CRISI, BCE. L’ aggravarsi delle tensioni sul debito italiano e spagnolo indebolisce il piano di crisi presentato alla fine di ottobre. L’appello rivolto alla Banca centrale europea (BCE), da certi politici, è che aumenti i suoi acquisti di titoli di Stato, fino a dieci volte.
Tre settimane dopo gli accordi del 26 ottobre, che, secondo Nicolas Sarkozy, avrebbero dovuto fornire una "risposta globale", "ambiziosa" e "credibile" alla crisi, il consenso e le conclusioni, seppur strappati col forcipe, cui i leader UE erano giunti, sembrano ormai lontani. L’haircut del 50% concesso dalle banche alla Grecia così come il complesso rafforzamento del "firewall" europeo, il Fondo di stabilità finanziaria (European Financial Stability, EFSF) non sono serviti a nulla: lo spettro di un contagio della crisi in Italia e in Spagna, rispettivamente la terza e la quarta economia della zona euro, scuote più che mai i mercati. Dalla fine di ottobre, il rendimento dei titoli a 10 anni, che prefigura il loro costo di indebitamento, è aumentato di oltre 100 punti base (1 punto percentuale) in entrambi i paesi e si è attestato Mercoledì a circa il 6,4% in Spagna e al 7% in Italia.
Se i tassi dovessero mantenersi a questi livelli record, i più elevati dalla nascita della zona euro, o addirittura, continuassero a salire, questo si tradurrebbe in un aumento esponenziale, per diversi miliardi di euro, del costo di finanziamento del debito di entrambi i paesi. Ricordiamo che sull’Italia pesa giù un fardello di 1.900 di euro, l’ammontare attuale del debito italiano. In un contesto di rallentamento della crescita europea, la maggior parte degli economisti ritiene che gli sforzi di disciplina fiscale dei due paesi, di fatto, si annullerebbero. In pratica sarebbero del tutto vani. E l’incapacità di mantenere la fiducia degli investitori per rifinanziare i loro debiti condannerebbe Roma e Madrid alla stessa sorte di Grecia, Irlanda e Portogallo.
Dal mese di maggio, data del salvataggio di Lisbona, l’equazione si è, tuttavia, gravemente complicata, e lo scenario di un collasso della zona euro sta guadagnando terreno tra gli osservatori. Lo spread tra le obbligazioni a 10 anni francesi e i bund tedeschi, ad esempio, è ora a 190 punti base, un livello record. L’effetto contagio comincia dunque a minacciare proprio quel paese che, inizialmente, era stato chiamato a sostenere i paesi in difficoltà.
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Penalizzato dalle tensioni che circondano il suo secondo maggior garante dopo la Germania, l’EFSF stesso sembra arrancare. L’emissione di bond del Fondo salva Stati della scorsa settimana ha raccolto una domanda debole e registrato rendimenti in aumento, mettendo in luce che, l’attuale capacità di circa 266 miliardi di euro, e “considerati gli impegni con Irlanda, Portogallo e Grecia," l’EFSF "non può sostenere significativamente il mercato obbligazionario dei Paesi dell’Eurozona".
Questo è quanto ha reso noto l’agenzia di rating Moody’s, aggiungendo che questo "limita il ruolo del Fondo come pilastro della strategia di gestione della crisi del debito dell’area euro". Secondo Moody’s, se la capacità del Fondo fosse compromessa, il "successo del Fondo come strumento per stabilizzare i costi dei debiti sovrani e quello dell’attuale meccanismo di sostegno all’Eurozona" sarebbe messo in discussione. Inoltre non sono ancora chiari gli strumenti di potenziamento del fondo: i dettagli che circondano il complesso processo da implementare per sfruttare la sua capacità di indebitamento a 1.000 miliardi non sono stati ancora finalizzati.
In questo contesto, sempre più economisti e politici credono che l’intensificazione del programma di acquisto di bond da parte della BCE possa rappresentare l’ultima risorsa contro un scenario catastrofico. Intervenendo più di quanto non stia attualmente facendo, l’istituzione di Francoforte potrebbe sperare di restituire ossigeno all’Italia e alla Spagna. Ma questa soluzione "magica" deve affrontare due scogli principali: la totale opposizione della Germania verso la "monetizzazione" dei debiti degli stati considerati non virtuosi e il mandato di indipendenza della BCE nei confronti paesi terzi.
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