Il governo Meloni prende tempo sulla ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità. L’Italia è l’ultimo Paese rimasto a non averlo approvato: cosa succede se ci rifiutiamo di dare l’ok?
L’Italia è l’unico Paese rimasto in Europa a non voler ratificare la riforma del Mes. Si tratta del Meccanismo europeo di stabilità, che l’Unione europea vuole modificare oramai da anni, con l’obiettivo dichiarato di renderlo meno stringente e aiutare gli Stati membri. Questo strumento di sostegno finanziario, infatti, è noto per essere stato utilizzato nel 2011 in occasione della crisi dei debiti sovrani dell’Eurozona, soprattutto per la Grecia, con risultati quantomeno controversi.
Il governo Meloni aveva detto di voler attendere la decisione della Germania per capire il da farsi. A Berlino la Corte costituzionale tedesca si è espressa per procedere alla ratifica del nuovo Mes, ma l’esecutivo continua a far melina.
Ad apposita interrogazione del deputato di Italia Viva, Luigi Marattin, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha risposto che il Mes è un’istituzione “impopolare e in crisi”, quindi ha spiegato che un’eventuale decisione di procedere o meno alla ratifica dovrebbe essere “preceduta da un adeguato e ampio dibattito in Parlamento”.
Insomma, il governo temporeggia, stretto tra un’approvazione che potrebbe contraddire quanto sostenuto per anni dai partiti di maggioranza e un’opposizione ferrea che rischia di isolare l’Italia in Europa. Ma cosa succederebbe davvero se l’Italia bloccasse la riforma del Mes?
Cos’è il Mes e perché se ne torna a parlare
Il Mes è un’organizzazione intergovernativa dei 19 membri dell’Eurozona, nata nel 2012 per sostituire quel Fondo salva-Stati che ha sostenuto finanziariamente i Paesi a rischio default dopo la crisi economica del 2007-2008, ma in cambio di riforme d’austerità, con diversi tagli alla spesa pubblica.
Questa istituzione ha una “potenza di fuoco” fino a 700 miliardi, che può raccogliere sul mercato con vari escamotage. Attualmente i soldi possono essere prestati con due linee di credito: condizionale precauzionale (Pccl) e soggetta a condizioni rafforzate (Eccl). La prima ha condizioni “soft”, la seconda più dure.
La riforma dell’Ue, che deve essere approvata da tutti Stati membri, elimina le prime condizionalità, sostituite dal rispetto del nuovo Patto di Stabilità e modifica le clausole più restrittive. Fa discutere, tuttavia, la questione ristrutturazione del debito. Se il board direttivo del Mes, il cui potere viene in parte rafforzato, non dovesse ritenere sostenibili i debiti degli Stati, potrebbe richiedere una ristrutturazione come condizione obbligatoria per accedere al prestito, valutando il da farsi con la Commissione europea. Il rischio, se l’Italia chiedesse aiuto, sarebbe l’esplosione dello spread, con lo spettro del default.
L’Italia prenderà soldi in prestito dal Mes?
In questo caso, quindi, non si parla di domandare i soldi in prestito all’Ue, in cambio di potenziali condizioni stringenti per la nostra economia. Non sono quindi sul tavolo i 36-37 miliardi di euro che Italia Viva e Matteo Renzi spingevano per chiedere in prestito quando entrava in crisi il governo Conte II, tra fine 2020 e inizio 2021.
Riforma del Mes, perché l’Italia è contraria?
Per il ministro degli Esteri Antonio Tajani ci sono delle riserve nei partiti di maggioranza sulla riforma proposta in sede europea e aggiunge che Forza Italia lo considera uno strumento “poco europeista”, soprattutto per “il mancato controllo di chi guida il Mes da parte del Parlamento europeo”. Firmare una riforma su uno strumento da sempre osteggiato dal centrodestra potrebbe essere qualcosa di malvisto da gran parte dell’elettorato.
Nel 2020 Meloni diceva: “Questa riforma del Mes è l’anticamera della cura greca. Io sono una patriota e voglio che rimanga agli atti che avevo avvertito: si sta materializzando l’antico volere tedesco, quello di farci pagare il debito con il risparmio privato”.
Riforma del Mes, che succede se l’Italia si oppone
Giorgetti ha spiegato che il Mes dovrebbe trasformarsi “in un volano per il finanziamento degli investimenti e per il sostegno per affrontare sfide come quella del caro energia e della crisi internazionale connessa alle vicende ucraine, rivedendo le condizionalità attualmente previste ovvero le modalità di utilizzo delle risorse”.
Difficile che questo accada e l’atteggiamento del governo mostra chiaramente che Meloni non vuole rischiare di rimanere ulteriormente isolata in Europa. Il momento economico è difficile e i pregiudizi per l’esecutivo di centrodestra sono tanti. La manovra è stata approvata dalla Commissione Ue, seppur con diverse critiche, ma l’equilibrio è precario.
Le distanze con alcuni Paesi, in primis la Francia, sono già tante. Bloccare una riforma europea da soli è uno scenario che l’Italia potrebbe non permettersi se vuole avere spazi di bilancio. Ci sarebbe infatti uno strappo con Bruxelles, inimicandosi l’esecutivo comunitario, che finora è stata tutto sommato morbido con il governo Meloni. Ieri la presidente della Banca centrale Ue, Christine Lagarde, ha chiesto una rapida ratifica della riforma da parte dell’Italia.
Una forzatura, poi, non sarebbe gradita nemmeno al Quirinale, con Sergio Mattarella che spinge per rimanere nell’alveo dell’Ue.
Mes, la possibile strategia del governo Meloni
Una strategia possibile potrebbe essere quella di fare un dibattito in Parlamento, in cui emerga che l’Ue deve approvare regole meno restrittive sul Patto di Stabilità nel 2023, con la contemporanea promessa da parte dell’esecutivo di non chiedere mai in nessun caso un prestito al Mes. L’approvazione verrebbe “scaricata” su Camera e Senato, magari con una maggioranza molto ampia, che includa Pd e terzo polo, così da permettere anche molti voti contrari tra i partiti di destra. In tal senso esiste già una proposta di legge per la ratifica di Azione e Italia Viva.
C’è però anche chi nel governo si aggrappa al fatto che dal primo gennaio la Croazia entrerà nell’Eurozona e dovrà ratificare il Mes. Si potrebbe quindi prendere ulteriore tempo dicendo che manca ancora il Paese balcanico.
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