Petrolio, l’OPEC spiazza tutti. L’eccesso di offerta è davvero alle porte?

Claudia Cervi

6 Ottobre 2025 - 11:56

Ecco perché il prezzo del petrolio resterà bloccato tra 60-70 dollari ancora a lungo.

Petrolio, l’OPEC spiazza tutti. L’eccesso di offerta è davvero alle porte?

Alla fine, ha vinto Mosca. L’OPEC+ ha deciso di aumentare la produzione di petrolio di 137.000 barili al giorno da novembre. Gli analisti si aspettavano un incremento di almeno 140.000 barili (qualcuno addirittura mezzo milione) ma il cartello ha scelto la via della prudenza. Una decisione che riflette lo stretto legame tra prezzi e politica.

L’Arabia Saudita, che avrebbe voluto spingere su una produzione più ampia per conquistare nuove quote di mercato, ha dovuto piegarsi alla linea imposta da Mosca. La Russia, che produce circa 9,25 milioni di barili al giorno contro i 10 milioni pre-guerra, ha bisogno di tenere i prezzi abbastanza alti da finanziare le proprie casse, ma non troppo da riattivare la concorrenza americana dello shale oil. Così, ha imposto la moderazione.

Il risultato è un mercato sospeso, quasi immobile. Il prezzo del greggio resta intrappolato tra due estremi: non abbastanza basso da scatenare un crollo, ma nemmeno sufficientemente alto da far gridare al rally. Una zona grigia che alcuni analisti, come Phil Flynn del Price Futures Group, definiscono il “purgatorio del petrolio”: un equilibrio instabile che serve tutti, ma non soddisfa nessuno.

Prezzi e surplus: il paradosso del greggio

Dietro la calma apparente di prezzi stabili, si nasconde una partita serrata. Da settimane, il mercato vive nell’attesa di un presunto eccesso di offerta. Bloomberg ha segnalato milioni di barili mediorientali rimasti invenduti sul mercato spot, alimentando i timori di un rallentamento della domanda da parte di Cina e India. Ma la decisione dell’OPEC+ di limitare l’aumento della produzione ha spiazzato tutti, riportando equilibrio dove ci si aspettava un’ondata di barili.

Il Brent, che nei giorni scorsi era scivolato sotto i 65 dollari al barile, ha reagito con un lieve rimbalzo. Allo stesso modo il Wti (sceso in area 60). Più che una questione di domanda e offerta, si tratta di una mossa politica: il cartello non vuole inondare il mercato e compromettere i prezzi, anche a costo di frenare il proprio piano di riconquista delle quote globali.

Goldman Sachs parlava di un aumento “più corposo”. Invece, l’OPEC+ ha scelto di sorprendere tutti con una manovra chirurgica, fatta per pilotare le aspettative e preservare i margini di profitto. Una scelta che smentisce la narrativa del “surplus imminente”: per ora, l’eccesso di offerta è più una paura psicologica che una realtà concreta.

E con l’inverno alle porte, la domanda di combustibili per il riscaldamento potrebbe rapidamente assorbire i barili in più. La Russia ha anche esteso il divieto di esportazione di benzina fino a fine anno, mentre i tagli alle esportazioni di diesel riducono ulteriormente l’offerta sul mercato. Non esattamente il contesto ideale per un crollo dei prezzi.

OPEC, Russia e Cina fanno il mercato del greggio

L’ultima riunione dell’OPEC+ ha reso evidente una verità: oggi il mercato del petrolio è un triangolo di potere tra Arabia Saudita, Russia e Cina. I primi due decidono quanto produrre; la terza, quando e quanto comprare.

Da un lato, Riyad tenta di ampliare la propria influenza, puntando a una produzione più alta per contrastare Stati Uniti, Brasile e Guyana. Dall’altro, Mosca frena per tenere alto il prezzo del barile e difendere le proprie entrate. In mezzo, la Cina osserva e riduce gli acquisti quando il prezzo sale, accumula scorte quando il mercato si raffredda.

Da aprile, i Paesi OPEC+ hanno aumentato la produzione complessiva di oltre 2,5 milioni di barili al giorno (pari al 2,5% della domanda globale). Ma nonostante questi numeri, il prezzo si muove poco, in un intervallo compreso tra i 60 e i 70 dollari, una zona di comfort che accontenta tutti: Mosca, Riyad e perfino Washington.

In ogni caso, l’equilibrio è fragile e può bastare un piccolo segnale per cambiare tutto: un inverno più rigido, nuove sanzioni energetiche o una mossa cinese possono spostare il mercato in poche settimane. Ma per ora, il petrolio è sotto controllo.

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