La scorciatoia di intestare beni ai figli o ai familiari per non pagare le imposte può trasformarsi in una condanna penale. Vediamo il caso in esame e la sentenza della Corte di Cassazione.
In casi di guai con il Fisco l’idea che potrebbe balenare in mente, per mettere al sicuro il patrimonio, potrebbe essere quella di cedere tutto ai figli, ma funziona davvero? Si rischiano guai con l’Agenzia delle Entrate e con la legge? A chiarire la questione e a confermare quanto previsto dal quadro normativo interviene la sentenza 29943 del 29 agosto 2025 della Corte di Cassazione.
Anche se la forma è corretta, secondo i Giudici, la sostanza non cambia e si rischia la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
Cedere tutto al figlio per evitare confische
Il caso preso in esame dalla Suprema Corte è quello di un imprenditore che riceve dal Fisco diversi avvisi di pagamento. Per non essere costretto a saldare i debiti, decide di trasferire il patrimonio al figlio (il 29% di una società immobiliare intestataria dell’unico immobile di cui era proprietario).
Formalmente la cessione era regolare, ma il padre ha mantenuto l’1% delle quote, la carica di amministratore unico e quindi il controllo della società. I Giudici hanno interpretato la mossa dell’imprenditore come un escamotage volto a non pagare le imposte e rendere la riscossione più difficile al Fisco.
La Cassazione nella sentenza spiega che a essere rilevante non è la formale correttezza dell’atto di cessione, ma lo scopo per cui la cessione è stata fatta. Nel caso preso in esame hanno destato sospetto tre elementi:
- il trasferimento è avvenuto subito dopo l’accertamento fiscale;
- il figlio era compiacente al punto da risultare complice e non acquirente indipendente;
- il fatto che, nonostante la cessione, il padre avesse mantenuto la guida dell’azienda.
La Corte ha parlato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte mandando un segnale importante: se si creano scorciatoie per proteggere i beni, non solo queste non funzionano, ma si trasformano in reati. I Giudici, inoltre, hanno qualificato il reato come “pericoloso”: in questo caso non serve dimostrare un danno reale per l’Erario, basta che il comportamento si dimostri come ostacolo alla riscossione per scattare la responsabilità penale.
Mettendosi nei panni del Fisco, infatti, appare chiaro che tutta la situazione era stata costruita per ingannare ed evitare pignoramenti e ipoteche dei beni. In questo caso, per i Giudici, basta la sola intenzione di frode per far scattare la condanna. Il reato di sottrazione fraudolenta, infatti, non colpisce solo chi occulta i beni, ma anche chi compie atti fraudolenti. Nel caso preso in esame l’atto, formalmente valido, è stato interpretato come uno stratagemma e il reato scatta non quando il Fisco non riesce a recuperare le somme, ma quando chi deve pagare mette a rischio la riscossione.
Condanna con confisca La sentenza del 29 agosto è rilevante soprattutto perché ha previsto una confisca sul valore nominale delle quote e non sul capitale sociale. Per la Cassazione a contare non è la cifra effettivamente sottratta, ma il valore reale di quanto sottratto all’azione del Fisco. Nel caso dell’imprenditore la confisca ha riguardato il 29% dell’immobile conferito nella società per un valore di 42mila euro a cui si aggiunge una condanna di otto mesi di reclusione.
La decisione sottolinea quanto sia inutile gonfiare o sgonfiare i bilanci a seconda delle esigenze: nel calcolare il danno, infatti, si guarda al valore reale dell’operazione
© RIPRODUZIONE RISERVATA