L’Italia può fallire? Grillo si sbaglia!

Michele Ciccone

13 Novembre 2013 - 21:19

Grillo ha scritto che l’Italia deve fare default sul proprio debito pubblico. Il rapporto debito/Pil, secondo l’ex comico, ha raggiunto livelli insostenibili. La strada da seguire è allora la ristrutturazione del debito. Ma l’Italia può veramente fare default?

L’Italia può fallire? Grillo si sbaglia!

Dando uno sguardo al blog di Beppe Grillo, un post di qualche tempo fa ha destato la nostra attenzione. Riportiamo testualmente

Non ci sono alternative: o ristrutturiamo il nostro debito pubblico, di cui la parte all’estero è in prevalenza in mano a Germania e Francia, o ci aspetta il fallimento insieme alla distruzione del tessuto produttivo. Il nostro debito pubblico aumenta al ritmo di 120/130 miliardi di euro all’anno

Man mano che la lettura va avanti, il linguaggio diventa sempre più profetico e inquietante:

Il Pil diminuisce, il gettito fiscale pure. Il rapporto tra Pil e debito sta diventando insostenibile. Una via di uscita temporanea sarebbe svalutare la moneta, ma abbiamo perso la sovranità monetaria, la lira non c’è più. L’unica possibilità è ristrutturare il nostro debito. Si possono estendere i termini di restituzione del capitale impegnato, diluire gli interessi nel tempo, contrattare anche a costo di battere i pugni sul tavolo con la Merkel e pretendere, ad esempio, l’istituzione degli eurobond con il rischio dei singoli Paesi trasferito su base europea

Come si può rimanere tranquilli dopo parole simili? Lo scenario è catastrofico. Si parla della possibilità di default dell’Italia. Del fatto che l’Italia non è più in grado di ripagare il proprio debito (rimborsare i titoli e pagare gli interessi), perchè il rapporto debito/Pil ha raggiunto livelli insostenibili. Quale soluzione ci rimane allora? Secondo il blog la via d’uscita è una sola: la ristrutturazione del debito, ossia contrattare diluizioni nei pagamenti, restituzione di solo una parte del capitale, in una parola default.

Ma perchè l’Italia dovrebbe fare default? Cerchiamo un attimo di tirare le somme per capirci qualcosa. Dalla lettura del blog di Beppe Grillo possiamo trarre due conclusioni:

  • il rapporto debito/Pil sta diventando insostenibile. Di solito questa è la motivazione principale che viene addotta per giustificare l’idea di un default
  • a furia di indirizzare gli introiti derivanti dalle imposte al pagamento degli interessi sul debito, stiamo togliendo risorse alla sanità, alla spesa in ricerca e sviluppo, all’istruzione, smantellando di fatto il tessuto produttivo nazionale. La recessione (o depressione come sarebbe più corretto dire), diminuendo le entrate fiscali acuisce il problema del pagamento degli interessi. L’unica soluzione per uscire da questa spirale negativa avvolgente sarebbe, allora, quella di effettuare una ristrutturazione del debito

Inoltre, sempre nel blog di Grillo, viene detto che

Le banche italiane stanno comprando i nostri titoli dall’estero, il cui valore complessivo all’estero è sceso intorno al 30 dal massimo del 50%

La questione della sostenibilità

Il primo punto evidenziato da Grillo, quello della sostenibilità, ci sembra poco fondato. L’analisi della sostenibilità del debito pubblico, di matrice teorica ortodossa (neoclassica), è stata criticata nei suoi fondamenti logici dai recenti sviluppi dell’analisi keynesiana (su cui qui non entriamo per via della complessità dell’esposizione).

In breve, non esiste un limite all’espansione del debito pubblico. Come abbiamo già osservato in vari articoli qui e qui l’emissione di titoli del debito pubblico per finanziare la spesa in deficit crea un aumento dell’occupazione, della produzione e del reddito. Un più elevato livello del reddito equivale ad un maggiore ammontare di risparmio (nazionale), che rappresenta domanda potenziale di titoli pubblici. Per cui, un rapporto debito/pil del 60%, del 90% o del 133% non signifca assolutamente nulla! E’ il Trattato di Maastricht e la teoria ortodossa che ci hanno spinto a pensare in termini di "sostenibilità" .

D’altra parte, è evidente che il risparmio nazionale può indirizzarsi verso un portafoglio di attività fruttifere non composto esclusivamente da titoli pubblici nazionali. Sorge allora un potenziale problema di collocamento dei titoli, che può risolversi con una quota di titoli emessa all’estero o presso la banca centrale. Sappiamo che la BCE non può acquistare titoli pubblici dei paesi dell’Euro all’emissione. Rimane allora il canale estero. E infatti i detentori esteri detengono la quota più elevata di titoli pubblici italiani emessi

Di per sè questo è un problema? La domanda di titoli pubblici italliani da parte di residenti esteri (prevalentemente istitui finanziari) è stata sostenuta nel corso dei primi dieci anni dell’euro poichè quei titoli, insieme a quelli degli altri paesi dell’Euro, venivano utilizzati dalle banche come garanzia in cambio dei prestiti concessi alle altre banche (come abbiamo mostrato qui). Ciò ha contenuto verso il basso il tasso d’interesse su quei titoli.

La caduta improvvisa del valore dei titoli italiani nel 2011 non è allora attribuibile all’ammontare del debito esistente o ad un rapporto troppo elevato debito/Pil. Semmai sono i meccanismi speculativi ad aver determinato una caduta nel valore dei titoli. E’ noto, inoltre, che la Germania è stata in grado di evitare una svalutazione dei suoi titoli tramite l’acquisto dei bond pubblici in sede d’emissione da parte della Bundesbank, di fatto aggirando le regole di Maastricht. Se la BCE potesse acquistare titoli pubblici all’emissione verrebbe risolto il problema alla base. Il fatto che non lo faccia non basta a sostenere che il problema risiede in un debito pubblico troppo elevato, e che quindi la soluzione sia un default sul debito.

Il pagamento degli interessi tramite le imposte

Come abbiamo mostrato in un articolo qui, l’idea che le imposte servano a pagare gli interessi sui titoli pubblici deriva dall’idea implicita che bisogna realizzare avanzi di bilancio primario, di modo che con i proventi delle imposte possano essere corrisposti gli interessi. E di fatti l’esperienza italiana degli ultimi anni evidenzia bene questo fenomeno (vedi il grafico qui sotto)

Grillo, dunque, invece di prendersela col debito pubblico in quanto tale, dovrebbe scagliarsi contro le politiche fiscali restrittive, che vincolano le imposte ad essere utilizzate per pagare gli interessi. Paradossalmente, con l’emissione di nuovo debito pubblico (ossia nuovi titoli per finanziare la spesa in deficit) potrebbero essere rimborsati i titoli in scadenza e verrebbero pagati gli interessi, senza bisogno di utilizzare le entrate fiscali.

Le banche italiane riacquistano i titoli del Belpaese?

Il fatto che le banche italiane stiano riacquistando i titoli italiani detenuti all’estero non è di per sè un fattore negativo. La liquidità concessa dalla BCE agli istituti di credito serve proprio a "ripulire" i bilanci delle banche in difficoltà, (sebbene il settore bancario italiano sia abbastanza solido nel complesso, come abbiamo mostrato qui le quali possono acquistare attività tramite la moneta concessa dalla BCE.

Il fatto che il valore dei titoli tra gli attivi delle banche diminuisca non dipende dall’ammontare del debito pubblico emesso. Il problema semmai potrebbe essere come mai la liquidità concessa dalla BCE non si traduca in un aumento dei prestiti alle imprese. La risposta è che nell’economia c’è carenza di domanda. Le banche non prestano alle imprese perchè le imprese non fanno investimenti, per via della carenza del mercato di sbocco. Se ci fosse più spesa pubblica, i livelli di domanda aumenterebbero.

L’Italia fa default?

Non riteniamo allora, sulla base di quanto abbiamo detto, che l’eventualità di un default italiano risieda nell’elevato debito pubblico emesso. Inoltre, qualora, per ipotesi assurda, la domanda di titoli pubblici italiani fosse pari a zero da parte del settore privato nazionale ed estero, vi sarebbe l’intervento della BCE a sostegno. Il problema sarebbe semmai le condizioni alle quali la BCE concederebbe l’aiuto (come di fatto sta già facendo), ossia le politiche di austerità, le quali deprimono la domanda e conducono il paese nel punto dal quale siamo partiti in questo articolo.

Grillo, allora, e noi con lui, dovrebbe informare sul fatto che il problema ultimo non è il debito pubblico e la possibilità di default dell’Italia. Questa eventualità è molto remota; al limite vi sarebbe sempre un sostegno da parte della BCE. Il vero problema è proprio l’indipendenza della BCE dai governi. Serve quanto prima una banca centrale che operi come prestatore di ultima istanza. O, in alternativa, un’uscita dall’Euro.

Il Giappone ha un debito pubblico che ha ampiamente superato il 200 % del PIL eppure continua a essere un paese da tripla A e nessuno al mondo si è mai sognato di parlare di default. Il debito non è l’unico indicatore da considerare e neppure il più importante. Di cosa parlano allora tutti quelli che si affannano a urlare che l’Italia farà la fine della Grecia ? Non c’è il minimo paragone possibile tra i due paesi.

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