Economia di guerra: cos’è, conseguenze e il perché delle parole di Draghi

Violetta Silvestri

12 Marzo 2022 - 12:38

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Cosa si intende per economia di guerra e perché Draghi l’ha citata, riferendosi al caso Italia? Per ora il Paese non è in pericolo, ma occorre prepararsi: come? Cosa significa economia di guerra.

Economia di guerra: cos’è, conseguenze e il perché delle parole di Draghi

Cos’è un’economia di guerra? Dopo le parole di Mario Draghi al termine del vertice straordinario UE a Versailles qualcuno si sarà chiesto a cosa ci si riferisce con questa espressione.

Sebbene il presidente del Consiglio abbia scongiurato il pericolo per l’Italia di entrare in una dimensione di economia di guerra, ha comunque ammesso che è bene prepararsi.

D’altronde, le relazioni commerciali stanno velocemente cambiando dallo scoppio del conflitto in Ucraina, proprio per evitare shock prolungati per la fornitura di energia e materie prime alimentari.

Cos’è, quindi, l’economia di guerra e perché, per ora, l’Italia ne è fuori secondo Draghi.

Economia di guerra: cos’è? Significato e conseguenza

Quando scoppia un conflitto tutto cambia: dalle normali vite delle persone alla sicurezza mondiale, fino ai sistemi economici dei singoli Paesi e alle relazioni commerciali globali.

Questo sta succedendo anche oggi con la situazione bellica in Ucraina. Non è un caso che è tornata in auge anche l’espressione economia di guerra: cos’è e quali sono le sue conseguenze?

Da definizione sul vocabolario Treccani si legge:

“Adeguamento del sistema economico alle necessità della guerra. Il problema economico della guerra è duplice: da un lato rendere disponibili risorse per gli armamenti, il mantenimento e la mobilitazione degli eserciti e, dall’altro, organizzare la produzione a sostegno della guerra”

In sintesi, se un Paese entra in un conflitto bellico ha bisogno immediato di tutto il necessario per combattere, come armi, carri armati, carburante per i mezzi militari, e ovviamente, sostentamento per le truppe.

Dinanzi a questi bisogni impellenti, che diventano primari, lo Stato deve procurarsi risorse finanziarie ingenti per portare avanti innanzitutto la macchina bellica. Come? Solitamente attraverso misure straordinarie e dalla portata importante, che riguardano: tasse, debito pubblico (sia interno sia estero), inflazione. Una nazione potrebbe anche contare su donazioni private.

A ogni modo, sono richiesti sacrifici e cambiamenti rispetto alla consueta gestione della spesa pubblica. Si parla, quindi, anche di razionamento nell’uso civile delle risorse di prima necessità e di materie prime per dirottarle nell’industria bellica. Meno carburante, pane, per fare esempi, alla popolazione e maggiori rifornimenti all’esercito.

L’industria pesante, alla fine, è l’unica che trova un forte sviluppo.

Queste sono le caratteristiche principali di un’economia di guerra e delle sue conseguenze una volta messa in pratica.

Perché Draghi ha parlato di economia di guerra?

Le parole di Draghi nella conferenza stampa dell’11 marzo sono state esplicite: in Italia non siamo un una economia di guerra.

L’imperativo, però, è di prepararsi, che non significa che deve accadere questo scenario con probabilità alta, altrimenti ci sarebbe già stato il razionamento. E, a detta del presidente del Consiglio, non siamo nemmeno dinanzi alla crisi dell’approvvigionamento di cibo.

Cosa aspettarsi? Draghi ha ricordato, comunque, che le interruzioni dei flussi di forniture possono succedere, soprattutto se ci sarà la guerra ancora per molto.

La soluzione è ri-orientare l’approvvigionamento verso altri mercati, come sta accadendo con l’energia, mettendo in moto nuove relazioni commerciali. In agricoltura, per esempio, si guarda a Canada, Stati Uniti, Argentina.

C’è quindi fermento economico anche in Italia a causa del conflitto in Ucraina. Tuttavia, non ci troviamo in una economia di guerra, come intesa strettamente nel suo significato.

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