Evasione fiscale: la presunzione di ricavi in nero non giustifica la condanna

Isabella Policarpio

17 Giugno 2019 - 10:12

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Evasione fiscale: la Corte di Cassazione ha stabilito che la sola presunzione di ricavi in nero non può giustificare la sentenza di condanna. Ecco i dettagli della sentenza.

Evasione fiscale: la presunzione di ricavi in nero non giustifica la condanna

Evasione fiscale: la sentenza di condanna non può basarsi solamente sulla presunzione di ricavi in nero, accertati unicamente dall’Amministrazione finanziaria in sede amministrativa. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione in una recente sentenza, la n. 25979 del 12 giugno 2019, con il quale la Corte ha dato ragione ad un piccolo imprenditore di Ancona che aveva fatto ricorso.

In particolare, l’uomo era stato condannato sulla base di presunzioni di vendita calcolate dal Fisco, che poi erano serviti da parametro al giudice di merito, che aveva determinato il superamento della soglia di punibilità dell’Ires.

I giudici della Corte di Cassazione, invece, hanno stabilito che le presunzioni previste dalle norme tributarie non sono idonee a giustificare una condanna, ma, al contrario, hanno solo valore indiziario. In altre parole, le presunzioni tributarie sui ricavi in nero devono essere valutati liberamente dal giudice, insieme ad altri elementi che provino con certezza l’evasione fiscale dell’imputato.

Evasione fiscale: le presunzioni tributarie non provano i ricavi in nero

Arriva dalla Corte di Cassazione una importante decisione per tutti i contribuenti: la presunzione di ricavi in nero non può mai giustificare da sola la sentenza di condanna per evasione fiscale. Al contrario, occorre accertare il fatto su ulteriori elementi di fatto e dopo la valutazione del giudice penale. Dunque, i calcoli del Fisco, elaborati in sede amministrativa, da soli non bastano.

Nello specifico, questo principio è stato ribadito dalla sentenza n. 25979 del 12 giugno 2019, in cui la Corte ha accolto il ricorso di un piccolo produttore di vongole di Ancora.

Nel caso di specie, l’imprenditore era stato condannato sulla base di calcoli presuntivi per i quali erano stati usati da parametro le dimensioni delle vongole e i ricavi presunti, senza ulteriori accertamenti da parte del giudice.

Gli ermellini, invece, hanno stabilito che i calcoli presuntivi di ricavi in nero, elaborati dall’Amministrazione finanziaria, possono avere soltanto valore indiziario e, quindi, devono essere valutati in sede penale congiuntamente ad altri elementi.

Omessa dichiarazione dei redditi, chi deve accertare l’imposta evasa?

La Corte di Cassazione non solo ha chiarito che le presunzioni tributarie non bastano, da sole, a fondare una sentenza di condanna, ma ha stabilito anche che solo il giudice penale - e non anche il giudice tributario - può accertare il reato di omessa dichiarazione ai fini di evasione dell’imposta sui redditi. Anzi, la decisione del giudice penale può anche essere di senso opposto rispetto a quanto stabilito in sede tributaria.

Questa regola è ricavabile dal dettato normativo della legge n. 74 del 2000, articolo 20, nella parte in cui prevede l’autonomia del processo tributario rispetto al processo penale.

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