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di Glauco Maggi

Due destini per due frontiere. Usa il miraggio, Russia la fuga

Glauco Maggi

5 ottobre 2022

Due destini per due frontiere. Usa il miraggio, Russia la fuga

Il fenomeno dell’immigrazione dalla Russia di Putin all’America di Biden. Due frontiere a confronto.

In questi giorni c’è un modo drammatico, impressionante nella sua immediatezza, per giudicare il successo di una società rispetto a un’altra. Prendiamo l’America e la Russia, e non solo perché le due potenze si stanno facendo in Ucraina, al di là della forma, una guerra militare non direttamente dichiarata. Gli Stati Uniti e l’ex Unione Sovietica hanno da decenni due regimi di governo opposti in termini di democrazia e libertà, ed è l’ironia della storia a fornire nello stesso momento, oggi, istantanee drammatiche sulle opposte conseguenze delle politiche dei rispettivi sistemi, e governi.

Da una parte i cittadini russi fanno la fila ai confini, dall’interno dell’ex “paradiso dei lavoratori”, per tentare di emigrare nelle nazioni limitrofe: Armenia, Bielorussia, Georgia, Mongolia, Kazakhstan, Azerbaijan, Lettonia, Estonia, Finlandia, Norvegia. Ovunque, in centinaia di migliaia, vogliono mettersi in salvo dal reclutamento forzato nell’esercito, imposto dal Cremlino, di almeno un milione di uomini giovani e vecchi da mandare al fronte in fretta e furia per tamponare le perdite. Putin ha risposto facendo presidiare i porti di uscita, oltre che dalle normali guardie frontaliere, da agenti di polizia che controllano che non escano i riservisti già nelle liste dei richiamati dall’esercito. Ma soprattutto per rallentare, in generale, la fuga di massa in corso dal giorno in cui la Russia ha lanciato l’evasione: da metà marzo si stima che non meno di mezzo milione di russi ha abbandonato il Paese.

Dall’altra parte del mondo i valichi di frontiera, dal Texas alla California, sono presi d’assalto, in questo caso dall’esterno, da masse di messicani, centro-americani, sud-americani, ma anche di gente che arriva da Asia, Africa, Medio Oriente. Tutti che cercano di entrare. E da quando Biden è presidente sono oltre 4 milioni i migranti che sono stati ufficialmente fermati al confine, un numero per difetto in quanto non tiene conto di chi si è infiltrato senza farsi arrestare.

Immigrazione russa e americana a confronto

Il primo esodo, quello dalla Russia, è il film di un fallimento bellico, economico, sociale, simboleggiato dalla fuga disordinata dei “cervelli” della fascia alta e medio-alta occidentalizzata; dei nuovi ricchi minacciati dalle sanzioni occidentali ai loro affari; dei dissidenti contrari alla guerra e a rischio di galera per averlo detto. Quella “riserva” più o meno sommersa, in altre parole, che avrebbe potuto dar vita alla Russia moderna, verso uno stabile e prospero futuro.

Assistiamo invece, qui, al secondo epilogo (il primo ci fu con il crollo del Muro di Berlino oltre 30 anni fa) della grande rivoluzione marxista che vaneggiava di produrre «l’uomo nuovo socialista», e che ha invece generato un Paese illuso e nostalgico, inevitabilmente corrotto nel suo Dna: incapace di risollevarsi e realizzarsi in un pieno progetto sociale e politico democratico, malgrado la dissoluzione dell’Urss comunista, tanto da affidarsi a uno Stalin redivivo.

L’altro fenomeno migratorio, di senso diametralmente opposto, è la prova di un modello sociale di successo, senza paragoni nella Storia. L’espressione che si usa in Borsa per descrivere l’umore di un investitore verso una certa azione quotata - “votare con i piedi” per indicare l’atto di chi acquista o vende quel titolo- vale per gli Stati Uniti fuor di metafora, in assoluto. Dalla fine dell’Ottocento si sono avvicendati qui milioni di immigrati dai popoli di tutti i continenti. Archiviati e assorbiti con alterne fortune, in una storia infinita di successi e di fallimenti individuali; e persino con “pagine” ufficiali vergognose verso certe etnie di immigrati: dalla legge specifica contro i cinesi imposta dai sindacati (il Chinese Exclusion Act votato dal Congresso il 6 maggio 1882, la prima norma restrittiva negli Usa), alle discriminazioni razziste degli americani arrivati all’inizio dell’Ottocento contro gli ebrei e gli italiani in cerca di casa e lavoro nel Novecento, per fare un paio di esempi.

Ma il filo rosso del progresso economico, sociale, industriale, scientifico, un portatore dello spirito delle libertà e dei diritti umani emanato dalla Costituzione più vecchia del mondo, non è mai stato reciso e si è complessivamente rafforzato e imposto a livello di società. Nel tempo, è maturata una potente e crescente attrazione - il “sogno americano” - in ogni parte del mondo e per andare incontro a tutte le aspirazioni umane: da chi ambisce al successo personale passando dalle eccellenze dei master universitari, a chi fugge dai teatri della disperazione - guerre, dittature, oppressione religiosa, miseria - di Nazioni fallite, senza speranza.

Oggi in America l’afflusso degli arrivi da fuori è, per numero in unità di tempo, ai suoi massimi storici. Ma mentre l’immigrazione regolare, quella che passa silenziosa per la trafila burocratica prevista (le carte verdi per chi vuole vivere qui stabilmente, i visti turistici e i permessi di studio e di lavoro, temporanei), scorre sotto traccia, invisibile e bene accetta, di sicuro insufficiente per le esigenze delle imprese (dall’agricoltura stagionale alle aziende tecnologiche e alle startup), la marea degli irregolari dal sud e dall’est della Terra è diventata un dramma sociale ed è entrata tra i più importanti temi di dibattito per il pubblico e tra i due partiti - insieme all’inflazione e alla paura della recessione - a sei settimane dal voto del prossimo novembre che rinnoverà la Camera e un terzo del Senato.

La previsione della centralità del tema dei clandestini si è consolidata nei fatti, tanto che alla crisi del confine meridionale e alle conseguenze sulla società americana, erano stati dedicati numerosi approfondimenti, tra cui il rapporto tra inflazione e immigrazione e i favoreggiamenti di Biden all’immigrazione clandestina.

Nelle settimane scorse, i giornali sono stati finalmente costretti a dare maggiore attenzione alla questione dell’immigrazione clandestina perché i governatori repubblicani di tre Stati di frontiera, Texas e Arizona (confinanti con il Messico) e Florida (che dista 90 miglia da Cuba) hanno avuto un’idea che ha mostrato gli effetti della politica dei confini aperti, senza alcun filtro per chiunque si presenti alla frontiera, di Biden.

Chi non ha documenti, infatti, deve solo dire che intende chiedere asilo e viene lasciato libero di andare dove vuole nel Paese, con il solo impegno di presentarsi da un giudice, mesi o anni dopo vista la coda di milioni di richieste, per discutere il suo diritto alla definitiva permanenza. Ovviamente la grande maggioranza non si presenta nemmeno alla convocazione, e si aggiunge quindi ai 12 milioni circa di “clandestini” che vivono da anni negli Stati Uniti.

L’immigrazione incontrollata

Il paradosso è che New York, Chicago, Martha’s Vineyard, le tre città finite in cronaca in quanto bersaglio dei governatori del Gop, hanno sindaci Dem e da anni si sono dichiarate formalmente “città santuario”. Sono le amministrazioni locali che non collaborano con il governo federale, cui spetta formalmente il controllo sulla cittadinanza dei residenti. Non cooperano neppure nella repressione, prevista dalla legge, dei clandestini sospettati di qualche crimine: se la polizia municipale li arresta accusandoli di aver commesso un reato, ma poi la magistratura ordina di liberarli, gli agenti municipali non preavvisano, di proposito, l’Fbi del momento in cui avviene il rilascio.

Di fatto i sindaci, che sono i capi delle polizie locali, negano agli agenti federali la chance di perseguire eventuali reati federali commessi dai clandestini lasciati andare. I quali, come minimo, sono colpevoli di essere entrati illegalmente in America.

I tre governatori degli Stati repubblicani, e i sindaci delle città di frontiera che con i propri bilanci hanno da gestire comunque, anche senza essere “santuari”, le centinaia di migliaia di clandestini “sdoganati” da Biden, hanno mandato alcune migliaia di sudamericani nelle tre città simbolo citate sopra. L’immigrazione irregolare è stata finora una patata bollente a intero carico delle sole comunità del Sud. Ora è diventata una patata che scotta anche nelle metropoli del Nord Est.

«Così provano l’effetto che fa», è ciò che sostengono i governatori del Gop accusando i colleghi Dem di ipocrisia. Il loro intento non è però la sola ripicca dimostrativa. Vogliono costringere i Dem “locali” a far cambiare a Biden la politica federale dei confini aperti: i due milioni e rotti di clandestini degli ultimi 12 mesi, accalcati in una fila senza fine al confine sud, saranno pure la prova che l’America è un ambito “paradiso delle genti”, agli antipodi della Russia. Ma di troppo “amore” si rischia di morire, e l’allarme sta facendo anche presa sull’elettorato: secondo la media dei sondaggi di RealClearPolitics, oggi, il 58,4% dei cittadini boccia Biden sul tema dell’immigrazione, e solo il 35%, uno su tre, approva il suo operato.

Glauco Maggi

Giornalista dal 1978, vive a New York dal 2000 ed è l'occhio e la penna italiana in fatto di politica, finanza ed economia americana per varie testate nazionali

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