Un grave pericolo minaccia l’UE. Ma c’è un piano per risolvere

Flavia Provenzani

6 Novembre 2025 - 11:23

Ora l’UE devi difendersi (anche) dai “cavalli di Troia”, i nuovi membri che minacciano la stabilità di Bruxelles. Ma la Commissione ha un piano.

Un grave pericolo minaccia l’UE. Ma c’è un piano per risolvere

In un momento di rinnovata spinta verso l’allargamento dell’Unione Europea, la Commissione UE ha avanzato una proposta che potrebbe cambiare profondamente le regole del gioco per i futuri Paesi membri. In base a una bozza del piano, citata dal Financial Times, i nuovi Stati che dovessero entrare nell’Unione potrebbero essere sottoposti a un vero e proprio “periodo di prova” di diversi anni e, in caso di gravi arretramenti sul piano democratico, rischiare perfino una sospensione temporanea o un’espulsione dal blocco.

La commissaria per l’allargamento nella Commissione, Marta Kos, non ha usato mezzi termini:

«Non voglio passare alla storia come il commissario che ha introdotto cavalli di Troia che saranno attivi tra cinque, dieci o quindici anni».

Con queste parole ha spiegato l’obiettivo di evitare che, come nel caso dell’Ungheria, uno Stato membro dopo l’adesione inizi a erodere gli standard democratici, ostacoli decisioni comuni e minacci la coesione dell’Unione.

Cosa c’è dietro la strategia dell’UE

L’urgenza proviene da due fronti. Da una parte abbiamo la guerra in Ucraina e la pressione geopolitica esercitata dalla Russia sui Paesi esterni all’Unione; dall’altra, c’è l’esperienza interna. Alcuni Stati membri già dentro l’UE hanno mostrato segnali di regressione sotto il profilo democratico. In questo contesto, l’allargamento - non più soltanto una questione di numeri o di economia - assume una dimensione strategica di sicurezza.

Secondo quanto emerso, le misure chiave della proposta includono:

  • un periodo di transizione o prova dopo l’adesione, durante il quale il nuovo Stato membro sarebbe soggetto a un controllo più stringente sul rispetto dei valori fondamentali come lo Stato di diritto, la libertà della stampa e l’indipendenza delle istituzioni;
  • l’inserimento nei prossimi trattati di adesione di garanzie più forti contro le regressioni democratiche, con la previsione che i progressi siano “irreversibili”;
  • la possibilità di sospendere diritti (ad esempio l’accesso ai fondi europei o diritto di voto nel Consiglio) o addirittura di espellere un nuovo membro qualora vi siano deviazioni sistemiche dai valori dell’UE;
  • una forte insistenza sulla cura affinché non si crei una “UE a due velocità” o “a due livelli”, con Stati nuovi di serie A e altri di serie B. Kos ha infatti ribadito che «i Paesi che rispettano lo Stato di diritto non subiranno restrizioni».

I Paesi coinvolti

Nel rapporto annuale sull’allargamento, la Commissione indica che tra i candidati più avanti nelle riforme figurano Montenegro (in testa) e Albania, mentre Serbia e Bosnia‑Erzegovina restano in condizioni più critiche.
Anche l’Ucraina e la Moldavia sono parte del panorama dell’allargamento. La loro integrazione è ritenuta strategica, anche se il percorso resta complesso e strettamente dipendente dall’implementazione di riforme sostanziali.

I rischi e le critiche

La proposta, per quanto motivata, suscita non poche perplessità. Alcuni Paesi candidati hanno già reagito con scetticismo alla prospettiva di entrare nell’UE con diritti parziali o condizioni restrittive. Dall’altra parte delle trattative si teme che si instauri un regime in cui i nuovi membri sarebbero “sotto esame” in modo permanente, a differenza di quelli già dentro.

Inoltre, si teme che le norme che prevedono la sospensione o l’espulsione possano generare un’instabilità politica o diplomatiche interne nei Paesi in transizione, piuttosto che incentivare una svolta democratica. Un ulteriore nodo è lo stesso metodo decisionale dell’UE: la regola dell’unanimità da parte dei 27 Stati membri ha già mostrato i suoi limiti e potrebbe rendere difficile l’applicazione tempestiva delle nuove misure.

Gli obiettivi e il futuro dell’Europa

Come già sottolineato, l’UE vuole evitare che uno Stato che entra nell’UE possa poi arretrare nei diritti fondamentali, diluendo il valore dell’adesione. Un allargamento mal gestito, secondo Bruxelles, rischia di indebolire la capacità decisionale dell’Unione e di dare spazio ad ingerenze esterne. Kos ha avvertito che «se non manteniamo il ritmo dell’allargamento, la mia più grande paura è che i russi entrino dalla porta sul retro».

Non è più sufficiente avviare il processo di adesione. L’UE vuole che i nuovi membri dimostrino che le riforme sono “irreversibili” e che la loro adesione contribuisca all’Unione in modo pieno e stabile.

La proposta della Commissione segna un cambio di paradigma nell’approccio all’allargamento, un passaggio da una logica di “quando siete pronti entrate” a una di “entrate, ma con verifiche e garanzie continue”. Questa impostazione riflette una sempre maggiore consapevolezza che l’adesione all’UE non sia soltanto un riconoscimento simbolico, ma un vincolo reale che richiede un impegno permanente.

Per l’Italia e per gli osservatori europei, la questione ha due risvolti. Da un lato l’opportunità di rafforzare l’Unione- in termini economici, politici e di sicurezza - dall’altro la necessità di non sottovalutare le complicazioni che un allargamento rapido ma malgestito potrebbe comportare.

Bruxelles ha fissato come obiettivo realistico l’adesione di nuovi Paesi entro il 2030, a patto che siano soddisfatte le condizioni. Il tempo stringe e le riforme non ammettono ritardi. Né errori.

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