Da cavaliere bianco a minaccia: l’ipocrisia di chi sognava JP Morgan come nuova Bce

Mauro Bottarelli

1 Dicembre 2021 - 14:47

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Certo provincialismo di mercato lesse le parole di Jamie Dimon come assunzione del ruolo di prestatore di ultima istanza dei Btp. Per questo ora finge ansia sul finanziamento dell’opa di KKR per Tim

Da cavaliere bianco a minaccia: l’ipocrisia di chi sognava JP Morgan come nuova Bce

Quando agli inizi di luglio, il Sole24Ore pubblicò l’intervista che tutti avrebbero voluto avere, la stampa economico-finanziaria italiana fece ciò che occorre fare di fronte a uno scoop: riprenderlo. E lo fecero tutti.

Perché il numero uno di JP Morgan, Jamie Dimon, che invita a credere e investire nell’Italia di Draghi era notizia succulenta. E, oggettivamente, impossibile da ignorare. Fast forward, come nei registratori. Quattro mesi e mezzo dopo, JP Morgan entra nel mirino della Consob. In sé, una non notizia. Nel senso che l’ente di vigilanza del mercato italiano ha la stessa capacità di intimorire la prima banca Usa per assets di Fedez nei confronti di Zlatan Ibrahimovic. Zero.

E’ il contesto a essere chiarificatore. A far accendere il faro della Consob, come si dice in gergo, sarebbe la volontà di JP Morgan di finanziare l’OPa di KKR su Tim. Da cavaliere bianco a potenziale minaccia nel breve arco di tempo di una stagione: quando impazzavano gli shorts, JP Morgan era il grande sponsor dell’Italia del PNRR, oggi con i maglioni di lana e le sciarpe al collo le si prospetta un ruolo di eminenza grigia dell’assalto estero alla Rete. Cosa è cambiato? Nulla. Semplicemente, la realtà ha fatto ingresso al Palazzo della narrativa. Mettendolo a soqquadro.

Perché un certo provincialismo di mercato tutto italiano, in cuor suo, sperava che quell’endorsement di Jamie Dimon al nuovo governo si traducesse di fatto nella garanzia che JP Morgan avrebbe operato in modalità Bce, quando il Pepp fosse andato a conclusione nel marzo 2022. Tradotto ulteriormente, prestatore di ultima istanza per i nostri Btp e angelo custode - con apertura alare decisamente imponente - del nostro spread. D’altronde, il vizio è antico. E negli ultimi anni, soprattutto durante il governo giallo-verde di Lega e M5S, ha visto alternarsi nelle fantasia di ministri e sottosegretari una pletora globale e variopinta di entusiasti quanto immaginari acquirenti del nostro debito.

Basta leggere alcuni articolo dell’epoca: prima doveva essere l’amico sovranista Donald Trump a fare incetta di Btp, poi l’amico russo Vladimir Putin e infine l’amico cinese Xi Jinping, in punta di memorandum italo-cinese sulla Via della Seta firmato appunto dal quel governo. Alla fine, ovviamente, solo la Bce ha continuato ad acquistare il nostro debito. E con il badile. E ora? JP Morgan apparentemente non serve più, può anzi tornare a recitare il ruolo dello speculatore cattivo. Per due ragioni. Primo, Christine Lagarde ha deciso che l’inflazione è transitoria e si appresterebbe a prolungare il Pepp sotto altro nome e forma anche dopo il 31 marzo, soprattutto ora che la variante Omicron offre un alibi strepitoso.

Secondo, l’obbligata presa d’atto del fatto che a JP Morgan di caricarsi di debito italiano interessa solo se questo offre un margine di guadagno. E’ un trading come un altro, buono un giorno per essere cavalcato e quello seguente scaricato, se cambiano le condizioni di mercato. Trattasi della più grande banca d’America e non di una Onlus o Ong. E, soprattutto, trattasi di business, non di amore. Il rischio? Quello di un cambio di approccio di 180 gradi, in nome di un arrocco sul capitolo Tim che è tutto legato a giochi di potere interni e di relazioni con Parigi, piuttosto che di una pragmatica e pacata riflessione su costi e benefici di un deal.

Certo, la Rete è asset strategico. Non a caso, esiste l’opzione governativa del golden power per bloccare scalate ritenute ostili su infrastrutture sensibili. In tal senso, dopo l’audizione al Copasir (Comitato di controllo parlamentare sui Servizi segreti) sarà interessante sentire cosa dirà in merito domani il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, nella sua informativa urgente alla Camera. Finora, l’esponente leghista ha ribadito come il governo non metta bocca sul management di Tim e come sia prematuro evocare poteri speciali di veto da parte dell’esecutivo. Poche ore e sapremo, se qualcosa ci sarà da sapere.

In compenso, queste due immagini

Stralcio della newsletter Flows and Liquidity dello scorso novembre Stralcio della newsletter Flows and Liquidity dello scorso novembre Fonte: JP Morgan
Correlazione causale fra crisi repo del 2019 e spostamenti di fondi di JP Morgan Correlazione causale fra crisi repo del 2019 e spostamenti di fondi di JP Morgan Fonte: Northman Trader/Bloomberg

ci dicono quanto era noto da mesi e già pubblico lo scorso luglio, quando JP Morgan veniva dipinta come la quinta colonna finanziaria del Rinascimento draghiano. Nel novembre scorso, a ridosso delle elezioni presidenziali Usa, la banca di Jamie Dimon dedicò il suo report settimanale Flows and Liquidity a vari argomenti, fra cui il rischio di nuovo lockdown che l’allora seconda ondata stava prospettando per il mondo. Come ragionasse JP Morgan - giustamente, trattandosi di una banca d’affari e non dell’Esercito della Salvezza - era abbastanza chiaro. Pragmatismo yankee, al limite del cinismo sanitario.

Il secondo grafico è ancora più interessante, poiché spinge ulteriormente all’indietro le lancette. Esattamente all’estate del 2019, quando la banca di Jamie Dimon decise che un decennio di pilota automatico era stato sufficiente e che la Fed doveva tornare in campo con un po’ di diluvio di liquidità, onde evitare un altro 2008. Già in progress e nelle corde del mercato. Detto fatto, lo spostamento di propri fondi per decine e decine di miliardi fuori dal mercato di finanziamento overnight, generò a metà settembre di quell’anno la crisi del mercato repo che obbligò la Fed ad aste emergenziali. Dovevano durare poche settimane, il tempo di ristabilire il giusto livello di liquidità. Terminarono l’aprile dell’anno seguente.

Quando fu la pandemia a subentrare come emergenza e garantire un Qe ancora più spinto e su larga scala. JP Morgan non segue le regole, le decide. E le detta. Nell’estate 2019, lo scorso luglio e anche oggi. Non è cambiata, ha come missione fare soldi. Sempre. Anche con Tim.

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