Pensione, quando investire nei contributi volontari: cosa sapere per non sprecare soldi

Simone Micocci

26 Gennaio 2022 - 13:13

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Investire sul versamento di contributi volontari (o da riscatto) utili ai fini della pensione: quando conviene? Quali valutazioni fare per non rischiare di sprecare i propri risparmi.

Pensione, quando investire nei contributi volontari: cosa sapere per non sprecare soldi

Chi ha dei soldi da investire può sicuramente prendere in considerazione l’idea di accedere allo strumento del versamento volontario dei contributi così da assicurarsi una pensione d’importo soddisfacente.

Tuttavia, prima di decidere se vale la pena investire sul versamento volontario, come pure su eventuali possibilità di riscatto di periodi non coperti da contribuzione, bisogna fare delle considerazioni per non rischiare di sprecare i propri risparmi, risorse che potrebbero essere orientate su investimenti più convenienti.

Contributi volontari: come funzionano e quando sono importanti

Il lavoratore che ha cessato o interrotto l’attività lavorativa può accedere al versamento volontario dei contributi. Uno strumento che dunque si applica nei casi di licenziamenti, crisi di settore, ristrutturazioni aziendali o anche dimissioni incentivate: in tutti questi casi, dunque, chi perde il lavoro può comunque conservare i diritti derivanti dall’assicurazione previdenziale obbligatoria.

Per questo è consigliato, in caso di perdita del lavoro, chiedere all’INPS l’autorizzazione a versare i contributi volontari. Anche perché l’autorizzazione quando concessa non obbliga il richiedente a versare i contributi ogni mese: come si legge chiaramente sul sito dell’Istituto, infatti, “i versamenti volontari, anche se interrotti, possono essere ripresi in qualsiasi momento senza dover presentare una nuova domanda”, in quanto “l’autorizzazione concessa non decade mai”.

Tuttavia, i versamenti volontari hanno un costo, pari alla stessa cifra che sarebbe stata versata dal datore di lavoro qualora il richiedente avesse continuato a lavorare. Per averne un’idea ecco un rapido e semplificato calcolo: basta prendere come riferimento la retribuzione percepita nell’ultimo anno di lavoro e applicare l’aliquota di computo in vigore che per il lavoro subordinato è generalmente pari al 33%.

Questo significa che con una RAL di 30.000,00€ bisogna farsi carico ogni anno di 9.900,00€, che suddivisi per 52 settimana equivalgono a circa 190€ per ogni contributo settimanale.

Il versamento volontario dei contributi tuttavia non può riguardare periodi pregressi, con l’eccezione dei sei mesi precedenti a quelli in cui viene presentata richiesta di autorizzazione all’INPS. Diverso il discorso dei contributi da riscatto, ossia per quei periodi non coperti da contribuzione comunque riscattabili ai fini della pensione. È il caso, ad esempio, del riscatto della laurea, come pure del riscatto dei periodi intercorrenti tra un rapporto di lavoro e l’altro nel caso di lavori discontinui, stagionali, temporanei.

Per il calcolo dell’onere di cui farsi carico per il riscatto dei contributi vale la regola suddetta, almeno nella maggior parte dei casi: va presa la retribuzione percepita nell’ultimo anno di lavoro precedente a quello in cui si presenta domanda di riscatto, e di questa si prende solamente l’aliquota contributiva (pari al 33% per i lavoratori dipendenti).

Per questo motivo il riscatto conviene chiederlo quando si è inoccupati, in quanto in quel caso l’aliquota si applica sul reddito minimo della Gestione Artigiani e Commercianti, nel 2022 pari a 15.953,00€. Questo significa che per ogni anno di contributi vanno versati 5.264,49€, circa 100€ per ogni contributo settimanale.

Lo stesso sistema si applica sempre per chi richiede il riscatto agevolato della laurea: per questi, infatti, l’onere viene comunque calcolato tenendo conto del reddito minimo della Gestione Artigiani e Commercianti, indipendentemente se occupati o disoccupati.

Contributi volontari: valutare bene l’investimento

Guardando alle cifre suddette, dunque, è chiaro che farsi carico della contribuzione volontaria, come pure da riscatto, richiede uno sforzo economico non indifferente. Nel migliore dei casi, ad esempio, per riscattare un corso di studi universitario di cinque anni bisogna versare più di 25.000€.

Prima di effettuare l’investimento, quindi, è bene capire se conviene ossia quali sono le conseguenze. Ebbene, il versamento volontario dei contributi è utile tanto per perfezionare i requisiti di assicurazione e di contribuzione necessari ai fini del raggiungimento al diritto alla pensione, come pure per incrementare l’importo del trattamento pensionistico.

Attenzione al caso del riscatto agevolato della laurea: questo ha sì un costo più basso rispetto al riscatto ordinario (dove invece si guarda all’ultima retribuzione per il calcolo dell’onere), ma anche vero che i contributi da riscatto si considerano solamente ai fini del raggiungimento del diritto alla pensione. Come dire che si paga per andare in pensione prima, ma quanto versato non ve lo ritroverete sull’assegno.

La prima valutazione da fare, quindi, è se effettivamente grazie al riscatto dei contributi si riesce ad andare in pensione in anticipo. Prendiamo due esempi:

  • lavoratore 60enne con 30 anni di contributi che può riscattare i 5 anni di Università;
  • lavoratore 60enne con 40 anni di contributi che improvvisamente perde il lavoro.

Nel primo caso questo può arrivare al massimo a 35 anni di contributi e dunque il riscatto della laurea non sarebbe comunque sufficiente per anticipare l’accesso alla pensione. I 42 anni e 10 mesi utili per l’accesso alla pensione anticipata, infatti, non verranno comunque maturati prima del compimento dei 67 anni, soglia che permette l’accesso alla pensione di vecchiaia.

Questo, dunque, nel valutare se conviene o meno riscattare la laurea dovrà prendere in esame quanto appena detto e quindi decidere se vale la pena investire una certa somma solamente per aumentare l’importo della pensione futura. Una valutazione che di fatto esclude la possibilità di optare per il riscatto agevolato, in quanto in quel caso si tratterebbe solamente di uno spreco di risorse.

Nel secondo caso, invece, il lavoratore 60enne che perde il lavoro potrà invece farsi carico di una contribuzione volontaria per 2 anni e 10 mesi, garantendosi l’accesso alla pensione molto prima rispetto al compimento dei 67 anni. E inoltre quanto versato garantirebbe anche un aumento della pensione futura.

Quali valutazioni fare dunque? Rispondere a priori se investire nel versamento volontario dei contributi conviene o meno non è possibile visto che ogni situazione è a sé.

Possiamo però dire che quando questa operazione consente di anticipare l’accesso alla pensione di molti anni, o comunque di maturare il diritto alla pensione in quanto diversamente il requisito contributivo non sarebbe stato raggiunto, può anche essere conveniente farsi carico della spesa prevista. Diverso il caso in cui si decida di accedere a questi strumenti solo per aumentare la propria pensione, visto che l’effetto sull’assegno potrebbe essere alquanto limitato.

Pensiamo, ad esempio, a un riscatto della laurea da 30.000,00€ totali. Questo importo si va a sommare al montante contributivo (quando il corso di studi è successivo al 1° gennaio 1996) e quindi influisce sull’importo finale della quota di pensione calcolata con le regole del contributivo.

Nel dettaglio, andando in pensione a 67 anni, con un coefficiente di trasformazione pari al 5,575%, i 30.000,00€ versati garantirebbero un aumento della pensione pari a 1.672,50€ l’anno, circa 140€ al mese (ovviamente lordi).

Bisogna capire, dunque, se l’investimento sarebbe conveniente o meno. Qualora questo non fosse così necessario ai fini del raggiungimento del requisito contributivo, e quindi si stesse valutando tale possibilità solo per aumentare l’importo della pensione futura, sarebbe più opportuno valutare prima se ci sono degli investimenti alternativi che garantirebbero una rendita maggiore.

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