Lavoro: lo hanno perso 3,7 milioni di italiani. Le conseguenze del lockdown

Teresa Maddonni

17/04/2020

28/07/2020 - 11:59

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Lavoro: lo hanno perso 3,7 milioni di italiani, venendo spesso meno l’unica fonte di reddito familiare. Queste sono le conseguenze del lockdown secondo un’analisi della Fondazione studi dei Consulenti del Lavoro. A soffrire di più chi ha lo stipendio più basso e gli autonomi.

Lavoro: lo hanno perso 3,7 milioni di italiani. Le conseguenze del lockdown

Lavoro: lo hanno perso 3,7 milioni di italiani secondo i Consulenti del Lavoro. Sono queste le pesanti conseguenze del lockdown per chi si è visto venir meno l’unica fonte di reddito familiare.

Se da una parte i dati ci parlano di oltre il 50% degli italiani ancora al lavoro nonostante il lockdown l’analisi della Fondazione studi dei Consulenti del Lavoro lancia l’allarme per oltre 3 milioni e mezzo di famiglie.

Abbiamo già visto come secondo INPS con i settori bloccati per l’emergenza COVID-19 il rischio di povertà e disuguaglianza lavorativa sarà più grande una volta usciti dall’impasse.

Ad aver perso il lavoro ed essere più colpiti chi aveva già un reddito basso, coppie con figli e genitori single e autonomi.

Lavoro: lo hanno perso 3,7 milioni di italiani a causa del lockdown

Il lavoro lo hanno perso 3,7 milioni di italiani a causa del lockdown. L’analisi della Fondazione studi Consulenti del Lavoro, ha messo in luce come a causa della sospensione delle attività per COVID-19 sono 3,7 milioni i lavoratori italiani che hanno perso il lavoro, vale a dire l’unica fonte di reddito familiare. I Consulenti del Lavoro dividono gli stessi per tipologie:

  • 1.377 le coppie con figli vale a dire il 37%;
  • 439 i genitori single vale a dire il 12%.

Ciò che allarma di più i Consulenti del Lavoro è l’analisi del salario di coloro che hanno perso il lavoro perché il 47,7% di coloro che appartengono ai settori bloccati (come li abbiamo definiti) guadagnavano meno 1.250 euro mensili e il 24,2 % si trovano sotto la soglia dei 1.000 euro.

Questa analisi sembra in qualche modo confermare quanto evidenziato dall’INPS nello studio di cui abbiamo detto sopra e vale a dire che i lavoratori con salari più bassi e che vivono nella precarietà sono coloro che hanno perso il lavoro, che appartengono ai settori bloccati dall’emergenza e che rischieranno di trovarsi più poveri poi.

Dallo studio della Fondazione dei Consulenti del Lavoro appare un dato interessante: sembra che le donne siano quelle meno in difficoltà perché maggiormente impiegate nel pubblico. Tuttavia 2,5 milioni di donne, part-time e addette alla vendita, hanno nel 65,8% dei casi uno stipendio al di sotto dei 1.250 euro.

L’analisi mostra come le conseguenze del lockdown siano state pesanti per il lavoro al Sud, dove è massiccia la presenza di lavoratori “fermi” monoreddito. Questa è la percentuale:

  • 49,6% al Sud;
  • 35,2% al Centro;
  • 34,3% al Nord.

Marina Calderone, la Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha dichiarato:

“I provvedimenti adottati a tutela della salute pubblica hanno esposto a maggiore rischio proprio i lavoratori meno qualificati e a più basso reddito, che avrebbero invece avuto bisogno di più tutele. Si pensi alla chiusura dei comparti manifatturieri, al lavoro artigiano e operaio, all’edilizia o al commercio.”

Lavoro: la crisi degli autonomi con il lockdown

Secondo i Consulenti del Lavoro la crisi maggiore è anche quella degli autonomi a causa del lockdown. È facile intuirlo se si pensa alle tante domande per ottenere il bonus di 600 euro per le partite IVA che ha mandato addirittura in tilt il sito dell’INPS. Dall’analisi si evince che la quota degli autonomi che non lavorano per le chiusure imposte a causa dell’emergenza coronavirus è più alta:

  • 55% rispetto al 38,2% dei lavoratori dipendenti;
  • il 42% degli autonomi è monoreddito rispetto al 38% dei dipendenti.

Come si evince in ogni caso, sia per autonomi che per dipendenti, molti sono i nuclei monoreddito dove viene meno l’unica entrata e di conseguenza una situazione di disagio e precarietà grave. Meglio se la passano i lavoratori della conoscenza, chi ha già un reddito elevato e una più alta qualifica. Calderone ha osservato, nel commento allo studio:

“Chi ha potuto contare sulla continuità lavorativa tramite smart working sono stati soprattutto i lavoratori della conoscenza, impiegati e quadri di aziende pubbliche e private, professioni a più alta qualificazione, che vantano titoli di studio e redditi più elevati. In tale ottica, l’emergenza COVID-19 sta avendo a livello occupazionale un vero e proprio effetto divaricante, amplificando il disagio sociale in quei segmenti socio-territoriali che già si trovavano in condizioni economiche molto precarie e mettendo in grande difficoltà anche quella vasta platea di famiglie abituata a gestire con grande oculatezza il proprio bilancio mensile e che non può contare su una riserva di risparmio sufficiente a garantire la copertura da eventuali rischi o emergenze come l’attuale.”

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