Referendum lavoro spiegati dal giuslavorista Costantino, cosa c’è da sapere

Alessandro Cipolla

30 Maggio 2025 - 12:00

Tutto quello che c’è da sapere sui referendum lavoro 2025: dal Jobs Act ai licenziamenti i quesiti spiegati da Giovanni Costantino, avvocato del Foro di Roma, giuslavorista e cassazionista.

Referendum lavoro spiegati dal giuslavorista Costantino, cosa c’è da sapere

Referendum lavoro 2025: domenica 8 (dalle 7 alle 23) e lunedì 9 giugno (dalle 7 alle 15) gli italiani saranno chiamati a esprimersi sui cinque quesiti dichiarati ammissibili a inizio anno dalla Consulta, quattro dei quali proposti dalla Cgil.

Dei cinque referendum che saranno sottoposti al giudizio degli italiani uno riguarda la cittadinanza e quattro il tema del lavoro, ma per la validità della consultazione referendaria popolare sarà necessario che si rechino alle urne almeno la metà degli aventi diritto al voto più uno.

A riguardo i promotori hanno denunciato un sostanziale silenzio sul tema da parte dei mass media e del governo, parlando di una chiara volontà di voler far fallire i referendum grazie al non raggiungimento del quorum.

Per cercare di spiegare i referendum lavoro ecco allora l’autorevole voce di Giovanni Costantino, avvocato del Foro di Roma, giuslavorista, cassazionista e consulente aziendale.

L’avvocato Costantino è specializzato in Diritto del Lavoro ed è il legale e responsabile del Servizio Lavoro e Relazioni Sindacali dell’Aris, associazione datoriale di categoria delle strutture sanitarie religiose.

Cerchiamo allora di entrare nel merito dei referendum lavoro 2025 cercando di capire per cosa gli italiani saranno chiamati ai seggi.

I referendum lavoro 2025 spiegati

A dieci anni esatti dall’entrata in vigore delle cosiddette Tutele crescenti e del Jobs Act, in un continuo tira e molla tra Legislatore e Magistratura, il futuro della disciplina dei licenziamenti e del contratto a termine passa per i referendum lavoro dell’8 e 9 giugno.

I quesiti referendari in materia di lavoro sottoposti ai cittadini – ha spiegato il giuslavorista Giovanni Costantino – mirano sostanzialmente a cancellare gli interventi normativi adottati dal Legislatore nell’ultimo decennio in nome di una maggiore flessibilità in ingresso nel mondo del lavoro, per i contratti a termine acausali, e in uscita, per quanto concerne la disciplina delle tutele crescenti, al fine di favorire l’occupazione”.

Secondo Costantino si tratta in realtà di provvedimenti normativi che hanno raggiunto solo in parte lo scopo dichiarato, non avendo determinato la ripresa dell’occupazione che ci si sarebbe aspettati e avendo subito successivi interventi da parte della Magistratura che ne hanno, in parte, depotenziato l’efficacia.

A oggi – ha proseguito Costantino – dell’originaria disciplina dei licenziamenti introdotta nel 2015 rimane ben poco a causa della costante opera di smantellamento attuata negli anni dalla Corte costituzionale. Viene quindi da chiedersi se abbia ormai effettivamente senso mantenere l’applicazione di due regimi di tutela diversi per i lavoratori o se non sia, invece, il caso di unificare l’intera disciplina, allineandosi però a quanto disposto dalla maggior parte dei Paesi europei, che già prevedono tutele indennitarie più contenute rispetto all’Italia e considerano la reintegrazione in servizio una tutela eccezionale, da riservare nelle ipotesi di nullità del licenziamento”.

Per l’avvocato non è da sottovalutare anche la possibile portata del quesito referendario finalizzato a eliminare il tetto massimo dell’indennità risarcitoria prevista per i licenziamenti intimati da aziende che occupino fino a quindici dipendenti.

Viviamo in un Paese – ha precisato il giuslavorista - in cui oltre il 90% delle imprese occupa meno di 15 dipendenti, per cui l’abrogazione di tale limite massimo potrebbe incidere pesantemente persino sulla loro sopravvivenza. È certo che soprattutto dopo la recente pronuncia della Corte costituzionale che ne ha paventato l’illegittimità, un intervento sulla disciplina dei licenziamenti nelle imprese sotto-soglia appare ormai improcrastinabile, ma la mera abolizione del limite massimo non può essere la soluzione essendo necessaria una riforma modulare che, con regole certe, tenga conto delle diverse realtà”.

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