4 motivi per cui l’economia italiana è un disastro

Flavia Provenzani

08/04/2017

Tra debito, produttività lenta, il Governo e il divario con il Sud Italia, tutti i motivi per cui la crescita dell’economia italiana è ancora un disastro.

4 motivi per cui l’economia italiana è un disastro

Il debito italiano è a livelli allarmanti: come ha fatto l’economia italiana ad arrivare a questo punto?

Dimentichiamoci l’effetto domino della Lehman Brothers, dimentichiamoci la crisi in Grecia. L’Italia, l’ottava economia più grande del mondo, non riesce a crescere in modo stabile.

La crisi del debito italiano, scoppiata nel 2011, fa nascere tutt’oggi dei dubbi sulla capacità del governo di implementare le giuste riforme economiche. Ogni volta che lo spread Btp-Bund sale ci ricordiamo che il debito in Italia è più grande di tutto il debito aggregato delle economie di Irlanda, Portogallo e Grecia pre-terzo salvataggio.

Il nostro Paese è troppo grande per fallire, ma anche troppo grande da salvare.

Sebbene negli ultimi anni siano state messe delle pezze sui punti più dolenti dell’economia, la crisi delle banche e la mancanza di riforme di stimolo combinate non permettono all’economia italiana di tornare alla crescita.

Ma cosa ha portato l’Italia fino a questo punto? Ecco quattro cause: il debito, la crisi della produttività, la corruzione e la situazione nel Sud Italia.

1) Il debito

Come riportano i dati dell’Eurostat, il rapporto debito-PIL dell’Italia è il secondo più alto in Europa, peggio solo della Grecia.
Il debito nazionale italiano pesa per il 132% del Prodotto Interno Lordo, per un valore di circa 2.149 miliardi di dollari, anche se in calo dai 2.600 segnati nel 2011.

Non sono solo queste cifre che preoccupano. In realtà, in passato il mercato non avrebbe mai dato peso a questi numeri. L’Italia ha un rapporto debito-PIL ben al di sopra del 100% da circa 20 anni, grazie soprattutto alla pazza spesa pubblica degli anni 1980. Nel 1999, quando l’Italia ha adottato ufficialmente l’euro, il rapporto debito-PIL era del 126%.

Quindi, cosa è cambiato? In una parola: la crescita. Negli anni ‘90 il governo aveva imparato a gestire la spesa con attenzione e a godersi una crescita lenta ma costante del PIL. I deficit bassi hanno mantenuto la dimensione del debito stabile e l’economia in espansione, aiutati da un’inflazione moderata, permettendo di finanziare il pagamento degli interessi su quanto il governo già doveva. Così, l’economia italiana è riuscita a rimanere a galla.

Poi, l’inesorabile e lento declino. A partire dal 2001, la crescita del PIL in Italia è diventata irrisoria. È scesa sotto zero durante la recessione globale e da quel momento è sotto una lentissima fase di recupero.

Ora gli investitori hanno paura che il Paese non riesca a ripagare i suoi debiti senza incorrere in livelli sempre più alti di debito. Tali timori, insieme al nervosismo attorno i vicini della zona euro come la Grecia, costringono l’Italia a pagare sempre di più per il credito ottenuto attraverso i titoli di stato. Il rendimento attuale sui titoli di Stato a 10 anni è del 2.23%, mentre nel 2011 lo stesso parametro ha toccato un record del 7%.

2) La produttività

La scarsa crescita a lungo termine solitamente deriva dalla debolezza dei fondamentali economici. E i fondamentali dell’Italia sono notoriamente “messi male”. È difficile individuare un unico difetto saliente, ma la bassa produttività è un buon punto di partenza per comprendere la debolezza dell’economia italiana.

Per le economie sviluppate in Occidente in competizione con le potenze emergenti in Asia, la via più importante per alimentare la crescita nel corso degli ultimi due decenni è stata la produttività - la quantità di valore che ciascun lavoratore crea nel corso del tempo. Gli incrementi di produttività in Italia, nello stesso tempo, sono stati quasi inesistenti. Ma negli anni ‘90, i lavoratori italiani lavoravano più ore, producendo meno.

Secondo il FMI, l’Italia soffre di un eccesso di regolamentazione e di una carenza di spesa in ricerca e sviluppo. Poiché l’economia è dominata dalla presenza di piccole e medie imprese (PMI), i mercati dei capitali sono scarsamente sviluppati. Inoltre, molte aziende a conduzione familiare non sono in grado di raggiungere le economie di scala cruciali per la creazione edi efficienze.

Il risultato? Un’economia dominata da piccole imprese che non hanno fondi per fare investimenti nel settore tecnologico essenziali per migliorare la propria competitività.

Per poi arrivare al mercato del lavoro, dove il tasso di disoccupazione è di oltre il 12%. Il dato, però, ci racconta solo parte della storia. Proprio come la Grecia (e sempre più anche gli Stati Uniti), fondamentalmente l’Italia ha un mercato del lavoro diviso - uno per i giovani e uno per i vecchi. I lavoratori anziani sono protetti da leggi sul lavoro inflessibili che li rendono difficili da licenziare. Nel frattempo, i giovani italiani, con un tasso di disoccupazione del 40%, sono relegati a contratti a breve termine che li fatto saltellare da un lavoro all’altro. Certamente non è la ricetta giusta per avere una forza lavoro produttiva.

3) Il Governo (e la mafia)

La maggior parte dei problemi italiani non sono nuovi. Il fatto che l’Italia sia sempre stata un disastro la politica economica non ci aiuta capire il motivo per cui la sua crescita è rallentata nel 1999/2000, come sottolinea Daniel Gros, direttore del Centro Europeo per gli Studi politici.

Ma una cosa importante negli ultimi 15 anni e oltre è andata deteriorandosi: il Governo.

Non ci sorprende. Dopotutto, quando si hanno premier accusati di evasione fiscale, qualcosa probabilmente non va. A partire dal 200, gli indicatori di buona governance sono scesi velocemente.

La corruzione e la debolezza dello Stato di diritto sono velenosi per le imprese. Inoltre, permettono un rafforzamento dell’economia sommersa, che non permette al Paese di prosperare come si deve. Oltre il 15% dell’economia in Italia si svolge nell’ombra - un costo per il Governo di circa 100 miliardi di euro all’anno.

4) Il Sud Italia

I guai dell’Italia sono riconducibili anche alla sua impostazione regionale. Quando Giuseppe Garibaldi ha unito il Paese nel 19° secolo, ha riunito tre grandi aree distinte: le repubbliche del Nord, gli stati centrali papali che circondano Roma e il Regno meridionale della Sicilia. Alcuni credevano che le regioni fossero troppo distinte per poter funzionare come un unico Paese. E come l’Economist ha fatto notare, le differenze culturali sono rimaste incredibilmente impermeabili al cambiamento.

Il PIL pro capite nel Nord e nel Centro è superiore di oltre il 40% rispetto a quello del Sud, che però ospita circa un terzo della popolazione totale del Paese. La disoccupazione, la criminalità e il mercato del lavoro nero sono fattori altamente concentrati nel Meridione.

Il destino dell’Italia

L’Italia non ha visto un crollo del settore immobiliare come l’Irlanda. La sua spesa recente non è stata selvaggia come quella della Grecia. Il problema dell’Italia, alla fine dei conti, riguarda la crescita. E mentre alcune riforme del mercato del lavoro possono aiutare la produttività, i tagli ai bilanci potrebbero gettare il Paese in un baratro ancora più grande.

L’Italia si troverà a lasciare l’euro? Avere il controllo della propria moneta con il ritorno della lira potrebbe dare all’Italia la possibilità di scaricare una parte del debito e rafforzare le sue esportazioni. Ma il nostro Paese è anche la terza economia più grande in Europa. Come l’economia si districherà tra questi due scenari è difficile, se non impossibile, prevedere.

Per il momento, speriamo di evitare il disastro - ricordandoci come (e perché) siamo arrivati fino a qui.

Iscriviti a Money.it

Trading online
in
Demo

Fai Trading Online senza rischi con un conto demo gratuito: puoi operare su Forex, Borsa, Indici, Materie prime e Criptovalute.