Green pass: davvero il Governo italiano è il più severo d’Europa?

Andrea Pastore

22 Settembre 2021 - 19:26

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L’Italia usa il pugno duro sul green pass: per il momento siamo gli unici a renderlo obbligatorio sui posti di lavoro. Ma qual è la situazione negli altri Paesi europei?

Green pass: davvero il Governo italiano è il più severo d’Europa?

Il green pass obbligatorio per accedere ai luoghi di lavoro risulta essere una delle misure più stringenti che il governo italiano ha varato rispetto agli altri Stati membri dell’Unione Europea per fronteggiare la crisi sanitaria. Ma il pugno duro è stato utilizzato anche da altri Paesi.

Entrerà in vigore il 15 ottobre il decreto che prevede l’obbligo della certificazione verde per accedere ai luoghi di lavoro, sia pubblici che privati. Il provvedimento introduce delle sanzioni per chi è sprovvisto del green pass: nello specifico il lavoratore senza la certificazione rischia l’assenza ingiustificata e il blocco dello stipendio fino a quando non si metterà in regola. Scompare invece la sospensione dal luogo di lavoro per chi non è munito di green pass (anche se di fatto non cambia nulla).

Il provvedimento, quindi, introduce degli obblighi molto pesanti. Molti opinionisti affermano che la scelta del governo italiano è tra le più dure dei Paesi europei in termini di tutela dei diritti, ma anche altri Stati membri hanno varato leggi con restrizioni significative.

Il caso austriaco

L’Austria ha introdotto alcuni obblighi per fronteggiare la crisi da Covid-19 anche in materia di lavoro. Oltre all’obbligo d’indossare la mascherina FFP2 in tutti gli esercizi commerciali e nei luoghi chiusi, è stato varato un provvedimento che sospende i sussidi di disoccupazione per chi non accetta un’offerta di lavoro perché non vaccinato. Così riporta il quotidiano Der Standard, dopo le polemiche dei datori di lavoro che chiedono sicurezza sul luogo dove si svolge la loro attività. La decisione è stata annunciata dal ministro del lavoro, Martin Kocher, dopo la richiesta dell’Arbeitsmarkt Service, il servizio pubblico per l’impiego austriaco.

Le misure sono state decise anche per la crescita dei contagi e le conseguenti zone rosse. Questo il caso del distretto di Braunau am Inn. Infatti, è dal 18 settembre che per lasciare il distretto bisogna essere muniti di una certificazione che attesti la negatività al virus: il certificato è valido 72 ore se fatto con tampone molecolare, 24 se antigenico.

La Germania al bivio tra incentivi e linea italiana

In Germania l’obbligo di green pass vige per entrare nei luoghi al chiuso, sia che siano privati o pubblici. Il governo federale non ha però previsto l’obbligo per i luoghi di lavoro, tranne per i lavoratori del settore sanitario, ma soltanto degli incentivi tipo vouchers e giorni di riposo in più per chi è munito di green pass.

La Cancelliera, Angela Merkel, sembra comunque osservare la linea dura italiana. Una novità di oggi, riporta il Messaggero, è la sospensione dello stipendio, a partire dal primo novembre, per chi finisce in quarantena e non è vaccinato. Con questa mossa il governo federale sembra avvicinarsi alla linea espressa dal Consiglio dei ministri italiano.

Parigi tra liberté e securité

Al contrario di Roma, Parigi non ha esteso l’obbligo del green pass a tutti i luoghi di lavoro. L’Eliseo, di fatti, ha introdotto il green pass solo per i lavoratori di quei settori dove vige la certificazione verde per la totalità dei cittadini. I luoghi interessati dall’obbligo sono:

  • bar e ristoranti (anche all’aperto);
  • aerei;
  • treni e bus a lunga percorrenza;
  • fiere e convegni;
  • strutture sanitarie;
  • cinema e musei;
  • grandi centri commerciali.

L’Italia rimane in testa tra le grandi d’Europa

Dalla comparazione dei big d’Europa, sembra che l’Italia guidata da Mario Draghi sia il Paese con gli obblighi più restrittivi per quanto riguarda la certificazione verde. Questa scelta potrebbe essere derivata da alcuni aspetti caratterizzanti del nostro Paese.

In primis, l’Italia non può permettersi una nuova chiusura delle attività lavorative, chiusura che infliggerebbe un duro colpo alla già precaria economica del Bel Paese. Inoltre, il sistema sanitario italiano presenta delle carenze numeriche, sia in termini di personale sia in termini di macchinari e/o medicina territoriale; specie per quanto riguarda il Sud. La scelta di Palazzo Chigi può quindi essere letta in base alle motivazioni di cui sopra.

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