Armi all’Ucraina, Draghi cade il 21 giugno? Chi sono i partiti pro e contro

Alessandro Cipolla

07/06/2022

07/06/2022 - 09:01

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Il prossimo 21 giugno Mario Draghi sarà al Senato per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo: ecco le posizioni dei partiti.

Armi all’Ucraina, Draghi cade il 21 giugno? Chi sono i partiti pro e contro

Chissà se Mario Draghi in queste settimane in cui è aumentato il pressing di parte della sua maggioranza per un confronto parlamentare sul tema della fornitura di armi all’Ucraina, ha mai riflettuto su quella che è una vecchia massima della boxe: sul ring puoi girare intorno all’avversario tutto il tempo che vuoi, ma alla fine arriverà il momento in cui lo dovrai affrontare.

Dallo scorso 31 marzo, giorno in cui il Senato ha approvato in maniera definitiva il decreto Ucraina che contiene anche il delicato passaggio dell’invio di armi a Kiev, Draghi annusata l’aria che tira all’interno della sua maggioranza ha dribblato come un Garrincha dei bei tempi ogni possibile voto parlamentare sul tema.

Del resto sia al Senato sia in precedenza alla Camera, per evitare possibili sorprese l’esecutivo ha deciso di ricorrere al voto di fiducia: nonostante la maggioranza extra large su cui può contare, questa pratica ormai è diventata una prassi per il “governo dei migliori”.

Il prossimo 21 giugno però Mario Draghi sarà a Palazzo Madama per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo, replicando poi il giorno dopo alla Camera. In quest’occasione l’Aula sarà chiamata al voto sulla risoluzione della maggioranza.

Un passaggio questo molto delicato, che arriverà poco dopo il voto delle amministrative tanto che un volpone della politica come il ministro Giancarlo Giorgetti non ha potuto far altro che ammettere come quello del 21 giugno sia “un passaggio rischioso per Draghi”, con il governo che sarebbe “a rischio”.

Draghi, i partiti e il voto del 21 giugno

In vista del voto del 21 giugno, in merito all’invio di armi in Ucraina si devono fare due premesse necessarie: per prima cosa c’è da considerare che con le elezioni amministrative di mezzo tutto può cambiare da qui a due settimane all’interno delle varie forze politiche, poi c’è da capire cosa ci sarà scritto nella risoluzione di maggioranza.

Due dettagli questi di non poco conto. Giusto per fare qualche esempio, una debacle alle urne potrebbe spingere Matteo Salvini a forzare la mano in una sorta di Papeete-bis, mentre una risoluzione più cauta sul tema delle armi potrebbe spingere il Movimento 5 Stelle a deporre momentaneamente l’ascia di guerra.

In linea di massima queste sono le posizioni dei partiti in merito al proseguire nell’invio di armi a Kiev.

Favorevoli:

  • Partito Democratico;
  • Fratelli d’Italia;
  • Forza Italia;
  • Italia Viva;
  • Azione-Più Europa;
  • Unione di Centro.

Contrari:

  • Movimento 5 Stelle;
  • Lega;
  • Alternativa C’è;
  • Sinistra italiana;
  • Italexit.

C’è da dire però che all’interno di Forza Italia il presidente Silvio Berlusconi ha espresso dubbi sulla linea-Draghi in merito alle armi, mentre Giorgia Meloni ha specificato che “la nostra posizione rimane la stessa, fermo restando che non siamo disposti a salvare il governo: per noi, questo governo prima va a casa, meglio è”.

Al Senato considerando i 72 senatori del M5S, i 61 della Lega e i 35 che hanno votato contro lo scorso 31 marzo, in teoria il governo non avrebbe i numeri per far passare la risoluzione. C’è da dire però che difficilmente i gialloverdi potrebbero votare in maniera granitica contro la maggioranza.

Il rischio per Mario Draghi numericamente però c’è, così come teoricamente un voto anticipato in autunno magari insieme alle regionali in Sicilia sarebbe possibile. Difficile però che l’ala governista del Carroccio e dei 5 Stelle possa appoggiare questo “ribaltone” in piena crisi economica e con una guerra in corso nel cuore dell’Europa.

A essere più veniali c’è anche da considerare la poca voglia di molti ministri di mollare la cadrega e di tanti peones di rinunciare a qualche mese in più nella bambagia romana. Non dimentichiamo infatti che con la riforma del taglio dei parlamentari buona parte degli attuali onorevoli nella prossima legislatura resteranno a casa.

La politica nostrana però di recente ci ha dimostrato che non si può dare nulla per scontato: i rischi per Mario Draghi il prossimo 21 giugno ci sono ma alla fine, dopo tanto rumore, alla fine probabilmente la montagna partorirà il classico topolino.

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