Prezzo petrolio: i rischi per il greggio sono 2 (e il default Usa non c’entra)

Violetta Silvestri

29/05/2023

29/05/2023 - 14:13

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Il prezzo del petrolio mostra segnali di debolezza nonostante la buona notizia di un accordo sul default Usa. Il calo delle quotazioni è causato da 2 motivi che preoccupano la domanda.

Prezzo petrolio: i rischi per il greggio sono 2 (e il default Usa non c’entra)

I prezzi del petrolio sono stabili, con lievi oscillazioni al ribasso, dopo che i leader statunitensi hanno raggiunto un tentativo di accordo sul tetto del debito, forse scongiurando un default nella più grande economia e consumatrice di greggio del mondo.

L’effetto immediato è stato positivo per le quotazioni, con futures su Brent e WTI che sono entrambi aumentati, per poi però scendere e oscillare. In una giornata scandita da minori scambi per la chiusura di importanti Borse (statunitense e londinese, tra le altre), gli analisti continuano a nutrire dubbi su un rally duraturo del’oro nero.

I rischi di ribasso per prezzo del petrolio sono almeno 2 e la questione del debito Usa non c’entra. Cosa può davvero scuotere il greggio?

Perché il prezzo del petrolio è in calo

Mentre si scrive, il Brent oscilla sui 76,75 dollari al barile, con un -0,30% e il WTI scambia a 72,56 dollari al barile (-0,15%).

Cosa sta succedendo al greggio? Occorre innanzitutto osservare che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il presidente della Camera Kevin McCarthy durante il fine settimana hanno forgiato un accordo per sospendere il tetto del debito di $31,4 trilioni e limitare la spesa pubblica per i prossimi due anni. Entrambi i leader hanno espresso la fiducia che i membri dei partiti democratico e repubblicano voteranno per sostenere l’accordo.

Il raggiungimento dell’accordo e l’allontanamento dallo scenario di default sul debito statunitense ha rinnovato l’appetito degli investitori per attività più rischiose come le materie prime. Tuttavia, la spinta al rialzo è durata poco: perché?

I motivi sono 2: Fed e Cina. La Federal Reserve americana potrebbe ancora alzare i tassi di interesse a giugno e questo è visto come un freno per le quotazioni di greggio. Il mercato sta scontando una probabilità del 60% di un aumento dei tassi della Fed di 25 punti base il 14 giugno contro una probabilità del 17% una settimana fa e non si valutano più tagli dei tassi fino alla fine dell’anno.

Una politica ancora aggressiva della banca centrale Usa potrebbe innescare un allentamento economico che può pesare sulla domanda di beni (e di greggio). Inoltre, spingerebbe il dollaro, scoraggiando gli acquisti dell’oro nero che diventa più costoso.

C’è poi lo scoglio Cina: la crescita post-pandemia arranca e non sta mostrando la forza che ci si aspettava dopo l’eliminazione delle misure anti-Covid.

Il prezzo del petrolio è ancora in calo di circa il 9% quest’anno, proprio poiché la fiacca ripresa economica della Cina e l’aggressiva stretta monetaria della Federal Reserve hanno pesato sulle prospettive della domanda. Anche l’offerta russa è stata resiliente, senza drastici cali che avrebbero potuto far balzare le quotazioni.

Anche le dinamiche dell’offerta rimangono al centro dell’attenzione, con l’Arabia Saudita e la Russia che hanno recentemente rilasciato dichiarazioni contrastanti sul potenziale cambiamento della politica di offerta da parte dell’OPEC+. Il gruppo si incontra a Vienna il 3-4 giugno per decidere i livelli di output.

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