Utero in affitto: perché in Italia è reato?

Isabella Policarpio

21/02/2019

21/02/2019 - 12:24

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In Italia l’utero in affitto viola le norme sull’adozione. Chi pratica la maternità surrogata rischia la reclusione da tre mesi a due anni ed una multa fino a un milione di euro.

Utero in affitto: perché in Italia è  reato?

Nel nostro Paese la pratica dell’utero in affitto non è consentita poiché integra la fattispecie di illecito affidamento di minori. La legge italiana punisce sia la madre surrogata che porta a termine una gravidanza per altri, sia i committenti, a prescindere che la consegna del neonato sia subordinata al pagamento di un prezzo.

Secondo la Corte di Cassazione, l’utero in affitto viola i diritti del minore ed impedisce alla madre - cioè colei che ha portato a termine la gravidanza - di acquisire i diritti e i doveri che derivano dalla maternità.

La legge punisce il reato di illecito affidamento di minori in maniera molto severa: nelle ipotesi più gravi, il giudice emettere la condanna fino a 2 anni di reclusione e la multa fino a un milione di euro.

Utero in affitto: cos’è la maternità surrogata

L’utero in affitto, anche detto “maternità surrogata”, si ha quando una donna accetta di portare a termine una gravidanza per conto di una persona o di una coppia committente. In alcuni casi la madre surrogata è la madre biologica del neonato, in altri, invece, porta in grembo un bambino di altri genitori naturali. Entrambe le condotte sono punite dall’ordinamento italiano poiché contrastanti con le norme in materia di adozione e tutela dei minori.

La surrogazione di maternità può avvenire sia a titolo gratuito - come un gesto di volontariato - che in cambio di un corrispettivo economico o di un’altra utilità, ma, in entrambi i casi, per legge italiana si tratta di un contratto di maternità vietato perché, dopo la nascita, il neonato viene consegnato alla coppia committente e la madre surrogata non acquista i diritti e i doveri connessi alla maternità.

Perché in Italia è reato?

Nel nostro Paese la pratica dell’utero in affitto non è consentita in quanto contraria alle disposizioni in materia di adozione dei minori.

In particolare, la surrogazione di maternità integra la fattispecie di affidamento illegale di minore, anche se fatta senza fini di lucro. Pertanto, chi riceve il minore dopo la surrogazione di maternità rischia di essere punito per illecito affidamento.

In sostanza si creano due circostanze differenti:

  • chi riceve il neonato integra il reato solo se la consegna è subordinata al pagamento di un prezzo o di un’altra utilità;
  • chi consegna il neonato (quindi la madre surrogata) integra il reato a prescindere dalla pattuizione di un corrispettivo.

Utero in affitto: cosa si rischia?

In tema di utero in affitto e di maternità surrogata, la Corte di Cassazione si è espressa in maniera definita nella sentenza n. 2173 del 17 gennaio 2019. Dunque, secondo i giudici della Cassazione, chi pratica la maternità surrogata viola la disciplina sulle adozioni perché mette i propri desideri al di sopra delle esigenze del minore.

L’utero in affitto, quindi, costituisce una fattispecie di reato a prescindere che sia a titolo oneroso o meno, in quanto integra il delitto di affidamento illegale di minore ex articolo 71 della legge n. 184 del 4 maggio 1983.

In conclusione, per la legge italiana, chiunque realizza, organizza, pubblicizza o commercializza, in qualsiasi forma, gameti o embrioni o la surrogazione di maternità è punito come segue:

  • con la reclusione da 3 mesi a 2 anni;
  • con la multa da 600 mila euro fino a un milione di euro.

Cosa succede a chi si avvale dell’utero in affitto all’estero?

Per aggirare il divieto di maternità surrogata, molte coppie italiane, omosessuali ed eterosessuali, si recano nei Paesi dove la pratica è consentita per poi tornare in Italia e chiedere la trascrizione dell’atto di nascita nei registri dello Stato civile italiani.

In pratica, il bambino viene registrato dall’Ufficiale dello Stato civile estero dove è avvenuta la nascita che rilascia ai genitori un atto dove si attesta la genitorialità, che poi dovrà essere trascritto nello Stato di provenienza. Senza la trascrizione, lo Stato non può riconoscere al bambino lo status di figlio.

Negli ultimi anni la Corte di Cassazione si è espressa più volte sulla validità di questa procedura adottando orientamenti talvolta contrastanti: inizialmente la Corte era orientata a non riconoscere la validità della trascrizione nei registri italiani, considerandola un raggiro alle leggi vigenti; tuttavia, da qualche anno le cose stanno cambiando e la Cassazione non ritiene più che la trascrizione integri il reato di contraffazione e di dichiarazione mendace.

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