L’euro protegge la Germania dalla Cina? Falso, dall’Italia - Martin Schulz

Daniele Morritti

7 Aprile 2017 - 18:00

Cinque anni fa Schulz raccontava la verità sull’euro. Ha favorito solo la Germania. Cosa pensa quindi dell’euro e dell’Europa il candidato cancelliere tedesco alle prossime elezioni di settembre?

L’euro protegge la Germania dalla Cina? Falso, dall’Italia - Martin Schulz

L’euro non è servito a proteggere l’economia e la competitività tedesca dalla Cina ma dalla forte propensione all’export di alcuni Paesi dell’Eurozona, Italia su tutti. A dirlo è stato non un euroscettico, non un neo-nazista folgorato sulla via di Atene ma Martin Schulz (ex Presidente del Parlamento europeo, candidato alla cancelleria tedesca alle prossime elezioni federali di settembre ed europeista della prima ora) in occasione di un’intervista rilasciata allo Spiegel nel 2012 (e riportata in Italia dal sito Voci dall’estero).

Schulz a suo tempo riconosceva, con l’ingenuità di chi crede di non essere letto (e quindi capito), che le argomentazioni di quanti credono che l’euro sia servito a creare un’area coesa tesa a difendere gli interessi degli europei di fronte allo strapotere cinese (sinonimo di mondo esterno) sono il frutto esclusivo di una fervida immaginazione.

Schulz, che oggi insidia il trono di Frau Merkel alle prossime elezioni, dimostra di avere piena consapevolezza sul fatto che l’euro abbia distorto le dinamiche commerciali intra-Eurozona e favorito l’economia tedesca a scapito di tutte le altre.

L’intervista rilasciata allo Spiegel da Schulz nel 2012 serve a capire la direzione che il suo cancellierato prenderà qualora addivenisse al ruolo di capo del governo. Questo per un semplice corollario: l’attendibilità e l’onestà intellettuale di un politico si palesano lontano dai periodi elettorali. All’epoca Schulz presiedeva il Parlamento europeo e nulla lasciava presagire una sua scalata nelle gerarchie della politica nazionale. Pertanto è pacifico che quanto detto in occasione di quell’intervista (con opportuni aggiornamenti, va da sé) rappresenti il reale punto di vista di Schulz sull’Europa.

Schulz: l’euro ha favorito la Germania. Fuori dall’euro Germania troppo piccola

Nel 2012 Martin Schulz (l’uomo su cui la “sinistra” tedesca - e pare europea - sembrano puntino oggi per contrastare l’avanzata imperante del populismo anti-euro e anti-UE), sosteneva che per ovviare alla crisi l’Europa necessitasse degli eurobond (ovvero di una forma di rudimentale condivisione del rischio debitorio tra Paesi dell’area valutaria). Proposta prontamente appallottolata dagli stessi tedeschi e lanciata nell’oblio della storia.

Schulz avvertiva che se l’Europa non avesse provveduto in fretta alla costituzione degli eurobond l’Eurozona si sarebbe dissolta nel nulla. Eventualità sventata solo dal “whatever it takes” di Draghi.

Tuttavia, è nel ricordare quel particolare momento storico che Schulz afferma senza peli sulla lingua che l’eventualità di una dissoluzione della moneta unica avrebbe stordito non poco l’economia tedesca. Un ritorno al marco tedesco, sosteneva, avrebbe reso “le esportazioni tedesche molto più costose”, col risultato che l’industria tedesca avrebbe dovuto guardarsi dal ritorno su piazza delle grandi industrie italiane e francesi (fa l’esempio del settore automobilistico), indebolite dal corso oneroso dell’euro. “La Germania diventerebbe troppo grande per l’Europa ma troppo piccola per il mondo”, concludeva.

Ora, a cinque anni di distanza da quell’intervista Schulz appare come il candidato ideale per rilanciare il sodalizio tra la BCE e il governo tedesco (negli ultimi anni incrinato dalle misure non convenzionali prese da Draghi per far fronte alla crisi dell’euro). Schulz è infatti leader più propenso a sostenere retoricamente misure accomodanti di politica monetaria di quanto non lo sia Angela Merkel. Il fatto che nel 2012 Schulz reclamasse a gran voce eurobond e riduzione dei tassi lo dimostra.

Schulz: referendum sull’UE? "Un rischio"

Tuttavia, pretendere a gran voce (come fece nel 2012) misure di distribuzione del rischio debitorio come a voler gettare un’ancora di salvezza a Paesi in ginocchio come Grecia, Spagna e l’Italia, non assolve Schulz dall’essere uno dei tanti signorotti del potentato eurocratico allergici ai valori democratici.

Nel 2012, infatti, ebbe a dire - in ottemperanza a un costume riscontrabile pressoché ovunque dalle parti di Bruxelles (e Berlino) - che i referendum sull’UE sono un “rischio”, in quanto

“pongono sempre delle minacce quando si parla di politica europea, perché la politica europea è complessa. Sono sempre un’opportunità per quelle parti politiche alle quali piace semplificare le questioni. La politica europea è sempre un intreccio di razionalità e di emozioni.” [traduzione dal tedesco di Voci dall’estero]

Ora, in questa sede non si vuole affatto asserire che i referendum siano la soluzione a tutto; la democrazia rappresentativa, va da sé, se lasciata al suo naturale operare è l’antidoto più efficace contro il sopruso e la tanto discussa “dittatura della maggioranza”. Ma qui il discorso è diverso. La classe dirigente cresciuta a pane e clorofilla europeista (a cui Schulz appartiene) non ritiene che la gente possa capire l’UE (o che possa capirla troppo bene?) sebbene si ostini a giustificare il progetto comunitario come un dono concesso con amore ai popoli europei bisognosi di ordine e disciplina.

I socialdemocratici tedeschi non sono diversi dai cristiano-democratici. In definitiva, sono tutti europeisti.

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