Naspi, l’assenza dal lavoro non è una giusta causa per il licenziamento: la sentenza

Teresa Maddonni

10 Giugno 2022 - 14:36

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Niente Naspi per chi si assenta dal lavoro senza una giusta causa e non si produce quindi il licenziamento. L’assenza prolungata equivale a dimissioni secondo una sentenza del Tribunale di Udine.

Naspi, l’assenza dal lavoro non è una giusta causa per il licenziamento: la sentenza

Per avere diritto alla Naspi l’assenza prolungata dal lavoro non è più considerata una giusta causa di licenziamento, o almeno questo è quello che stabilisce una recente sentenza del Tribunale del Lavoro di Udine. Ma perché?

La sentenza risponde a una tattica che potrebbe essere utilizzata dai lavoratori che non volendosi dimettere perché non avrebbero diritto all’indennità di disoccupazione Naspi, inducono con il loro comportamento il datore di lavoro a licenziarli. In che modo? Assentandosi senza una giustificazione in modo prolungato dal lavoro per esempio.

Il datore di lavoro può pertanto procedere in questi casi al licenziamento per giusta causa del dipendente per assenza ingiustificata. In verità, ed è questo quello che stabilisce la sentenza, si tratterebbe in molti casi di dimissioni occulte. I dettagli.

Naspi, quando l’assenza non è una giusta causa di licenziamento: il caso

Per prendere la Naspi l’assenza reiterata dal lavoro senza giustificazione potrebbe non essere più una giusta causa per il licenziamento. Sparire infatti dal lavoro con una assenza reiterata è un comportamento che nasconderebbe delle dimissioni occulte e che sarebbe pertanto solo volto a indurre il datore di lavoro a licenziare il dipendente. Le dimissioni dal lavoro infatti non danno diritto, secondo la normativa vigente, all’indennità di disoccupazione.

La sentenza del Tribunale del lavoro di Udine porrebbe quindi un freno a questa tendenza. Il giudice ha esaminato proprio il ricorso di una lavoratrice licenziata dal lavoro per assenza ingiustificata.

La lavoratrice avrebbe pertanto diritto alla Naspi stando alla normativa vigente, ma il datore di lavoro, e da qui il ricorso, ha indicato al Centro per l’Impiego la fine del rapporto di lavoro come dimissione e non come licenziamento; solo in questo secondo caso infatti la ricorrente avrebbe avuto diritto alla Naspi.

In tal caso tuttavia la lavoratrice verrebbe tutelata dal Jobs Act e in particolare dall’articolo 26 del decreto legislativo n. 151/2015. Questo articolo, introdotto per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco, stabilisce che “le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sono fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali attraverso il sito www.lavoro.gov.it e trasmessi al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente con le modalità individuate con il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di cui al comma 3.”

Lo stesso articolo stabilisce che il lavoratore può recedere dalle dimissioni, entro 7 giorni dalla trasmissione telematica, con le stesse modalità. Stando a questa norma la ricorrente non avrebbe manifestato le dimissioni, ma il giudice di Udine riconosce l’atteggiamento che porterebbe a dichiarare in modo implicito la volontà di dimettersi.

Naspi, assenza dal lavoro e licenziamento: la sentenza

Esaminando pertanto il ricorso della lavoratrice che non aveva diritto alla Naspi, il giudice friulano, pur avendo presente il succitato articolo 26 del Jobs Act, si richiama al codice civile articoli 2118 e 2119 che vanno a disciplinare il recesso del contratto a tempo indeterminato e il licenziamento per giusta causa.

Il codice infatti stabilisce che per recedere da un contratto è sufficiente anche la volontà manifestata dal lavoratore di voler procedere in tal senso, attraverso le sue azioni effettive, come nel caso di chi si assenta in modo prolungato senza una giustificazione, quello che si definisce atteggiamento concludente in giurisprudenza. Stando a ciò il lavoratore dimostrerebbe, assentandosi, la volontà di dimettersi, non avendo pertanto potenzialmente diritto alla Naspi.

Il Tribunale di Udine proprio per evitare che non si vada a indurre il datore di lavoro al licenziamento quando ci si trova di fatto davanti a dimissioni volontarie, ha ripreso la legge delega 183/2014 del Jobs Act in merito al comportamento concludente del lavoratore.

Nella sentenza, riguardo ai comportamenti assunti dalla lavoratrice, si legge che “si tratta di atteggiamenti i quali lasciano presumere che l’intento perseguito sia quello di conseguire illegittimamente l’indennità Naspi, riconosciuta nella sola ipotesi di disoccupazione involontaria e che, pertanto, non viene corrisposta laddove la disoccupazione non sia tale”.

Il giudice ha riconosciuto quindi le dimissioni come di fatto e pertanto legittime dal momento che i suddetti comportamenti "rilevano la carenza di volontà del lavoratore di proseguire nel rapporto di lavoro”.

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