Dalla guerra commerciale alle diffidenze attorno al settore del tech, lo scenario economico mondiale è vittima di oscillazioni continue. Ma cosa cambia davvero per gli investitori?
Un ritorno di volatilità sul mercato ha portato ad una nuova normalità per gli investitori dopo lungo tempo caratterizzato da livelli di paura ai minimi record e da totale remissività. Ma questo vuol dire che gli investitori hanno davvero qualcosa da temere per il 2018?
Dai tweet del presidente Trump al rischio di una guerra commerciale, passando per la Corea del Nord, l’Iran, i prezzi del petrolio in rialzo, i titoli tecnologici in calo per i timori sulla violazione della privacy (vedi lo scandalo Cambridge Analytica), l’aumento dei rendimenti dei Treasury statunitensi a 10 anni, la politica della Federal Reserve e, ovviamente, la pubblicazione degli utili societari - non mancano circostanze per cui preoccuparsi.
Molti investitori, anche specializzati nell’investimento a lungo termine, non hanno dormito bene la notte con l’avvicinarsi della pubblicazione di una serie di trimestrali di società ad alta capitalizzazione negli Stati Uniti, tutte concentrate nella stessa settimana; cosa che potenzialmente avrebbe potuto causare enormi oscillazioni nei risultati del suo fondo.
Di solito i trader di lungo termine sono fedeli ai fondamentali economici, eppure in questo ambiente di trading tutti vengono colpiti dai grandi movimenti azionari.
Altri credono che i tori siano in fase di negazione. È il caso di Francesco Filia, amministratore delegato e CIO di Fasanara Capital, che ha sottolineato come per molti le cose siano sostanzialmente rimaste come prima, mentre risulta per lui evidente che “tutto è cambiato” - la volatilità in rialzo e il trend in via di esaurimento sono per lui i rischi maggiori.
Secondo Filia il sell-off del mercato può essere considerevole, e ad oggi “non abbiamo ancora visto nulla”; ha infine descritto l’attuale mercato come “una palla che colpisce il marciapiede e rimbalza”.
Il ciclo economico è la chiave che spiega il sentiment degli investitori. NN Investment Partners ha individuato nel suo sondaggio Global Cycle Indicator relativo a famiglie e imprese che, per la prima volta dal 2016, il momentum del ciclo economico non sta più migliorando rispetto ai tre mesi precedenti; il che spiega perché il mercato è diventato più esposto ai fattori di rischio derivanti dalla politica o dai venti contrari che soffiano nel settore tecnologico.
Un invito alla cautela arriva anche dall’ultimo sondaggio pubblicato da BofA Merrill Lynch sui fund manager, il quale ha rilevato come gli investitori preferiscano rimanere con la liquidità in mano, riducendo al contempo la loro allocazione di capitali in titoli azionari ad un valore ai minimi di 18 mesi. Questo malgrado un dato oggettivo che vede il contante suscitare pochissimo interesse negli ultimi anni, con bassi tassi d’interesse nel migliore dei casi e tassi negativi nel peggiore.
Tuttavia, nonostante la crescente diffidenza nei confronti dei mercati, molti investitori credono sia ancora troppo presto per togliere il piede dall’acceleratore, timorosi di perdere guadagni.
Sheila Patel, amministratore delegato di Goldman Sachs Asset Management, ha dichiarato recentemente alla CNBC che malgrado prevalga la cautela in alcuni settori, non è ancora il momento per prepararsi ad un crack del mercato.
Il problema è cosa detenere in caso di un altro sell-off del mercato, ma gli osservatori ancora non concordano sul fatto che i mercati emergenti possano offrire un riparo o meno.
Geoffrey Yu, a capo dell’Investment Office inglese di UBS, è al momento fiducioso sulle condizioni di mercato, ma ha riconosciuto che ci sono degli ostacoli e ha mostrato dubbi sul fatto che i mercati emergenti possano performare diversamente da quelli sviluppati in un qualsiasi sell-off.
Argomento rafforzato dai mercati azionari di quest’anno, visto che alcuni indici emergenti sono in territorio negativo proprio come quelli sviluppati.
Patel ha però sottolineato che la volatilità non rappresenta necessariamente un nemico per i mercati emergenti; se infatti analizziamo la storia dei mercati volatili, tornando indietro al 2008 e al 2009, vediamo che alcuni mercati emergenti - sia sul fronte azionario che su quello obbligazionario - hanno sovraperformato l’indice S&P in entrambi gli anni, due dei più volatili che si siano visti.
Tuttavia, il consenso è unanime tra i gestori di fondi per quel che riguarda la strategia generale per investire sul mercato: rimanere attivi e selettivi. Una vera e propria sfida contro i trade passivi moltiplicatisi nei mercati emergenti negli ultimi anni.
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