Ecco le 10 multinazionali che controllano il mercato dell’alimentazione

Simone Micocci

30 Giugno 2015 - 15:01

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Le 10 multinazionali che controllano il settore dell’alimentazione danneggiando l’ambiente e il mercato. Ecco quali sono e come il monopolio sta distruggendo il territorio.

Ecco le 10 multinazionali che controllano il mercato dell’alimentazione

Quando si entra in un supermercato, non si è immuni alla difficoltà optare per un prodotto anziché per un altro. Sono numerosi, infatti, i brand che affollano gli scaffali, lasciando al consumatore la libertà di scegliere tra più marchi.

Questa libertà tuttavia non è reale, se visualizzata in una dimensione macroeconomica: i principali marchi dell’alimentazione dei prodotti che ogni giorno vengono acquistati, in realtà, sono riconducibili a sole 10 multinazionali, che hanno monopolizzato il mercato mondiale dell’alimentazione.

È questa l’accusa di Oxfam, che in un’indagine ha rilevato come 500 grandi marchi sono proprietà di dieci multinazionali. Il fatturato annuo complessivo di queste aziende è di 450 miliardi di dollari, con 7.000 miliardi di capitalizzazione; in poche parole l’equivalente della somma dei PIL dei paesi sottosviluppati.

Le 10 multinazionali che controllano il cibo: quali sono?
Le multinazionali che possiedono il maggior numero dei marchi sono 10:

  1. Associated British Foods (ABF),
  2. Nestlé,
  3. PepsiCo,
  4. Coca-Cola,
  5. Danone,
  6. General Mills,
  7. Kellogg’s,
  8. Mars,
  9. Mondelez Internatonal,
  10. Unilever.

Non tutti naturalmente hanno la stessa consistenza: la più ricca è la Nestlé, con i suoi 93 miliardi di fatturato, mentre la seconda è la Pepsi-Cola che supera abbondantemente la “rivale” Coca Cola che con “soli” 44 miliardi di fatturato si posiziona come quinta nella classifica generale.

Questo quadro però non è definitivo: sono frequenti, infatti, le fusioni e gli accorpamenti, come quello del marzo scorso, quando la Kraft è stata fusa con la Heinz.

In una visione a lungo termine esiste quindi la prospettiva che il numero delle multinazionali si riduca sempre di più, e secondo Oxfam, questo comporterebbe un grave danno alle politiche del lavoro.

Le multinazionali del cibo distruggono il territorio
Oxfam International è una confederazione di diciassette organizzazioni non governative che si occupano di risolvere il problema della fame nel mondo. Lo scorso anno questa ha pubblicato un dossier dove sono state valutate le politiche sociali e ambientali di queste grandi multinazionali, con l’obiettivo di indirizzarle verso una maggiore tutela del territorio e del lavoratore.

I risultati dell’indagine sono decisamente preoccupanti: voti bassi sono stati dati alle politiche della gestione dell’acqua e in quelle di gestione agraria.

Non è stata immune da critiche la tutela dei diritti del lavoratore, in particolare della donna, ritenuta insufficiente nel maggior numero delle multinazionali.

Dati allarmanti anche per la tutela dell’ambiente: il totale di gas serra introdotto nell’atmosfera è di 263,7 milioni di tonnellate nel 2013. Se ipoteticamente le dieci multinazionali si fondessero in un’unica nazione, sarebbero al venticinquesimo posto nella classifica dei paesi più inquinanti.

Ciò che manca, secondo Oxfam, è una politica condivisa che riesca a risolvere i problemi della povertà, della tutela del territorio, e della difesa dei diritti del lavoratore.

Multinazionali alimentari, cosa succede in Italia?

In Italia la situazione è differente. Le grandi multinazionali italiane non si avvicinano ai fatturati delle dieci elencate in precedenza, con la sola Ferrero che, con 8,4 miliardi di euro di fatturato, insidia la Kellogg’s (13 miliardi). Quest’ultima però, tra le dieci, si colloca in ultima posizione.

Questo perché il mercato italiano è caratterizzato da una sorta di particolarismo, con la preferenza per la piccola media impresa.

Le aziende italiane che hanno un fatturato che supera il miliardo di euro, quindi, sono decisamente poche: tra queste spiccano la Amadori, la Parmalat e la Lavazza.

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