Jean Claude Juncker torna a parlare, dalle colonne di Repubblica, dell’Italia e smentisce che possa prodursi un’Italexit, in quanto il Paese avrebbe beneficiato molto dall’ingresso nell’Eurozona. Ma è così?
Il rischio che l’Italia esca dall’euro è da escludere così come l’idea, sostenuta da molti, che entrarvi sia stato per lo stivale un errore madornale. L’euro ha fatto bene all’Italia, che ora deve essere in grado di “sfruttare” i margini di flessibilità che la Commissione le ha concesso per riguadagnare competitività.
Lo ha detto il Presidente della Commissione UE Jean Claude Juncker, in occasione di un’intervista esclusiva rilasciata al quotidiano La Repubblica.
Ogni volta che il Lussemburghese viene interrogato sull’Integrazione europea è un’occasione per saggiarne la forma mentis, la stessa che muove l’operato dei governi di destra e sinistra in tutta l’Eurozona. Per queste persone l’Europa non c’entra mai nulla. Se l’Italia - ancora - se la passa male lo deve esclusivamente a fattori di natura endogena, come l’alto debito pubblico.
Le parole di Juncker nei confronti dell’Italia, tuttavia, sono anche d’encomio. I tempi dello scontro con Renzi sono ormai alle spalle. Il Presidente della Commissione si spinge fino a dire che l’Italia meriterebbe il “Premio Nobel per la pace”, in virtù dello sforzo perpetrato dalla Marina Militare nel tentativo di salvare quante più vite possibili nel Mediterraneo.
Juncker: dall’euro solo benefici per l’Italia. Roma sfrutti flessibilità e QE
Juncker giura a Repubblica di non aver ancora letto il Def ma che ripone grande fiducia nel nuovo (si fa per dire) corso politico italiano. Gentiloni e Padoan godono della stima della Commissione, di questo possono starne certi. Dopo la parentesi renziana - che, in un primo momento, sembrava aver portato una ventata nuova nei rapporti, sempre supini, tra l’Italia e l’Europa - si è tornati ad un’Italia scolaretta che fa i compiti a casa in silenzio.
Un’attitudine che Juncker ha nel corso della sua storia politica dimostrato di apprezzare particolarmente. Il Presidente, infatti, non ha mai nascosto di odiare i toni plebiscitari o, più semplicemente, le velleità democratiche degli Stati nazione di fronte alle necessità storiche del cammino comunitario.
Juncker ha detto che l’UE non può permettersi una defezione dell’Italia, sulla quale l’establishment punta per l’avvenire del continente: “ha [l’Italia] tutti gli strumenti per essere una forza motrice dell’Ue”. Tuttavia, la Commissione si aspetta anche che l’Italia continui sul selciato delle riforme strutturali per risolvere i cronici problemi connessi allo stato delle finanze pubbliche. E qui, sarebbe opportuno che le Istituzioni UE facessero tra loro la pace. La Commissione europea, feticisticamente focalizzata sul settore pubblico, continua da anni a ripetere che il nocciolo di questa crisi economica senza precedenti sta tutto nei debiti sovrani. La BCE, d’altro canto, ha chiarito da tempo con Vitor Constancio che i debiti pubblici non c’entrano nulla e che la ragione vada invece individuata nel debito del settore privato.
Sebbene si stiano affermando in tutta Europa propositi anti-euro, Juncker non crede affatto che esista un rischio Italexit: “mettiamo subito in chiaro che escludo un’uscita dell’Italia dall’euro”, ha dichiarato. Incalzato sul tema della competitività, Juncker si avventura nei meandri di un tema assai insidioso la Commissione: dimostrare che l’euro non c’entra con la perdita di competitività registrata dall’economia italiana negli ultimi anni.
“Mi rattrista vedere che il Paese perde competitività di giorno in giorno, di anno in anno. Ci sono riforme strutturali importanti che vanno fatte, sia pure con saggezza. [...] Credo, indipendentemente dall’opinione degli italiani, che l’euro abbia molto aiutato l’Italia. Ma credo anche che senza l’Italia l’Europa non esisterebbe.”
Juncker capisce che esiste un “problema competitività” in Italia ma vede nella causa principale (l’euro) la soluzione al problema. In un contesto in cui il meccanismo di cambio è rigido per riguadagnare competitività un Paese è costretto a implementare devastanti riforme del mercato del lavoro e dei servizi; solo in questo modo potrà ambire a posizioni commerciali di rilievo. Poi, se a questa situazione si aggiunge la presenza imperante di un Paese dal vizietto mercantilistico come la Germania l’ipotesi che l’Italia torni ai livelli di competitività del trentennio keynesiano è del tutto inverosimile.
Martin Schulz, oggi candidato cancelliere, ricordava qualche anno fa, forse ammaliato da un fugace barlume di onestà, che l’euro è servito alla Germania per contenere la propensione commerciale dell’Italia. Non è chiaro come l’euro possa rappresentare, quindi, quella manna dal cielo per l’Italia che in ogni occasione Juncker si ostina a rievocare.
Juncker è famoso per dire sempre quello pensa, anche quando le sue parole rischiano di palesare agli occhi delle persone quello che l’Unione europea effettivamente rappresenta: un progetto teso a rendere il Vecchio Continente un grande mercato disciplinato da quella Wolfgang Streeck ha definito come la “giustizia del mercato”.
Nell’intervista a Repubblica Juncker sollecita l’Italia a sfruttare i canali di flessibilità che la Commissione le riconosce, come la gestione più lasca delle finanze pubbliche, e il QE promosso da Draghi (risparmio degli interessi sul debito), in modo da sfuggire “alla mannaia” del Patto di Stabilità. Implicitamente è come se la Commissione ne riconoscesse la scelleratezza definendo il Patto una mannaia che grava sul capocollo dell’Italia.
Juncker: dialogo solo con gli “europessimisti”. Gli euroscettici sono banditi
Il Presidente della Commissione ha inoltre dichiarato che troveranno ascolto solo coloro i quali porranno domande sull’UE - li ha compendiati come “europessimisti”. Lepenisti e compagnia bella non sono, per Juncker, meritevoli d’attenzione (sebbene in Francia più del 20% degli elettori ha dichiarato che voterà FN al primo turno). Infatti
“Da una parte ci sono i populisti radicali, che sono contro l’Europa, che rifiutano gli altri. Con loro non si può avere dialogo. E poi ci sono quelli che dubitano dell’Europa, che pongono domande e che spesso non ricevono risposte adeguate. Li definirei europessimisti. Con loro si può e si deve discutere.”
© RIPRODUZIONE RISERVATA