Quanto guadagnare per pagare meno tasse? Lo studio del Senato

Anna Maria D’Andrea

8 Agosto 2017 - 17:05

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Fisco italiano complesso e poco vantaggioso per chi ha redditi dai 28.000 euro in su: per pagare meno tasse conviene lavorare poco. Ecco lo studio dell’Ufficio valutazione impatto del Senato che analizza, in sostanza, quanto guadagnare per non essere tartassati dal Fisco

Quanto guadagnare per pagare meno tasse? Lo studio del Senato

“La giungla delle aliquote effettive”, è questo il titolo dello studio sul fisco italiano pubblicato dall’Ufficio valutazione impatto del Senato che spiega quanto guadagnare per pagare meno tasse.

In Italia conviene lavorare meno e guadagnare poco: per i contribuenti con reddito annuo superiore ai 28.000 euro il rischio è quello di essere paragonati, a livello fiscale e contributivo, a chi guadagna anche fino a 200.000 euro.

Lo studio pubblicato sul sito dell’UVI del Senato e guidato da Fernando Di Nicola e Melisso Boschi esordisce con una domanda provocatoria: al contribuente conviene sempre lavorare e guadagnare di più? Secondo gli esperti del Senato la risposta è no e la colpa è delle aliquote marginali effettive.

Di cosa stiamo parlando? Oltre alle aliquote Irpef, i contribuenti italiani sono immersi in una vera e propria giungla di aliquote implicite: contributi, detrazioni per carichi familiari, addizionali locali, bonus di 80 euro, assegni al nucleo familiare. Per pagare meno tasse e beneficiare di sgravi e agevolazioni fiscali è però necessario non superare determinate soglie di reddito e non guadagnare più di una determinata cifra.

Se è vero che il sistema fiscale italiano si basa sul principio di progressività individuato dall’art. 53 della Costituzione, quello che l’Ufficio valutazione impatto del Senato ha constatato è che l’aliquota marginale effettiva risulta invariata per i contribuenti con reddito da 28.000 euro fino a svariati milioni, rendendo di fato nullo il maggior prelievo fiscale per redditi tra i 100.000 e i 200.000 euro.

Il risultato è che, in sostanza, diventa più conveniente lavorare e guadagnare meno, per non correre il rischio di dover pagare maggiore imposte e ricevere minori benefici. Ecco di seguito lo studio del Senato sul peso dell’aliquota marginale effettiva sul sistema fiscale in Italia.

Quanto guadagnare per pagare meno tasse? Lo studio del Senato

Mai sopra i 28.000 euro. Per pagare meno tasse non bisogna guadagnare più di tale soglia perché altrimenti si rischia di essere letteralmente sommersi non soltanto dalle imposte ma anche, e soprattutto, dal complesso sistema delle aliquote marginali effettive.

Come noto il sistema di tassazione sui redditi Irpef in Italia è basato sul criterio della progressività: cinque aliquote e cinque scaglioni di reddito, con un imposta che va dal 23% fino al 43% per i contribuenti con redditi molto alti.

Eppure non è tutto così chiaro e semplice: una vera e propria giungla di imposte che, inconsapevolmente, abbattono i redditi della classe media e che, secondo lo studio dell’Ufficio valutazione impatto del Senato finiscono col dare ragione a chi sostiene che per pagare meno tasse bisogna lavorare e guadagnare meno.

Secondo l’analisi, la struttura fiscale italiana ha assunto di fatto una conformazione riconducibile a tre soli livelli di cuneo:

  • l’esenzione
  • un livello intermedio fino a circa 28 mila euro di imponibile Irpef
  • un livello massimo indifferenziato tra 28 mila e infinito.

Insomma, non esiste soltanto l’Irpef: accanto alla tassazione per aliquote e scaglioni un peso rilevante è dato dalle aliquote marginali effettive.

Cosa sono le aliquote marginali effettive

Meno guadagni e meno sarà il peso delle aliquote marginali effettive. Di cosa stiamo parlando?

L’Ufficio valutazione impatto del Senato spiega che:

Nell’attuale sistema di imposte e benefici, all’aumentare del reddito di persone e famiglie aumentano le imposte dovute e diminuiscono i benefici connessi al sostegno del reddito, del carico familiare e del tipo di lavoro. La combinazione di imposte crescenti e di benefici decrescenti determina l’emergere delle AME, le “aliquote marginali effettive” che indicano la percentuale di ogni incremento di reddito guadagnato che deve essere versato come imposta o che viene compensato da una diminuzione di benefici incassati. A parità di reddito lordo, le diverse condizioni individuali e familiari produrranno diverse aliquote marginali effettive e ciò influirà sull’offerta di lavoro oltre che sulla redistribuzione del reddito.

Con riferimento all’offerta di lavoro, continua lo studio, “quando le aliquote marginali effettive sono alte gli individui tendono a lavorare meno, a ridurre l’intensità del lavoro oppure a decidere di non lavorare affatto, poiché il guadagno addizionale verrebbe eroso dalla combinazione di maggiori imposte e minori benefici”.

In sostanza, quello che sostiene lo studio è che per pagare meno tasse conviene, almeno attualmente, non guadagnare più di 28.000 euro: questa è l’idea diffusa che tuttavia rischia di alimentare povertà e scoraggia i lavoratori.

Conviene lavorare di più? Aliquote marginali alimentano povertà ed evasione

Lo studio pubblicato sul sito dell’Ufficio valutazione impatto del Senato offre delle interessanti simulazione del peso delle AMF su lavoratori dipendenti, autonomi, commercianti e pensionati. La domanda che viene posta è: conviene lavorare di più?

L’idea che bisogna guadagnare meno per pagare meno tasse crea un disinteresse ad accrescere la propria offerta di lavoro e produttività: gli aumenti di reddito sarebbero infatti modesti se non proprio in riduzione del reddito disponibile. Le aliquote marginali influenzano le scelte lavorative delle persone:

“Per chi ha già un’occupazione, le AME possono influire, ad esempio, sulla convenienza a lavorare un numero maggiore di ore, a scegliere di lavorare part-time o full-time, a contrattare un salario maggiore rispetto a benefit alternativi, oppure a svolgere una seconda attività. Per chi un’occupazione non ce l’ha, possono influire sulla decisione di cercarla. In buona sostanza, le AME influenzano l’offerta di servizi lavorativi, sia che si tratti di una maggior intensità di lavoro da parte degli occupati, sia che si tratti di nuova occupazione per gli individui non appartenenti alla forza lavoro”.

Se è vero che le AME hanno un impatto negativo sui lavoratori e sulla lotta alla povertà, è ugualmente fondata l’idea del loro legame con l’evasione fiscale, perché spingono i contribuenti di alcune fasce di reddito a svolgere lavoro nero o a non dichiarare parte del proprio reddito imponibile.

La conclusione del corposo studio è che l’unica strada da percorrere è quella di razionalizzare e semplificare il sistema: soltanto in questo modo si potrà ritornare ad un sistema fiscale effettivamente progressivo ed equo e non lasciare che sviluppo e produttività vengano limitati dalla marea di imposte da pagare.

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