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di Glauco Maggi

Tasse aziendali? Biden le alza. Francia, Svezia e altri paesi europei le riducono

Glauco Maggi

6 aprile 2021

Tasse aziendali? Biden le alza. Francia, Svezia e altri paesi europei le riducono

L’amministrazione di Joe Biden decide di alzare la tassazione sui profitti aziendali mentre molti stati europei decidono l’inverso per favorire la rinascita economica. Quale delle due strategie è vincente?

La Borsa USA va a mille, e la benzina sono le vaccinazioni a raffica e i piani di spesa pubblica da circa 5000 migliaia di dollari passati o programmati di recente dal Congresso con la regia di Joe Biden. Il Presidente si gode i record di Wall Street, dopo che in campagna elettorale aveva irriso Trump perché lui li citava sempre nei suoi comizi.

Quanto alla ripresa imponente dei posti di lavoro - quasi un milione creati in marzo - Biden non può vantarsene più di tanto, perché preferisce far passare il messaggio fuorviante, anzi scorretto, che l’economia sia ancora in grave crisi, bisognosa del soccorso dei Democratici. Altrimenti, come giustificare l’abnorme investimento pubblico del piano, cosiddetto, per i posti di lavoro e le “infrastrutture”?

In verità, anche se i media lo presentano pigramente sotto questo titolo, che è quello che vuole la Casa Bianca, dei 2300 miliardi di dollari previsti in totale soltanto 115 miliardi andranno a strade, ponti, autostrade e gallerie, con altri 25 miliardi per gli aeroporti e 17 per i porti e le vie d’acqua. Il resto dei 620 miliardi del capitolo “trasporti” sono sussidi per l’energia verde e "rimborsi ai sindacati per i posti di lavoro che le regolamentazioni per il clima elimineranno”, ha spiegato il Wall Street Journal nell’esame dettagliato delle misure fiscali di Biden.

Altri 174 miliardi sono destinati ai veicoli elettrici, compresa la costruzione di mezzo milione di stazioni di ricarica e nuovi “incentivi” aggiunti al credito federale da 7500 dollari, in vigore da sempre per chi acquista auto elettriche. Tra le altre voci del piano omnibus ci sono poi 213 miliardi per costruire case “a prezzi abbordabili”, 100 miliardi per ristrutturare le scuole, 25 miliardi per nuovi asili e ben 400 miliardi per lo sviluppo dell’assistenza domestica ai bisognosi. “Pensiamo che la cura alle persone sia una essenziale infrastruttura americana”, ha commentato senza ironia Mary Kay Henry, presidente del SEIU, sindacato dei lavoratori dei servizi strettamente alleato ai Democratici.

E’ la prova, di cui peraltro non c’era bisogno, che le eccezionali misure di spesa pubblica fatte passare come vitali per la lotta al COVID (la prima manovra, da 1900 miliardi) e per le “infrastrutture” (la manovra di cui stiamo parlando ora), sono improntate ad una trasformazione radicale dell’economia in salsa verde, affidata al dirigismo governativo come metodo e nel segno della redistribuzione fiscale forzata della ricchezza sul piano sociale. Le elezioni hanno conseguenze, del resto, e Biden aveva preannunciato che avrebbe manovrato a piene mani la leva delle tasse una volta al potere.

Così sta facendo, e in fretta. La settimana scorsa il presidente ha presentato il suo programma, e l’urgenza con cui sta spingendo il Congresso a votarlo risponde a un calcolo politico ovvio. I prossimi due o tre mesi, dedicati come sono allo sprint delle vaccinazioni, mettono la vittoria contro il virus al primo posto nell’attenzione della gente e garantiscono un sentimento positivo ed ottimista diffuso. Siamo in un clima psicologico che non sta ancora valutando le conseguenze che inevitabilmente arriveranno con il piano di inasprimenti tributari proposto e con l’impatto dei miliardi a pioggia. Se sarà un bis, moltiplicato, dell’inefficacia clamorosa del piano da 900 miliardi di Obama nel 2009 (del cui fiasco un emblema è la fallita Solyndra, un’azienda “verde” che ha mandato in fumo 500 milioni di dollari in fondi pubblici) a Wall Street sorgerà più di un dubbio.

La politica fiscale al rialzo di Biden e la scelta dell’Europa

Ma veniamo alle tasse all’orizzonte. L’intervento più vistoso nelle intenzioni di Biden è l’innalzamento della tassa sui profitti aziendali dal 21% al 28% (che in realtà sarà al 32,4%, se si considerano pure le imposte municipali e statali). Il ministro del Tesoro Janet Yellen è stata non solo esplicita nel presentarlo come un atto dovuto e positivo, ma foriero di “imitazioni” internazionali. “C’è stata una corsa verso il basso per la corporate tax e noi speriamo di porvi fine”, ha detto la settimana scorsa. Nel 2017, Trump operò il taglio dal 35% - la tassazione più elevata al mondo sui profitti aziendali - al 21% per ridare competitività all’economia USA. La mossa del presidente Repubblicano non passò inosservata, e in effetti stimolò molte economie avanzate, in Europa ed Asia, ad imitarlo. Negli ultimi quattro anni, per esempio, la Francia è scesa al 32%, l’India al 30%, il Belgio al 25%, la Grecia al 24%, Israele al 23%. La Svezia, che il marxista Bernie Sanders ama citare come modello di regime socialista da seguire, tassa le corporation al 21,4%. E la Cina, che è la minaccia più grave alla egemonia del sistema economico dell’America, tassa le corporation al 25%. Il brutto per Biden, e per le speranze sue e della Yellen di invertire il trend internazionale al ribasso, è la notizia riportata di recente dalla Tax Foundation secondo cui "molti Paesi stanno pianificando di ridurre le loro tasse aziendali nei prossimi anni”. L’Olanda le ridurrà quest’anno dal 25% al 21,5%. La Francia e la Svezia le taglieranno ancora al 25,8% e al 20,6%, rispettivamente. Tutti questi governi non pensano - contrariamente a quanto ha detto Biden mercoledì scorso a Pittsburgh annunciando gli incrementi che ha in animo - che “i tagli di Trump sono stati un male per la competitività americana”. Sono convinti dell’opposto, anzi. “Produrre in Francia sarà più a buon mercato. Niente di più semplice. Certo, il debito andrà ripagato: non alzando le tasse, ma aumentando la crescita”, aveva detto il ministro delle Finanze francese Bruno La Maire annunciando l’estate scorsa il primo taglio. Se la Francia ora insiste nel ribasso, vuol dire che si trova bene con l’attuale livello che attira investimenti. In barba a Joe e Janet.

Glauco Maggi

Giornalista dal 1978, vive a New York dal 2000 ed è l'occhio e la penna italiana in fatto di politica, finanza ed economia americana per varie testate nazionali

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