E se fosse la FED a spingere la BCE verso il QE europeo? Vediamo perché si tratta di un’ipotesi concreta

Nicola D’Antuono

27 Ottobre 2014 - 09:44

La FED mal digerisce un dollaro troppo forte ed è pronta a lasciare i tassi fermi a zero anche nel 2015. La BCE vuole un euro debole, così si prepara a rispondere con il QE

E se fosse la FED a spingere la BCE verso il QE europeo? Vediamo perché si tratta di un’ipotesi concreta

Mercoledì la Federal Reserve deciderà se chiudere definitivamente i rubinetti della liquidità, azzerando il programma di quantitative easing lanciato nella primavera del 2009. Inoltre arriveranno nuove indicazioni sulla tempistica relativa alla stretta sui tassi di interesse, sempre fermi al minimo storico nel range 0% - 0,25% ormai da fine 2008. Le recenti dichiarazioni di John Williams, a capo della FED di San Francisco, secondo il quale il costo del denaro negli USA potrebbe restare stabile per tutto il 2015 con la possibilità di programmare addirittura un piano di QE4, hanno tranquillizzato i mercati finanziari e frenato l’ascesa del dollaro americano.

Nelle ultime minute della FED è stato aleggiato perfino lo spettro della deflazione, a causa del crollo dei prezzi del greggio. Tuttavia l’ultimo dato sull’indice dei prezzi al consumo negli States non ha mostrato affatto tendenze deflattive, ma il mercato ora sconta il mantenimento dei tassi a zero anche nel 2015 come si evince dal rendimento del T-bill biennale (inferiore allo 0,4%) e da quello decennale (circa il 2,27%). L’istituto monetario di Washington non vuole un dollaro troppo forte, come accaduto nelle ultime settimane. Per evitare un boom eccessivo ha enfatizzato i rischi di rallentamento economico globale, di aspettative di bassa inflazione e di triple dip in Europa.

Il risultato è stato il ritorno della fiducia sui mercati azionari, che in precedenza erano crollati vistosamente in pochi giorni, e la frenata del biglietto verde nei confronti delle principali valute. In particolare il tasso di cambio euro/dollaro è passato da 1,25 a 1,29 circa, stabilizzandosi poi intorno a 1,27. Se la FED dovesse utilizzare anche nel meeting di mercoledì un tono molto dovish, il cambio EURUSD potrebbe rimbalzare con decisione puntando addirittura al ritorno in area 1,30. Per la BCE sarebbe un duro colpo da digerire, visto che l’euro debole può rilanciare il motore dell’export di un’economia ancora troppo fragile. A quel punto l’Eurotower potrebbe mettere in campo l’artiglieria pesante, lanciando il tanto atteso piano di quantitative easing per svalutare definitivamente la moneta unica.

Mario Draghi dovrebbe però superare l’accanita opposizione dei “falchi” presenti nel board della BCE (Jens Weidmann su tutti), ma a quel punto potrebbe far valere le sue ragioni enfatizzando il pericolo per l’economia dell’eurozona derivante da un’euro ancora troppo forte e da un’inflazione sempre più schiacciata verso lo zero. Gli acquisti di titoli di stato e di corporate bond europei (quantitative easing) - che andrebbero a sommarsi ad ABS, covered bond e alle operazioni T-Ltro (credit easing) - potrebbero spingere il cambio euro/dollaro subito fino a 1,20 e entro fine anno prossimo anche intorno a 1,10. La maggior parte dei broker e delle banche d’affari è convinta che alla fine Draghi sarà costretto a lanciare il piano di QE e che il cambio si dirigerà quantomeno fino a 1,20 nel giro di pochi mesi.

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