Quando c’è da tagliare, in Italia si sceglie sempre di mettere le mani su cultura e istruzione. L’effetto? Stiamo rimanendo indietro e quella che potrebbe essere la nostra virtù diventa un tallone d’Achille.
In Italia non si fa altro che tagliare sulla cultura, sforbiciare sull’istruzione, tarpare le ali alla ricerca e mettere in fuga qualsiasi forma di ricercatore. Si indica, come ragione di questi tagli il rigore necessariamente imposto dalla crisi, ma se guardiamo al resto d’Europa ci accorgiamo che quella dell’Italia sembra essere più che altro una scelta.
Che sia una scelta dettata dall’esigenza della classe politica di preservare qualcosa di più "prezioso"? Non è questa la sede per discuterne, ma mi piace ricordare quanto scritto tempo fa sull’Internazionale dall’economista e docente dell’università Bocconi di Milano, il professor Tito Boeri:
Spesso l’incompetenza fa vivere l’istruzione come una minaccia alle proprie posizioni di potere. Bisognerebbe punire con il voto i politici che, ignorando i problemi della scuola e della formazione, si disinteressano del nostro futuro.
Quanto NON spende l’Italia in cultura e istruzione?
In Italia nel 2011, soltanto l’8.5% della spesa pubblica è stato destinato ad investimenti relativi all’istruzione, mentre in Europa la media è del 10.9%. A rilevarlo sono i dati Eurostat pubblicati all’inizio di quest’anno e relativi al 2011, ma se guardiamo agli investimenti destinati alla cultura, la percentuale è ancora più esigua: solo l’1.1% della spesa pubblica è stata investita in attività legate alla cultura, laddove la media dei paesi europei è del 2.2%, anche se ci sono alcuni che alzano la media, e non soltanto i più ricchi. La Spagna, ad esempio, investe rispettivamente il 3.5% e il 10.5% in cultura e istruzione.
L’Italia non è soltanto il paese che investe meno in cultura e formazione -di noi fa peggio soltanto la Grecia nel campo dell’istruzione-, ma anche quello che taglia di più.
Secondo uno studio della Commissione Europea, infatti, l’Italia è il paese che più di tutti ha tagliato sull’istruzione. Tra il 2010 ed il 2012 all’istruzione è stato sottratto il 10.4% dei finanziamenti.
E dove incidono i tagli? I tagli arrivano su tutto il complesso del sistema educativo e culturale del nostro paese. Pensiamo soltanto alle scuole e ai disagi, alle biblioteche che riducono gli orari, quando non chiudono definitivamente, passando per le sforbiciate sul personale, facendo saltare 100 mila cattedre e alleggerendo anche i conti delle università (meno il 9.2% in 24 mesi).
Cosa ne pensa l’Europa?
Ma all’Europa questo atteggiamento non piace e, proprio in occasione della pubblicazione di questi dati così tristemente deludenti, sono arrivate le cosiddette "tirate d’orecchia" che tuttavia, com’è sotto gli occhi di tutti, hanno sortito scarsissimo effetto.
Androulla Vassiliou è il commissario europeo responsabile dell’istruzione, la cultura, il multilinguismo e la gioventù e ha detto:
Se gli Stati membri non investono adeguatamente nella modernizzazione dell’istruzione e delle abilità ci troveremo sempre più arretrati rispetto ai nostri concorrenti globali e avremo difficoltà ad affrontare il problema della disoccupazione giovanile.
Cultura: da virtù a tallone d’Achille
Certo che non bisogna essere commissari dell’UE per comprendere che i tagli all’istruzione sono tagli che incideranno nettamente e in maniera negativa sul nostro futuro e su quello dei nostri figli. E non dobbiamo credere che gli effetti arriveranno chissà quando, l’Italia è già oggi maglia nera dell’istruzione tra i paesi OCSE.
Secondo un rapporto rilasciato dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, i giovani italiani sono "poco occupabili" perché poco competenti e si parla di analfabetismo funzionale: gli italiani sanno leggere e sanno scrivere, ma nella vita quotidiana non fanno né l’una, né l’altra cosa. Non sarà poi un caso che nella classifica dei "consumi di prodotti culturali", il nostro è il paese ancora una volta fanalino di coda. L’80% di noi si disinteressa a qualsiasi forma di cultura: dal leggere il quotidiano, all’andare a vedere una mostra o un film al cinema.
La colpa è anche la nostra?
L’Italia è una patria della cultura. Viviamo in storiche città d’arte, ogni singolo paese, anche il più sperduto tra le montagne, ha una lunga storia da raccontare; storia che purtroppo finisce ogni giorno sempre di più nel dimenticatoio. Nella ricerca di un colpevole non si può non riconoscere il ruolo giocato dalle istituzioni e dallo stato. A forza di tagli, l’inestimabile patrimonio culturale del nostro paese giace tramortito, dilaniato dalle spese sempre più ingenti delle istituzioni che nulla fanno per risvegliarlo.
Ma se guardiamo più a fondo, dobbiamo riconoscere che la colpa è in parte anche nostra che forse (e dico, forse) non ci curiamo abbastanza di quello che abbiamo intorno. Continuiamo ad ammirare il nostro televisore nuovo in salotto, ma non sembriamo notare che quella che prima era una scuola o una biblioteca, oggi è un edificio abbandonato e occupato abusivamente.
La tradizione è il nostro passato; l’istruzione è il presupposto per il futuro. Non sarà certo facile scardinare e poi sostituire il sistema lento, arcaico e desueto, fatto di ragnatele come quello italiano, ma la cultura è il bene più prezioso che possiamo lasciare alle generazioni future. Quindi, se oggi decidiamo di spegnere la televisione o lo smartphone, e scegliamo di andare e di portare nostro figlio a vedere una mostra, o semplicemente il sito storico più vicino a casa [se siete in Italia, non sarà affatto distante, ndr.], allora oggi avremo fatto un passo in avanti, cambiando anche solo un piccolo pezzetto d’Italia. E non sarebbe male.
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