Russia: è scontro totale con l’Europa. L’Italia ha molto da perdere

Mauro Bottarelli

30 Aprile 2021 - 21:36

Il fronte tra USA e Russia si fa rovente con l’Europa nel mezzo. L’Italia, quarto partner commerciale della Russia, è davvero convinta di schierarsi con l’occidente in questa Guerra?

Russia: è scontro totale con l’Europa. L’Italia ha molto da perdere

Guerra. Diplomatica, per ora. Ma destinata a diventare economica, proprio nel momento in cui l’Europa avrebbe bisogno di tutto, tranne che di ostacoli sul cammino della ripresa.

Lo strappo fra Unione Europea e Russia sancito oggi dalla risoluzione dell’Europarlamento e dall’immediata rappresaglia del Cremlino, il quale ha dichiarato persona non grata il presidente David Sassoli e altri sette alti funzionari, segna non solo il punto più basso delle relazioni bilaterali dalla Guerra Fredda ma anche uno spartiacque politico. Di fatto, la fine dell’era Merkel ha portato in dote un atlantismo aprioristico e miope.

Potenzialmente, suicida. Perché la stampa ha ovviamente sottolineato con enorme rilievo la mossa di Mosca e l’immediata solidarietà bipartisan verso i vertici dell’Ue, salvo scordarsi di fare il proprio dovere. Ovvero, spiegare il vero motivo della reazione così drastica della Russia.

La risoluzione passata all’Europarlamento con 569 voti favorevoli e 67 contrari sembra infatti confezionata dal Dipartimento di Stato Usa, quantomeno nella chirurgicità degli interventi.
Mascherata da difesa dei diritti umani nel caso Navalny e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, dopo l’esercitazione di massa dei militari russi conclusasi pochi giorni fa, la mozione andata al voto di fatto contiene minacce di interventi ritorsivi senza precedenti.
In caso di prosecuzione dell’aggressione contro Kiev, infatti, l’Ue dovrebbe immediatamente bloccare l’import di petrolio e gas dalla Russia, congelare tutti i beni degli oligarchi legati al Cremlino e dei loro familiari, revocarne i visti ed escludere Mosca dal sistema di pagamento internazionale SWIFT. Atto quest’ultimo che i funzionari russi nei giorni scorsi avevano definito come una dichiarazione di guerra, in caso fosse stato intrapreso o ufficializzato.

Ma non basta. Le sanzioni andrebbero a colpire anche il gasdotto Nord Stream 2 che collega direttamente la Russia alla Germania, bypassando proprio l’Ucraina, alla cui ultimazione l’Europa sarebbe chiamata a mettere il veto, proprio ora che al termine dei lavori mancano gli ultimi 100 chilometri. Infine, stop alla collaborazione con Rosatom sui progetti relativi a centrali nucleari. Casualmente, uno degli obiettivi prioritari di Mike Pompeo quando era alla guida del Dipartimento di Stato e che il suo successore, Tony Blinken, ha immediatamente inserito in agenda, insieme a Hong Kong e Taiwan.
E le pressioni Usa devono essersi fatte irresistibili nelle ultime settimane, poiché solo lo scorso agosto una delegazione Ue aveva infatti respinto le nuove sanzioni statunitensi contro soggetti che cooperassero con Gazprom nel progetto. Tra gli altri, la tedesca Uniper, l’austriaca OMV, la Wintershall Dea di BASF, la società petrolifera anglo-olandese Shell e la francese Engie.

Di fatto, la pressoché totale assenza di opposizione in sede europea a una risoluzione così mirata e dura mostra chiaramente come la linea Merkel di tutela degli interessi tedeschi e comunitari in campo energetico sia stata spazzata via dalla prospettiva del voto legislativo del 26 settembre in Germania. Gli Usa, d’altronde, non avevano perdonato alla Cancelliera la sua decisione di accelerare al massimo la firma del memorandum commerciale con la Cina negli ultimi giorni di presidenza di turno tedesca, sul finire dello scorso anno. Oggi, apparentemente, la vendetta è stata consumata.

Alla luce di un impianto di minaccia sanzionatoria simile, appare quindi ridicolo scandalizzarsi per la nettezza della risposta giunta dal Cremlino. Tanto più che, stante il ramoscello d’ulivo appena teso da Joe Biden verso Vladimir Putin e Xi Jinping, l’Europa pare paradossalmente impegnata in qualità di manovale del lavoro sporco per interessi terzi. Cosa c’entri infatti la questione territoriale ucraina e, ancor di più, la vicenda di Andrei Navalny con il completamento di North Stream 2 appare difficile da spiegare, quantomeno evitando il ricorso alla malafede. Il timing, poi, tradisce un lavorio sotterraneo proseguito per settimane dall’insediamento della nuova amministrazione Usa.

Ma al netto della geopolitica e degli interessi energetici europei, due sono i dati di fatto eclatanti. Primo, l’aver messo nero su bianco l’opzione di esclusione della Russia dal sistema di pagamento SWIFT, di fatto una sorta di tagliola finanziaria che appare prodromo di un attacco al rublo e dell’obbligo per Mosca di mettere mano alla sua opzione estrema, il dispiegamento delle enormi riserve auree come garanzia della valuta.
Passo pericolosissimo a livello di equilibri geo-finanziari, soprattutto in era di criptovalute e di yuan digitale ormai pronto all’esordio operativo su media scala nella Cina mainland.
Il nuovo e il vecchio bene rifugio, oro e cripto, entrambi nemici giurati del ruolo benchmark del dollaro, costretti a uscire anzitempo allo scoperto: una strategia talmente sottile e alta da escludere la sua gestazione all’Europarlamento. Ma potenzialmente esplosiva, in primis verso i Paesi di prossimità.

Il secondo effetto sgradito, guardando più al nostro orticello di casa, arriva dai dati elaborati dalla Luiss e forniti dall’ICE (Istituto per il Commercio Estero), in base ai quali l’Italia - pur con una diminuzione del 3,2% - ha chiuso il 2019 confermando la propria posizione di quinto fornitore della Federazione Russa, dopo Cina (-1,8%), Germania (-2,6%), Stati Uniti (-6,9%), Bielorussia (-7,3%). L’interscambio per quell’anno è stato pari pari a 22,5 miliardi di euro, con vendite verso la Federazione pari a 9,7 miliardi di euro su base annuale, quando il nostro export faceva registrare un incremento annuale dell’8,5% rispetto al 2018, stando a quanto dichiarato da Francesco Pensabene, direttore dell’ICE di Mosca.

A livello settoriale e con riferimento ai primi cinque mesi del 2019 (pre-Covid), la meccanica si confermava il primo comparto per il made in Italy in Russia con il 40,1% di quota sul totale, pari a 1,3 miliardi di euro, mentre la performance migliore nel periodo preso in esame è stata registrata dal cosiddetto Sistema Casa, cresciuto del 12,3%. Senza scordare chimica e farmaceutica, moda, agroalimentare e bevande, metalli comuni e mezzi di trasporto.

Al netto di una seconda ondata di lockdown che ha duramente colpito il Pil tedesco nel primo trimestre, tanto da aver trascinato l’intera eurozona in area di recessione double dip, come mostra il grafico, valeva davvero la pena di scatenare una guerra diplomatica preventiva con questi toni contro un partner commerciale ed energetico di primo livello?

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Fonte: Financial Times

Difficile non vedere un’impostazione prettamente politica e ideologica dietro la scelta dell’Europarlamento di lanciare il guanto di sfida verso Mosca, soprattutto alla luce dell’atteggiamento da bastone e carota scelto invece da Washington. A volte, volendo apparire più realisti del Re, si rischia di precipitare nel ridicolo. O di trovarsi in guai molto più seri di quanto si sia in grado di gestire.

Una cosa è certa: l’informazione italiana non offre un bel servizio ai cittadini, parlando unicamente di ritorsione russa per il caso Navalny. Dietro c’è molto, molto di più. E di ben distante dagli interessi europei che si sventolano.

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