Pignoramento conto corrente, ecco la trappola dei 60 giorni che in pochi conoscono

Patrizia Del Pidio

4 Novembre 2025 - 14:42

Il pignoramento diventa a strascico e dura 60 giorni. Vediamo cosa cambia dopo la sentenza della Corte di Cassazione del 27 ottobre.

Pignoramento conto corrente, ecco la trappola dei 60 giorni che in pochi conoscono

Non tutti sanno che con il pignoramento del conto corrente scatta anche la trappola dei 60 giorni che svuota il conto per due mesi. Si tratta di una norma contenuta nell’articolo 72-bis del Dpr 602/1973, ora ribadita dalla sentenza 28520 del 27 ottobre 2025 della Corte di Cassazione.

Nell’articolo 72-bis è chiaramente illustrato il funzionamento di questo meccanismo:

l’atto di pignoramento dei crediti del debitore verso terzi può contenere, in luogo della citazione di cui all’articolo 543, secondo comma, numero 4, dello stesso codice di procedura civile, l’ordine al terzo di pagare il credito direttamente al concessionario, fino a concorrenza del credito per cui si procede:
a) nel termine di sessanta giorni dalla notifica dell’atto di pignoramento, per le somme per le quali il diritto alla percezione sia maturato anteriormente alla data di tale notifica;
b) alle rispettive scadenze, per le restanti somme.

Pignoramento, la trappola dei due mesi

Se al momento in cui scatta il pignoramento il conto corrente è vuoto o in rosso, inutile gioire: da quel momento e per due lunghi mesi, qualsiasi centesimo transiterà sul conto corrente finirà nelle casse dell’agente della riscossione. Stipendio, pagamento o bonifico di un parente, poco importa, tutto quello che transita sul conto corrente non appartiene più al titolare ma serve a saldare il debito fino a sua concorrenza (con l’esclusione dell’eventuale pensione e fermi restando i paletti previsti per il pignoramento dello stipendio).

Per sessanta giorni dopo il pignoramento del conto corrente, quest’ultimo resterà vuoto perché ogni entrata è risucchiata per pagare i debiti.

Con la sentenza in oggetto la Corte di Cassazione stabilisce che la banca, ossia il “terzo pignorato” deve bloccare le somme presenti sul conto corrente e custodire, per poi versare al Fisco, tutto ciò che il conto corrente matura nei 60 giorni successivi al pignoramento.

I 60 giorni concessi alla banca sono definiti come “spatium deliberandi”, ma non devono essere intesi come un arco temporale in cui deliberare, quanto per estendere il vincolo di custodia anche a crediti futuri. Se esiste il conto corrente tutto ciò che vi entra è destinato all’agente di riscossione.

Il conto corrente può essere anche in rosso

Per chi deve recuperare crediti, l’agente di riscossione per esempio, è irrilevante che il conto sia in rosso visto che si possono aggredire eventuali saldi attivi maturati dopo il pignoramento. La decisione della Corte di Cassazione, quindi, fa venire meno anche la speranza che un conto corrente vuoto sia impignorabile per mancanza di capienza, ma il pignoramento speciale previsto dall’articolo 72-bis non si ferma alle giacenze presenti, andando ad aggredire anche quelle future.

Le somme che entrano nel conto corrente nella finestra dei 60 giorni sono congelate entro il limite del debito contratto. Questa sentenza riscrive l’articolo 72-bis stabilendo il principio che l’ordine di pagamento notificato alla banca non congela solo le giacenze presenti, ma estende l’effetto del congelamento ai 60 giorni successivi. La banca è obbligata a versare al Fisco qualsiasi somma che affluisce sul conto pignorato.

Come era prima della sentenza?

Prima della sentenza della Corte di Cassazione, con il pignoramento di un conto corrente, la banca era obbligata a saldare con le giacenze del momento, salvando le eventuali somme affluite sul conto, ad esempio, nei giorni successivi. Solo se la banca avesse preso i fatidici 60 giorni per le verifiche (come consentito dalla legge) i versamenti successivi finivano congelati dal pignoramento. La riscossione, quindi, era legata alla solerzia della banca che, se pagava subito salvava le somme future del correntista.

I Supremi Giudici, quindi, chiariscono che i 60 giorni non sono una concessione temporale per provvedere al pagamento, ma uno spazio concesso alla banca per custodire le somme affluenti per conto del Fisco. Il vincolo di custodia, chiarisce la Cassazione, non si estingue con un primo, insufficiente, pagamento, ma resta fino a concorrenza del debito o fino allo scadere dei 60 giorni.

I 60 giorni, di fatto, sono un lasso di tempo in cui la banca deve aspettare i crediti esigibili. La sentenza del 27 ottobre 2025 chiarisce che possono essere pignorati anche i crediti futuri purché poggino su un rapporto esistente, quello del conto corrente, appunto.
Cosa cambia per chi ha debiti?
Se fino a ora il pignoramento era un colpo singolo, da adesso ha uno strascico di 60 giorni che mette a repentaglio anche i futuri stipendi (nel limite previsto dalla legge) o qualsiasi altra somma entri nel conto corrente.

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