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di Glauco Maggi

Tanto caro-vita, poco petrolio. Per Biden e i Dem sono guai

Glauco Maggi

18 ottobre 2022

Tanto caro-vita, poco petrolio. Per Biden e i Dem sono guai

Le politiche di Biden hanno portato gli Stati Uniti a un’inflazione oltre l’8% e a perdere la propria indipendenza energetica.

Il motivo banale per cui Joe Biden, e tantomeno la sua vice Kamala Harris, sono stati vistosamente tenuti fuori dalla campagna elettorale dei candidati democratici alla Camera e al Senato in lizza nei distretti più importanti, quelli “swing” (ballerini), alle elezioni di medio termine fra quattro settimane è perché, secondo la media dei sondaggi di settembre e ottobre curata da Rcp, l’impopolarità di Biden (il 53% di americani lo boccia contro il 43,4% che lo approva, con un gap negativo di 9,6 punti) e della Harris (51,8% che la bocciano contro il 37,2% che la approvano, con un gap negativo di 14,6 punti) farebbe molto più male che bene.

Il fatto sostanziale che pesa sulle fortune elettorali dei candidati Dem al Congresso è il peggioramento delle condizioni di vita della gente, e la scarsa simpatia dell’opinione pubblica verso chi ora occupa la Casa Bianca è l’altra faccia della medaglia. Ai primissimi posti dell’insoddisfazione ci sono l’inflazione rampante in generale, e il costo della benzina e del riscaldamento in particolare, oltre all’immigrazione clandestina.

L’inflazione Usa e le sue conseguenze sul governo Biden

Il rapporto ufficiale del governo relativo a settembre ha registrato l’ennesimo record d’inflazione. Anno su anno, il mese scorso ha visto un incremento complessivo dell’8,2% del costo della vita, distribuito nelle seguente voci: voli aerei +42,9%; uova +30,5%; assicurazione sanitaria +28,2%; trasporti pubblici +27,1%; pollo +17,2%; latte +15,2%; pane +14,7%; gomme d’auto +12,9%; frutta e verdura + 10,4%; automobili nuove +9.4%; case, in acquisto e in affitto, +6,6%. Negli ultimi 12 mesi, l’aumento medio degli stipendi è stato del 5%, e ciò significa che il potere di acquisto dei lavoratori è calato del 3,2% in termini reali.

La causa prima dell’inflazione è l’enorme flusso di nuovo indebitamento pubblico che Biden e il Congresso controllato dai democratici hanno approvato da inizio 2001, il che ha aggravato le decisioni della Fed, troppo “accondiscendenti” e troppo a lungo.

Il Comitato per un Budget Federale Responsabile (Committee for a Responsible Federal Budget, Crfb), ente bipartisan no profit composto da esperti di bilancio, tra cui molti ex parlamentari di entrambi i partiti che hanno ricoperto in passato le cariche di capi delle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, scrive sul proprio sito parole chiarissime sulla responsabilità di Biden e del Congresso attuale nel generare l’attuale inflazione.

«Prima della pandemia, il debito nazionale degli Stati Uniti era già su un percorso insostenibile. Nel 2020, i responsabili politici hanno approvato 3,4 trilioni (3400 miliardi) di prestiti aggiuntivi per aiutare a combattere la pandemia e stabilizzare l’economia», ricorda il Crfb. «Quando l’economia è tornata a essere abbastanza forte, il Congresso e la Casa Bianca avrebbero dovuto smettere di prendere nuovi prestiti e avrebbero dovuto concentrarsi sull’attuazione delle riforme per rallentare la crescita del debito nazionale. Invece, i responsabili politici hanno aumentato il disavanzo e l’indebitamento è continuato a salire a un livello molto alto».

«Stimiamo che l’amministrazione Biden abbia emanato politiche attraverso leggi e ordini esecutivi che aggiungeranno più di 4,8 trilioni di dollari ai disavanzi tra il 2021 e il 2031, o quasi 2,5 trilioni di dollari se si escludono gli effetti del Piano di Salvataggio Americano (la legge firmata nel 2021 da Biden e votata dai due partiti nella emergenza Covid. Ndr). Ciò è in aggiunta ai trilioni di dollari che dovevamo prendere in prestito prima che il presidente Biden entrasse in carica», puntualizza il Crfb, prima del duro verdetto conclusivo: «L’indebitamento eccessivo porterà a continue pressioni inflazionistiche, porterà il debito nazionale a un nuovo record già nel 2030 e triplicherà il pagamento degli interessi federali nel prossimo decennio, o anche prima se i tassi di interesse salgono più velocemente o più del previsto».

Biden ha cercato di negare la realtà del peso delle sue decisioni sull’inflazione. Prima ha parlato di «inflazione transitoria». Poi ha millantato come merito suo il calo del debito federale, che era invece il risultato ovvio della fine delle eccezionali misure costosissime di salvataggio dell’anno precedente. Infine ha manipolato spudoratamente i numeri: in estate 2022, quando l’inflazione era sopra l’8% a livelli mai visti da 40 anni, ha proiettato su base annua il dato di crescita in stallo da un mese all’altro per far credere che l’inflazione fosse “zero”.

Qualche giorno fa, commentando il rapporto governativo di settembre che ha ribadito il +8,2% di inflazione annua, ha ridicolmente tentato di sostenere che è invece del 2%, in questo caso proiettando su base annua, per i prossimi 12 mesi, la crescita media dell’ultimo trimestre (+ 0,5%). Ma il dato mostra piuttosto il consolidamento dell’inflazione sopra l’8%, a un livello tale da terrorizzare il presidente e il suo partito, che temono di perdere Camera e Senato. «Bugie, dannate bugie e Joe Biden», lo ha sbugiardato con questo titolone a tutta prima pagina il New York Post venerdì 14. Il linguaggio è da tabloid, ma la sostanza è la stessa dei titoli di tutta la stampa finanziaria. Il serissimo Wall Street Journal, citando l’8,2%, riporta anche che «i prezzi che escludono il cibo e l’energia (definita dalla Fed core inflation, l’essenza dell’inflazione) hanno visto il maggiore incremento dall’agosto del 1982».

Il problema dell’energia e le conseguenze delle politiche “verdi” di Biden

Le conseguenze delle politiche ultra verdi di Biden sono forse quelle che più minacciano le prospettive elettorali dei candidati del suo partito, perché incidono sul prezzo della benzina alla pompa. Il carburante costa mediamente quasi 4 dollari al gallone, con punte di 7 dollari in California. Nel 2021 il prezzo era ovunque sotto i 3 dollari, ossia il balzo è stato di oltre il 30%. Biden aveva cercato di gettare sulle spalle di Putin e del suo attacco all’Ucraina la colpa dell’inflazione, ma il caro vita in America era già bene in corso a febbraio, prima dell’invasione.

Sulla questione dell’energia, il problema di Biden non è però l’inveterata abitudine a mentire, pratica che gli è sempre stata perdonata dai media del main stream in ogni occasione (la più vergognosa e clamorosa, forse, è stata la copertura pre-elezioni 2020 delle malefatte del figlio Hunter, anche dopo la scoperta dei suoi famigerati computer). No, sul tema del petrolio e del cambio di clima Biden è il poster imbarazzante di un presidente democratico, allineato al Green New Deal della Ocasio Cortez, ipocrita e contraddittorio al di là della vergogna.

Appena eletto, ricordiamo, ha dichiarato guerra totale all’energia fossile. Ha cancellato la Keystone Pipeline, l’oleodotto strategico che era stato concordato con il Canada. Ha chiuso i giacimenti petroliferi dell’Arctic National Wildlife Refuge in Alaska. Ha ordinato alle agenzie governative del credito di non dare prestiti alle imprese petrolifere, del gas naturale e del carbone, e ha pressato i fondi pensione e gli asset manager dei fondi comuni a non investire nelle aziende del settore. Ha dato meno concessioni di ogni altro presidente alle società che hanno chiesto di poter estrarre petrolio e gas naturale sui terreni federali.

In poche parole, ha invertito il trend che aveva portato gli Usa per la prima volta all’indipendenza energetica, risultato di straordinario rilievo per l’economia e la sicurezza nazionali. Purtroppo, Biden ha vinto questa sua guerra, e ora paga a carissimo prezzo la “vittoria”. L’America non è più indipendente sul piano dell’energia, e lui si è dovuto inginocchiare davanti ai dittatori di Iran e Venezuela, Paesi grandi produttori, perché estraggano più greggio.

È disposto persino a togliere le sanzioni all’Iran e a firmare ancora, con la Russia come partner, il patto nucleare che Trump aveva stracciato. E vuole togliere le sanzioni anche a Maduro, il dittatore venezuelano comunista con cui gli Usa non hanno relazioni ufficiali. Ma, e questo è il caso più eclatante, ha dovuto subire dall’Opec lo schiaffo di una decisione gravissima per il fabbisogno di petrolio mondiale e per i prezzi della benzina in America: il taglio della produzione di due milioni di barili al giorno, deciso malgrado la Casa Bianca avesse chiesto di rinviarla dopo il voto di medio termine.

L’Opec, l’organizzazione dei paesi produttori di petrolio, è guidata di fatto dall’Arabia Saudita, e Biden è riuscito a guastare il rapporto tra gli Usa e la alleata araba più importante con una serie di dichiarazioni dure e di mosse diplomatiche e militari strategicamente suicide.

Dopo aver promosso da due anni, senza risparmio di misure governative e di retorica verbosa verde, il taglio del petrolio e del gas naturale in casa sua, Biden vuole che i nemici storici, e quelli che lui si è fatto strada facendo, producano all’estero il petrolio che lui non vuole sia prodotto in America.

Glauco Maggi

Giornalista dal 1978, vive a New York dal 2000 ed è l'occhio e la penna italiana in fatto di politica, finanza ed economia americana per varie testate nazionali

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