Le sanzioni contro la Russia non stanno funzionando abbastanza: per ora rischiano di rimetterci l’Italia e l’Europa, ecco perché

Giacomo Andreoli

26/08/2022

12/09/2022 - 18:16

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Secondo l’Economist e il Washington Post l’economia russa sta subendo gli effetti delle sanzioni europee, ma non è ancora crollata: nel breve periodo rischia di rimetterci la stessa Ue.

Le sanzioni contro la Russia non stanno funzionando abbastanza: per ora rischiano di rimetterci l’Italia e l’Europa, ecco perché

Le sanzioni occidentali contro la Russia non bastano. A lanciare l’allarme sono l’Economist e il Washington post, citando diversi economisti internazionali. L’analisi è la medesima: l’economia di Mosca è fiaccata dai colpi inferti da Europa, Gran Bretagna e Stati Uniti, ma non sta cedendo come ci si aspettava. Il crollo totale del Pil, insomma, nel breve periodo non ci sarà, mentre i contro-effetti nel Vecchio Continente, rischiano di farsi molto pesanti.

Si tratta di conseguenze dirette, quali la riduzione delle esportazioni e delle importazioni, ma soprattutto indirette, legate alle forniture sul gas. Sembra evidente, infatti, che fin dall’inizio della guerra in Ucraina, Mosca usi il metano come strumento di pressione per convincere l’Ue a togliere le sanzioni.

I timori dei mercati europei sono soprattutto di un possibile stop totale alle forniture, con il colosso Gazprom che ha già notevolmente ridotto i flussi e dal 31 agosto al 2 settembre chiuderà del tutto il gasdotto Nord Stream 1 per “manutenzione”. Chissà cosa succederà dopo.

Il Pil russo cala meno del previsto

Sino ad ora - scrive esplicitamente l’Economist- la guerra delle sanzioni non sta andando come previsto”. A fine anno ci si aspettava una riduzione del prodotto interno lordo russo del 15%, mentre il Fondo monetario internazionale calcola ora un calo ben più ridotto, di circa il 6%.

Il sistema economico russo ha ridotto fortemente i suoi scambi con l’Occidente, con problemi rilevanti sulla tenuta finanziaria (soprattutto in relazione al pagamento del debito estero in dollari), ma non è andato in tilt. Mosca ha retto per i contemporanei accordi commerciali con la Cina, rafforzati in questi mesi, ma soprattutto per la vendita dei beni energetici a prezzi altissimi (il gas oggi supera i 300 euro a megawattora).

Quest’anno infatti, nonostante la riduzione delle forniture, tra gas e petrolio la Russia realizzerà infatti un surplus di 265 miliardi di dollari, il secondo più grande al mondo dopo la Cina. Nel frattempo invece, sottolinea l’Economist “in Europa la crisi energetica potrebbe innescare una recessione”.

Contro-effetti pesanti in Italia e Germania

La prospettiva è concreta, con gli economisti del Mes che, in caso di stop totale delle forniture di gas dalla Russia, calcolano un impatto sul Pil dei Paesi Ue molto violento, che arriverebbe al 2,5% per Germania e Italia, le nazioni più esposte perché più dipendenti dalle importazioni.

Nel nostro Paese, poi, un’intensificarsi della crisi energetica porterebbe secondo Confcommercio alla chiusura di 120mila aziende e alla perdita di 370mila posti di lavoro. Non solo, per Coldiretti, il traino sul prezzo dei beni alimentari può portare 2,6 milioni di italiani a rischio fame e costretti a chiedere aiuto per mangiare.

Già ad oggi, però, scontiamo come gli altri Paesi Ue una ripresa dal periodo Covid meno forte di quanto fosse previsto prima della guerra in Ucraina. L’Italia quest’anno dovrebbe crescere del 3% circa, contro il 4,6% calcolato a dicembre 2021 e poi nel 2023 potrebbe arrivare la recessione (al momento, senza tenere conto dei possibili effetti più duri della crisi energetica e delle politiche monetarie restrittive, si stima una crescita dell’1%, tre volte in meno di quanto pronosticato un anno fa).

In Russia “recessione tecnica”

Il giornale inglese sottolinea che le autocrazie come Mosca sono “brave ad assorbire il colpo iniziale di un embargo perché possono controllare le loro risorse”. Discorso diverso per le democrazie occidentali. Tuttavia, formalmente, la Russia è in default.

Si tratta di una recessione solo “tecnica, scattata a fine giugno alla fine del periodo di “grazia” sui circa 100 milioni di dollari di debito estero non pagati. Lo stato di insolvenza, quindi, è scattato non per mancanza di denaro, ma per impossibilità di rimborsare il debito, per effetto delle sanzioni inflitte soprattutto dagli Stati Uniti, che hanno bloccato i pagamenti.

La disoccupazione russa non aumenta in modo evidente

L’iniziale calo di valore del rublo - sottolinea però il Washington Post- si è rapidamente invertito, dopo che lo Stato ha limitato le transazioni valutarie e dopo che le importazioni della Russia sono crollate, calmando i timori del pubblico su una crisi valutaria. La disoccupazione, poi, non è aumentata in modo evidente”.

In città come Mosca e San Pietroburgo, si vedono ristoranti e bar affollati e i negozi di alimentari riforniti, anche se i prezzi sono aumentati di molto e alcuni beni importati, come il whisky, sono oramai difficili da trovare.

Le sanzioni contro la Russia servono?

Ma allora davvero non sta andando così male in Russia e le sanzioni sono controproducenti? Non proprio, perché nel medio-lungo periodo l’economia di Mosca non potrà reggere l’impatto di queste sanzioni e il continuo pressing sul gas come arma di ricatto lo dimostra.

A rendere evidenti le difficoltà sono alcuni dati economici. La produzione di automobili è crollata quasi del 62% nella prima metà dell’anno, a causa dal calo drastico delle importazioni di componenti. Le vendite al dettaglio sono diminuite del 10% nel secondo trimestre, rispetto a un anno fa, quando i russi hanno frenato le loro spese. La fiducia dei consumatori è poi al livello più basso dal 2015 e il 78% dei russi non pianifica acquisti.

E ancora: le compagnie aeree hanno ridotto i voli internazionali quasi a zero e stanno licenziando i piloti. Migliaia di persone altamente istruite, poi, sono fuggite dal paese, mentre centinaia di aziende straniere, tra cui Ikea e McDonald’s, stanno chiudendo. Infine il bilancio federale russo a luglio ha mostrato segni di sofferenza.

A luglio, infatti, la Russia ha riportato un deficit di bilancio di 900 miliardi di rubli, mentre alcune fonti di entrate fiscali sono diminuite, un “enorme divario”, pari all’8% del Pil, secondo Sergei Guriev, economista dell’università Sciences Po a Parigi. «Il divario tecnologico tra la Russia e le economie avanzate si allargherà nel tempo», ha scritto poi in un recente articolo Ilya Matveev, politologo di San Pietroburgo. Tutto questo mentre continuerà “la forte recessione economica”.

Il tetto mondiale al prezzo del petrolio

Per velocizzare questa spirale negativa, con la speranza di fermare le ostilità russe in Ucraina, il Washington Post spiega che l’Ue dovrebbe “tagliare la principale ancora di salvezza di Mosca: le entrate delle esportazioni di petrolio e gas”. Insomma: causarsi altri mali immediati, ma mettere in crisi così tanto la Russia da spingerla a rivedere le sue posizioni.

Intanto la Casa Bianca, dopo lo stop al carbone russo, sta spingendo per un’azione più immediata tramite un tetto mondiale al prezzo del petrolio di Mosca, che costringerebbe il Paese a vendere a prezzi scontati rispetto agli attuali. Tutto questo mentre in Ue si continua a lavorare per arrivare al price cap sul gas.

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