Il tribunale ha tolto i bambini alla famiglia nel bosco, almeno per ora, in tutti i sensi (i piccoli sono in una struttura protetta e la responsabilità genitoriale è sospesa). Ma perché?
Il caso della famiglia nel bosco sta tenendo tutti gli italiani con il fiato sospeso. Catherine Birmingham e Nathan Trevallion stanno vivendo l’incubo più spaventoso di ogni genitore da quando il tribunale de L’Aquila ha disposto l’allontanamento (provvisorio) dei figli dal casolare e sospeso la responsabilità genitoriale. La bambina di 8 anni e i gemelli di 6 (un maschio e una femmina) sono ora collocati in una struttura protetta, dove la madre può stare con loro durante il giorno, mentre il padre fa loro visita cercando di rassicurarli con qualcosa di familiare: frutta fresca, giocattoli e vestiti caldi.
Una sofferenza con cui è difficile non empatizzare, soprattutto quando le notizie degli ultimi giorni ci riportano ad autentiche tragedie che hanno visto il fallimento della tutela dei minori. Così, la petizione dei cittadini che contesta questo provvedimento ha già superato le 85mila firme, coinvolgendo sempre di più anche l’attenzione politica. Molti criticano fortemente l’azione del tribunale, altri (pochi) ritengono che l’intervento fosse effettivamente necessario, ma tutti vogliono capire cos’è successo davvero.
Proviamo quindi ad approfondire le motivazioni che hanno spinto il giudice e prima ancora il servizio sociale a ritenere inidonea la famiglia e l’abitazione. Nel farlo, dobbiamo ricordare che si tratta degli unici soggetti legalmente competenti alla tutela dei minori, un interesse prioritario per la legge e per lo Stato. Ciò però non toglie che almeno dal punto di vista emotivo questa storia tiri fuori una stortura enorme per il nostro Paese e non si può tacere ora che tutto è ancora da scrivere.
Nessuno può ancora sapere come finirà la storia della famiglia nel bosco, un esito che dipende tanto dalle istituzioni quanto dai genitori, ma su cui tutta la popolazione dovrebbe interrogarsi. L’avvocato della famiglia, Giovanni Angelucci, è stato chiaro “I provvedimenti non si commentano, ma si impugnano. Per questo faremo ricorso”, quindi certi che la giustizia farà il suo corso (magari aiutata dai riflettori puntati) a noi restano invece il diritto e il dovere di commentare.
Perché hanno tolto i bambini alla famiglia nel bosco
Spesso, se non sempre, i casi che suscitano indignazione mediatica sono facilmente spiegabili e del tutto coerenti con il nostro ordinamento e i suoi principi. Questa volta, però, sembra più che lecito avere dei dubbi sull’interpretazione che ci è stata restituita. La valutazione degli assistenti sociali, su cui si basa essenzialmente il provvedimento provvisorio, individua diverse criticità nello stile di vita della famiglia nel bosco. Il casolare in cui vivono non ha l’agibilità, è situato in una zona di rischio sismico, non ha impianti a norma né servizi igienici.
Questo significa che ci sono pericoli dal punto di vista igienico e di sicurezza che devono essere risolti per garantire ai piccoli e all’intera famiglia un’abitazione adatta e confortevole. Su questo c’è poco da dire, se non auspicare che venga raggiunto un incontro per risolvere i problemi di sicurezza di ordine pratico. C’è bisogno di un immobile sicuro, abitabile e stabile che non metta a rischio la famiglia. Non dobbiamo però passare da questo punto sacrosanto a una rivoluzione forzata dello stile di vita e della libera scelta, condivisibile o meno che sia, dei genitori. I bimbi non stanno nello sporco o al freddo, usano l’acqua del pozzo, si scaldano con i camini e hanno un bagno a secco per le necessità quotidiane.
Insolito nel 2025, ma non per i nostri nonni e per chi abita nei casolari più remoti. Per i figli di città sarebbe un disagio enorme, senza dubbio, ma è anche vero che le comodità hanno un prezzo da pagare: smog, criminalità, sovraesposizione alla tecnologia e così via. Ma veniamo a un altro punto del provvedimento, uno dei più importanti: la socializzazione. Si contesta infatti che i bambini non abbiano possibilità di confrontarsi con i propri pari, circostanza da cui possono derivare problemi seri. Questo è senza dubbio vero, ma sembrerebbe che un minimo di interazione sociale ci sia, sebbene con bambini che conducono uno stile di vita simile.
L’obbligo scolastico, che comunque non inizia prima dei 6 anni, non riguarda la socializzazione dei minori, altrimenti sarebbe impossibile praticare lecitamente l’homeschooling. Non si può quindi usare la mancata frequenza scolastica per accusare questa famiglia di essere isolata, per quanto sia doveroso difendere tutti i diritti dei minori. I bambini hanno bisogno e diritto di interagire con i propri pari e non essere isolati, ma sicuramente i genitori potranno migliorare questo aspetto senza dover stravolgere la propria scelta educativa.
C’è poi la questione dell’istruzione, visto che la famiglia pratica l’homeschooling. Quest’ultimo è permesso in Italia ma deve essere autorizzato e supervisionato. Secondo quanto riportato dal legale della famiglia sarebbe tutto in regola, quindi basterà che i bambini si sottopongano annualmente al test scolastico previsto per confermare l’apprendimento e anche questo metodo potrà continuare. Insomma, ci sono davvero delle correzioni necessarie e questo non significa che i genitori non abbiano a cuore il bene dei figli, così come il duro intervento del servizio sociale e del tribunale è stato certamente assunto nel loro interesse. I genitori dovranno ora impegnarsi almeno il doppio e recepire le indicazioni delle autorità, collaborando per assicurare di poter crescere i tre bambini in condizioni ottimali, in sicurezza e salubrità, anche dal punto di vista sanitario (chiarendo anche la posizione sull’obbligo vaccinale).
Non deve però essere preteso un adeguamento alla vita moderna “ordinaria”, fermo restando che tutti gli sforzi devono essere orientati nel ricongiungimento di questa famiglia, che continua a garantire amore, unione e cura vicendevoli. Il richiamo del tribunale alla coppia, accusata di aver strumentalizzato i figli per provare a orientare la decisione del giudice, forse deve essere letto come un grido di aiuto di due genitori che vivono un’esperienza da brivido. Bambini portati via con urgenza a genitori non maltrattanti, non inadatti ma istruiti, capaci e in salute. Non è questo ciò che l’Italia vuole vivere, soprattutto se così discrepante con il modo in cui vengono effettivamente trattati i casi di pericolo urgente per i minori.
Ci sono delle basi ottime da cui partire, ma questa famiglia benché amorevole deve modificare diversi aspetti e fare dei cambiamenti, anche perché non possiamo dubitare della bontà delle intenzioni che hanno motivato il provvedimento. I bambini non vengono maltrattati o abusati, ma vivono esposti al rischio sismico e di incendi, quindi fare confronti è poco equo. C’è però bisogno di tornare al vero senso di queste cause, in cui tutto deve ruotare intorno all’interesse e al benessere effettivo dei minori dando supporto, aiuto e indicazioni ai genitori che si muovono con buone intenzioni.
Perché sì, ogni caso è a sé e nessuno può grossolanamente sostituirsi al braccio della giustizia, ma spesso anche i genitori maltrattanti, abusanti o con problemi psichiatrici invalidanti vengono aiutati a mantenere legami con i figli in modo sicuro e opportuno. È giusto che sia così, se effettivamente si riesce a garantire delle condizioni di sicurezza (che abbiamo visto essere il vero aspetto problematico), ma per la famiglia nel bosco questi problemi neanche ci sono.
È inutile citare i diritti costituzionali dei minori dimenticando la pari importanza della famiglia, che infatti viene difesa con cura anche dall’avvocato nominato dal tribunale in tutela dei bambini, che mira alla risoluzione delle criticità (che comunque sono innegabili) e al ricongiungimento familiare. Intanto che la vicenda va avanti, cittadini e politici hanno preso una posizione chiara: vogliamo un lieto fine a questa storia, in tutti i sensi.
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