L’ESM, nato per salvare gli Stati dell’euro in crisi, oggi cerca un nuovo ruolo tra sogni di debito unificato, riforme bloccate e il disinteresse generale degli Stati membri.
Si girano i pollici in quel di Lussemburgo, all’European Stability Mechanism, un’Istituzione finanziaria privata che ha appena festeggiato i suoi primi dieci anni di vita e che era stata promossa dall’Unione europea al culmine della crisi finanziaria del 2010 con l’obiettivo a dir poco sfidante di emulare il Fondo Monetario Internazionale nell’assistere i Paesi aderenti all’euro in gravi difficoltà.
In realtà, dopo essere automaticamente subentrato all’EFSM (European Financial Stability Mechanism) nei postumi della gestione delle diverse situazioni critiche verificatesi in Grecia, Spagna, Portogallo e Cipro che era stata effettuata da parte della “Troika” composta da Commissione Europea, Bce e Fmi, vive senza fare altro che incassare i profitti della gestione sonnacchiosa dei fondi di capitalizzazione versati dagli Stati aderenti al Trattato istitutivo: aspetta che qualcuno di questi Stati ne invochi l’aiuto ed abbia bisogno del suo intervento finanziario precauzionale o del sostegno in situazioni di drammatica difficoltà.
Il compito affidato all’ESM, quello di aiutare gli Stati dell’euro in crisi potenziale o conclamata, in realtà è strumentale rispetto ad un pericolo esistenziale per la stessa moneta unica: il collasso dell’euro per via dell’abbandono di questa moneta da parte dello Stato in crisi col ritorno ad una moneta nazionale svalutata.
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