Traduciamo un articolo del capo economista al Fondo Monetario Internazionale Olivier Blanchard pubblicato su voxeu intitolato "La politica monetaria non sarà più la stessa"
Circa due settimane fa il Fondo Monetario Internazionale organizzò una grande conferenza in onore di Stanley Fischer. Il tema principale era la crisi economica. Ecco qui un estratto del mio discorso. Ho deciso di focalizzarmi sulla problematica della politica monetaria. Prima di addentrarmi nella questione vorrei però sottoporre alla vostra attenzione due importanti conclusioni che sono state raggiunte.
- Primo, avere i conti pubblici in ordine è un vantaggio consistente quando c’è una crisi. Rispetto a situazioni passate, una saggia politica fiscale attuata prima della crisi ha dato ai paesi emergenti lo spazio per poter attuare misure fiscali controcicliche allo scoppio della crisi, e ciò ha fatto la differenza.
- Secondo, dopo una crisi finanziaria è essenziale ripulire e ricapitalizzare le banche. Questo non avvenne in Giappone negli anni ’90, ed è stato molto costoso per la popolazione nipponica. Negli Stati Uniti invece le banche sono state salvate, e questo ha favorito la ripresa del Paese.
Torniamo adesso alla politica monetaria, e cerchiamo di toccare tre argomenti:
- le implicazioni della trappola della liquidità
- l’immissione di liquidità
- la gestione dei flussi di capitale
La trappola della liquidità
Abbiamo scoperto, a caro prezzo per nostra sfortuna, che la soglia limite del tasso d’interesse può essere vincolante per un lungo periodo di tempo - cinque anni allo stadio attuale. Abbiamo inoltre scoperto che, nonostante ciò, c’è ancora molto spazio per la politica monetaria.
L’evidenza più netta risiede nel fatto che una politica monetaria non convenzionale può influenzare sistematicamente i premi per il rischio, riuscendo a flettere la curva dei rendimenti attraverso gli effetti di portafoglio. Rimane comunque il fatto che, rispetto ad una politica monetaria più convenzionale, gli effetti di misure straordinarie sono molto limitati ed incerti.
C’è quindi molto da dire su come evitare la trappola della liquidità nel futuro, e ciò fa emergere nuovamente la questione del tasso d’inflazione. C’è ormai un ampio consenso sul fatto che nei paesi più avanzati un’inflazione più elevata di quella attuale sarebbe un toccasana. Presumibilmente, se l’inflazione fosse stata più elevata nel periodo pre-crisi, sarebbe stata più elevata anche oggi. Più concretamente, se l’inflazione fosse stata di 2 punti percentuali più elevata prima della crisi, nella migliore delle ipotesi è che sarebbe stata più elevata oggi di 2 punti percentuali, il tasso reale sarebbe di 2 punti percentuali più basso e negli Stati Uniti saremmo più vicini ad un un’uscita da tassi nominali pari a zero, ossia dalla trappola della liquidità.
Non dovremmo inoltre buttare via la possibilità, sollevata da Larry Summers, del bisogno di tassi reali negativi per un lungo periodo di tempo. I paesi potrebbero in principio raggiungere tassi reali negativi tramite bassi tassi nominali e inflazione moderata. Invece, stiamo affrontando ancora al giorno d’oggi il pericolo di un continuo feedback negativo, in cui una caduta della domanda conduce ad una caduta dell’inflazione, seguita da più elevati tassi d’interesse reali, i quali conducono a loro volta ad una ulteriore caduta della domanda.
L’immissione della liquidità
Nelle economie avanzate (anche qui, il discorso può essere esteso ad altri paesi) abbiamo imparato che le fughe di capitali sono rilevanti non solo per le banche, ma anche per altre istituzioni finanziarie e per i governi. In un contesto di elevati debiti pubblici, rischi di un mancato rinnovo non possono essere esclusi. Un’implicazione, sollevata ed enfatizzata anche da Paul Krugman, è che è essenziale avere un banca centrale che operi come prestatore di ultima istanza, pronta a fornire liquidità non solo alle istituzioni finanziarie ma anche ai governi. L’evidenza sui titoli sovrani della periferia dell’Eurozona, sia prima che dopo l’annuncio della BCE delle Outright Monetary Transactions, è piuttosto convincente su questo punto.
La gestione dei flussi di capitali
Infine, venendo ai flussi di capitali, nei mercati emergenti (e, più in generale, nelle piccole economie avanzate, sebbene tali economie non siano state nominate durante la conferenza), l’evidenza empirica suggerisce che il modo migliore per affrontare la volatilità dei flussi di capitali è lasciare che il tasso di cambio assorba la maggior parte, sebbene non necessariamente l’intera parte, dell’aggiustamento.
L’argomento standard in favore di lasciare che il tasso di cambio venga lasciato libero di fluttuare è stato ampiamente discusso da Paul Krugman nel corso della conferenza. Se gli investitori vogliono ritirare i propri capitali da un paese per portarli all’estero, lasciamoglielo pure fare: il tasso di cambio si deprezzerà, e ciò condurrà ad un incremento delle esportazioni e del prodotto.
Gli argomenti contro gli aggiustamenti del tasso di cambio
Tre argomenti sono stati tradizionalmente portati contro l’aggiustamento basato sulle fluttuazioni del tasso di cambio:
- Il primo è che, fino al punto in cui i debitori domestici hanno preso a prestito valuta estera, il deprezzamento può avere effetti negativi sui bilanci e condurre ad un decremento della domanda interna che può più che controbilanciare l’effetto positivo sull’output di un aumento delle esportazioni
- Il secondo è che una gran parte del deprezzamento nominale può traslarsi in una più elevata inflazione.
- Il terzo è che grandi movimenti nel tasso di cambio possono condurre a disastri sia sui mercati finanziari che nell’economia reale.
Quale obiezione è più importante?
L’evidenza empirica mostra tuttavia che i primi due punti hanno meno rilevanza nella crisi attuale di quanto lo siano stati nelle crisi passate. Grazie alle misure "macroprudenziali", allo sviluppo dei mercati di titoli denominati nella valuta locale e alla flessibilità del tasso di cambio che ha condotto ad una migliore percezione del rischio di cambio da parte di chi prende a prestito, l’esposizione estera dei mercati emergenti è molto limitata rispetto a quanto accaduto nelle crisi precedenti.
Grazie anche alla crescente credibilità della politica monetaria e degli obiettivi d’inflazione, le aspettative sull’incremento dei prezzi appaiono molto meglio ancorate, conducendo quindi a movimenti del tasso di cambio che hanno effetti limitati sul tasso d’inflazione.
Ciò nonostante il terzo punto rimane rilevante. Rimane rilevante al punto in cui le banche centrali dei mercati emergenti non hanno adottato politiche di cambi liberamente fluttuanti, bensì di cambi fluttuanti amministrati, vale a dire l’uso congiunto di misure riguardanti il tasso d’interesse, interventi sul mercato dei cambi, misure macroprudenziali e controlli di capitali.
Ciò ha permesso alle autorità monetarie di fornire una soluzione al vecchio dilemma che nasceva qualora l’unico strumento utilizzato era la politica dei tassi: un incremento dei tassi d’interesse di riferimento può evitare l’eccessivo surriscaldamento dei flussi di capitale in entrata, ma può condurre allo stesso tempo a rendere il paese con più alti tassi d’interesse più attrattivo per gli investitori esteri.
Gli interventi sul mercato dei cambi, i controlli sui movimenti di capitale e le misure macroprudenziali possono, almeno in linea di principio, limitare i movimenti del tasso di cambio ed eventuali disastri sui mercati finanziari senza dover ricorrere allo strumento dei tassi d’interesse.
La politica monetaria è cambiata per sempre?
I paesi hanno utilizzato tutti questi strumenti nel corso della crisi. Alcuni hanno fatto maggiore affidamento sui controlli dei movimenti di capitale, alcuni maggiormente sull’intervento nel mercato dei cambi. E l’evidenza empirica ha mostrato che questi strumenti hanno funzionato, sebbene non perfettamente. Guardando oltre, la chiara e piuttosto formidabile sfida è comprendere come combinare insieme ognuno di questi strumenti.
In breve, la politica monetaria non sarà mai più la stessa dopo la crisi. La conferenza ci ha aiutato a comprendere come la politica monetaria si è mossa in questi anni e dove dobbiamo focalizzare i nostri sforzi di ricerca e di politica nel futuro.
Libera traduzione da Olivier Blanchard per voxeu
L’autore
Olivier Jean Blanchard (Amiens, 27 dicembre 1948) è un economista francese. È docente di Economia al Massachusetts Institute of Technology ma in realtà attualmente non insegna perché dal settembre 2008 ricopre la posizione di capo economista al FMI. Blanchard ha ottenuto un dottorato in Economia nel 1977 proprio al MIT. Ha insegnato ad Harvard tra il 1977 e il 1983, dopodiché è tornato al MIT come professore. Tra il 1998 e il 2003 Blanchard fu anche direttore del Dipartimento di Economia in questa università. È inoltre un consigliere della Federal Reserve di Boston (dal 1995) e di New York (dal 2004). Blanchard ha pubblicato numerosi articoli di ricerca nell’ambito della macroeconomia, compreso uno dei più conosciuti libri di testo in questa materia, Macroeconomia, edito in Italia da il Mulino.
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