Financial Times: Berlusconi non spaventa i mercati. Cosa preoccupa davvero gli investitori?

Federica Agostini

1 Ottobre 2013 - 16:53

Financial Times: Berlusconi non spaventa i mercati. Cosa preoccupa davvero gli investitori?

Qual è la cosa che più di tutte preoccupa gli investitori europei in questi giorni? Non sono certo le storie di politica italiana, scrive il Financial Times.

Al contrario, a preoccupare gli investitori sono le vicende che caratterizzano la politica USA Il fatto che l’amministrazione federale dell’economia più grande del mondo non riesca a giungere ad un accordo e preferisca chiuda i battenti, scrive il giornale inglese, non è certo incoraggiante per nessuno, in nessuna parte del mondo.

Contemporaneamente, è innegabile che gli sviluppi della politica dell’Eurozona abbiano ormai perso il loro appeal sui mercati, specie quando si parla di Italia.

Perché Berlusconi non fa paura ai mercati

Infatti, nota il Financial Times, il semi-collasso del governo innescato dallo stesso Berlusconi ha avuto effetti piuttosto limitati anche sul mercato delle obbligazioni. Solo un anno fa, invece, l’aumentare dei rendimenti sui titoli di Stato metteva in serio dubbio la possibilità di un futuro per l’intera Eurozona.

La risposta dei mercati a questa situazione la dice lunga sull’ascendente della politica europea sui mercati finanziari, scrive il Financial Times:

La reazione sommessa ci mostra come la crisi dell’Eurozona sia diventata una questione meno esistenziale, in una fase meno aggressiva. Ciò che importerà nei prossimi mesi sarà il sostegno alla giovane ripresa economica, la quale ridurrà gradualmente gli scompensi fiscali sui bilanci.

Ormai, scrive poi il giornale, i mercati sono consapevoli del "backstop", di quell’ultima ancora di salvezza rappresentata dalla Banca Centrale Europea. Sebbene non l’abbia ancora dimostrato, Mario Draghi ha promesso di fare "tutto il necessario" per salvare l’Euro, compreso intervenire sul mercato delle obbligazioni per limitare i danni dei mercati finanziari.

La conseguenza? Scrive il giornale britannico:

Gli investitori sono annoiati dalla politica Italiana. I mercati danno per scontato che Roma riuscirà a risalire dal baratro.

Rischio crisi? Non quando c’è la banca centrale

Bisogna poi osservare che la percezione relativa alla capacità di resistere alla crisi è migliorata sensibilmente come dimostrato dagli indicatori di rischio sistemico della BCE, come ad esempio il CISS (si legge "kiss", Composite Index of Systemic Stress) che la scorsa settimana ha raggiunto il livello più basso dall’inizio della crisi nel 2007.

Il calo [registrato dall’inidcatore] non implica che siano scomparsi i rischi di una crisi bancaria o del debito, ma semplicemente che gli investitori si preoccupano poco di queste possibilità.

Convinzione implicita dei mercati è che le riforme strutturali nell’Eurozona stiano andando nella giusta direzione, anche se il percorso è lento e doloroso e anche se in Germania manca una coalizione di Governo dopo le elezioni del mese scorso.

Fed e BCE: il futuro è "allentato"

In tutto questo non dimentichiamo che i mercati sono ben consapevoli del continuo supporto da parte della politica monetaria delle banche centrali. Secondo quanto è emerso dalla conferenza UniCredi che si è svolta la scorsa settimana a Monaco è chiaro a tutti che è piuttosto inverosimile pensare che la BCE, o la FED possano abbandonare la politica monetaria ultra allentata che le caratterizza in questo momento.

Si tenga presente che in un sondaggio tra i partecipanti della conferenza, la maggior parte degli intervistati ha detto di aspettarsi un intervento da parte della BCE nel giro dei prossimi 12 mesi. La possibilità più gettonata è quella di un nuovo round di Ltro.

Per quanto riguarda la Fed invece, idea condivisa è che la decisione di rimandare il Tapering sia dovuta alla difficoltà con la quale sarà da attuare una exit strategy dal Quantitative Easing; a quanto pare la ripresa economica statunitense non è così forte come supposto sino ad oggi.

Conclude, incisivo l’articolo del Financial Times:

Gli investitori europei non sono convinti che il mondo sia davvero in fase di guarigione.

Non è forse così?

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