Quel pericoloso abisso che divide lo spot di McDonald’s dalla muta rabbia di Trieste

Mauro Bottarelli

24/07/2022

25/07/2022 - 13:43

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Nel capoluogo giuliano, la finlandese Wärtsilä ferma la produzione di motori a 4 tempi: 700 posti di lavoro a rischio. Un’anticipazione di quanto ci attende in autunno. In un Paese ostaggio delle app

Quel pericoloso abisso che divide lo spot di McDonald’s dalla muta rabbia di Trieste

Affrontare certi argomenti comporta un rischio immediato e automatico: l’accusa di demagogia. O vetero operaismo. Ma c’è qualcosa di terribilmente pericoloso nell’abisso che in queste ore divide l’idea che abbiamo del nostro Paese e la sua realtà, reso ancora più nefasto da due mesi di campagna elettorale senza esclusione di promesse e dalla certezza di un autunno che, chiunque esca vincitore dalla urne, sarà durissimo.

La Wärtsilä è un’azienda finlandese che fino a dieci giorni fa avanzava proposte e progetti in seno al PNRR e presso il MISE. E ne aveva diritto: il suo stabilimento nel polo triestino di San Dorligo della Valle garantisce lavoro a circa 900 operai più l’indotto. Quindi, altrettante famiglie. Poi, ecco che qualcosa si spezza: la produzione dei motori a 4 tempi viene trasferita in patria, una delocalizzazione strategica e non da dumping. Nel capoluogo giuliano resteranno le attività di ricerca e sviluppo, vendita, project management, sourcing, assistenza e formazione. Ma la carne e il sangue, se ne vanno. A rischio, fra occupati diretti e indotto, sono 700 posti di lavoro. Non a caso, i dipendenti hanno immediatamente dato vita a proteste a oltranza ai cancelli della fabbrica, affiancati dalla solidarietà di un intero territorio che ha deciso di bloccare ai valichi le merci dirette alla Wärtsilä.

Dura anche la reazione delle istituzioni, in primis il presidente della Regione, il leghista Massimiliano Fedriga, subito affiancato da Confindustria e Fincantieri. Per mercoledì è previsto un incontro al MISE ma l’azienda ha già reso nota la sua intenzione di non recedere: I dipendenti del polo triestino sono stati encomiabili in questi anni ma la produzione torna in Finlandia. L’altro giorno, lavoratori e cittadinanza si sono ritrovati sotto un sole di rame in Piazza Unità d’Italia per protestare e chiedere che una fabbrica d’eccellenza non chiuda, pronti a qualsiasi sacrificio per difendere il posto di lavoro. Apparentemente, tutto inutile. I media hanno parlato poco della Wärtsilä. Forse perché la Finlandia è fresca di adesione alla Nato, quindi occorre mostrare riguardo.

In compenso, Trieste ci sta offrendo un’anticipazione tanto drammatica quanto dignitosa e pacifica di quanto ci attenderà in autunno. Proprio a ridosso delle elezioni del 25 settembre. Quando la crisi energetica si abbatterà sul nostro Paese e sui comparti industriali che operano come fornitori e subfornitori di quel Nord Europa che a sua volta gravita attorno all’economia tedesca, ormai palesemente in fase pre-recessiva. Il prezzo del gas ha colpito duro. Durissimo. Ma qui ancora ci limitiamo alle grida di dolore di imprenditori che fanno i salti mortali per pagare bollette stratosferiche e tenere aperto, garantendo lavoro. Fra poche settimane, la prospettiva sarà quella di contare le saracinesche che non si alzeranno più. Ce lo dice Trieste con i suoi lavoratori encomiabili lasciati per strada.

Non parliamo di un territorio depresso. Siamo nel pieno della fu Mitteleuropa, crocevia di commerci, terra laboriosa e per questo ricca. Anche di infrastrutture, rispetto a parti del Paese che invece scontano in partenza dei gap strutturali che diverranno a breve delle sentenze di morte. E non si tratta di pessimismo, si tratta di vedere quali siano i prezzi dei futures del gas naturale da qui a inizio 2023 e sulla prospettiva di 12 mesi per il mercato tedesco: siamo ampiamente sopra i 330 euro per MWh. Impossibile resistere, persino per l’industria dal profilo di teflon della Germania. A cascata, quella crisi colpirà chi produce e vende macchinari industriali o componentistica. I volanti o gli specchietti retrovisori delle automobili, ad esempio.

Tutto questo è qui, a poche settimane di distanza. Trieste è lo spoiler, volendo usare un linguaggio all’avanguardia. La politica? Convoca le parti al MISE, sapendo fin da principio che sarà inutile. Eppure, quella stessa azienda avanzava progetti presso il medesimo ministero e occhieggiava ai piani del PNRR: poi, di colpo, addio. Fra proteste formali e quasi effettate, stanche come le membra sotto questa calura. La stessa sotto cui hanno protestato l’altro giorno un migliaio di persone, fra sudore, rabbia e qualche lacrima. Mentre in tv andava in scena a reti più o meno unificate la pantomima del Senato e l’addio strappalacrime della Camera.

E non solo. In onda con cadenza asfissiante, in questi giorni va anche il nuovo spot di McDonald’s. Multinazionale che, giova dirlo subito, in Italia investe e parecchio, garantendo migliaia di posti di lavoro. Benemeriti. Il problema è l’immagine che emerge da quella reclame, come si diceva un tempo: il padre paziente fino alla dabbenaggine, i due figli capricciosi fino alla rivalutazione dei laogai cinesi e, sopra tutto, la nuova app. Con la quale, stando alla trama dello spot, puoi ordinare il tuo pasto comodamente seduto al tavolo. Di lì a poco, una cameriera te lo porterà oppure potrai fare l’enorme fatica di alzare le terga e andare a prendertelo da solo al banco. Oppure ancora ti verrà consegnato nel parcheggio, pronto a correre a casa prima che il BigMac si raffreddi. Il progresso, una vera meraviglia.

Ma un Paese che rivendica la comodità come diritto di tutti, mentre a Trieste si lotta per quello a una busta paga, non è destinato ad andare lontano. Ne a uscire indenne dall’autunno che ci attende. Perché, a volte, l’approccio culturale è più importante di una convocazione al MISE. Se un’intera economia sembra far riferimento e glorificare come proprio perno, quello che è un cortocircuito pavloviano di know how finalizzato alla consegna a domicilio di pizza o l’hamburger, ciò che si ottiene è un Paese sul divano in pantofole, mentre fuori c’è la guerra. E tutt’intorno, una spirale di riders in consegna permanente.

Certo, le app fanno molto Silicon Valley. E fanno molto figo, diciamolo. Addirittura, ti liberano dalla fatica immane di fare quattro metri e cinque minuti di coda in piedi al bancone di McDonald’s. Ma i motori a 4 tempi fanno molto Pil. E quei lavoratori lasciati da soli in piazza, sotto un sole di rame, fanno molto incazzare. Attenzione, perché il 25 settembre potrebbero vendicarsi, magari replicando la performance di disillusione dell’astensione alle amministrative. E non solo quelli di Trieste, ovunque. Perché lontani dai palazzi e dalle cronache di giornale, la pentola a pressione dell’economia reale italiana sta fischiando come un treno. E ignorarla, credendola una notifica sullo smartphone, stavolta potrebbe lasciare il segno.

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