L’ondata di arresti di giornalisti fortemente critici verso il presidente Erdogan ha fatto aumentare il rischio-paese e spinto la lira turca sui minimi di sempre rispetto al dollaro
Dopo una lunga fase di apparente stabilità sono tornate incessanti le vendite sulla lira turca, che paga a caro prezzo l’arresto di ben 20 giornalisti che si erano mostrati eccessivamente critici nei confronti del governo e del presidente Recep Tayyip Erdogan. Il mondo occidentale ha condannato l’episodio, sottolineando come si sia trattato di un intervento mirato a reprimere la libertà di stampa degli organi di informazione vicini ai partiti di opposizione. Questo evento shock ha avuto un impatto notevole sia sull’andamento della lira turca sia dei bond governativi emessi da Ankara.
L’aumento del rischio-paese si è fatto subito sentire sulla valuta nazionale, che ha toccato nuovi minimi storici sul dollaro americano mentre nei confronti dell’euro è stato raggiunto il minimo più basso degli ultimi 8 mesi. Il tasso di cambio dollaro/lira è salito del 4% in un giorno, superando quota 2,41. Il cross euro/lira, invece, è approdato in area 3,0250, superando la soglia psicologica di 3 che non vedeva ormai da fine marzo scorso. Vanno male anche i bond pubblici, con i tassi sulla scadenza biennale volati all’8,5% a un passo dal rendimento dei decennali (8,8% circa).
I credit default swap a 5 anni, ovvero i contratti che consentono all’investitore di proteggersi dall’eventuale default dell’emittente, hanno superato i 230 punti base. Il costo per assicurarsi dal rischio insolvenza è balzato quasi del 45% nel giro di un mese. Sul fronte economico-finanziario, però, il paese anatolico non sembra destare preoccupazione, sebbene l’inflazione si aggiri intorno al 9%. Il debito pubblico è sotto il 40% del pil e il bilancio statale è praticamente in pareggio. Inoltre il deficit delle partite correnti, vera spina nel fianco di Ankara, è atteso in calo al 5,7% dal 7,9% dello scorso anno.
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