti in famiglia o verso subordinati (art. 572 c.p.). Questo si verifica quando:

  • le aggressioni verbali sono sistematiche e continuative;
  • provocano sofferenza, umiliazione e senso di inferiorità;
  • creano un clima lavorativo ostile e intollerabile.

La giurisprudenza ha riconosciuto che il reato può verificarsi anche in ambito lavorativo, specialmente nelle piccole imprese dove il rapporto tra datore e dipendente è più stretto. Le pene previste sono severe: reclusione da due a sei anni, con possibili aggravanti.

Mobbing e dimissioni per giusta causa

L’aggressione verbale continuativa può integrare il fenomeno del mobbing quando è parte di una strategia di persecuzione psicologica sistematica volta a isolare il lavoratore o indurlo alle dimissioni. In queste circostanze, il dipendente può:

  • raccogliere prove dettagliate delle aggressioni subite;
  • presentare un certificato medico che attesti eventuali problemi di salute causati dalla situazione;
  • rassegnare le dimissioni per giusta causa.

Le dimissioni per giusta causa permettono al lavoratore di interrompere immediatamente il rapporto di lavoro senza preavviso, mantenendo il diritto all’indennità di disoccupazione (NASPI). Inoltre, il lavoratore può richiedere un risarcimento per i danni subiti, che comprendono sia il danno biologico (eventuali patologie psicofisiche) sia il danno morale ed esistenziale derivante dalle offese alla dignità personale.

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# Lavoro

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