Per la prima volta un editore fa causa a Google per l’AI nei risultati di ricerca. “Sfruttano il giornalismo”

Giorgia Paccione

15 Settembre 2025 - 11:01

Penske Media, proprietaria di Rolling Stone, Billboard e Variety accusa Google di usare i suoi contenuti editoriali per alimentare le panoramiche AI, riducendo traffico e ricavi.

Per la prima volta un editore fa causa a Google per l’AI nei risultati di ricerca. “Sfruttano il giornalismo”

Un colosso dell’editoria statunitense rompe gli indugi e porta Google in tribunale. Penske Media, società proprietaria di Rolling Stone, Billboard e Variety, ha avviato un’azione legale federale a Washington contro il gigante di Mountain View. Al centro dello scontro ci sono le cosiddette “panoramiche AI”, ovvero i riassunti generati dall’intelligenza artificiale che Google posiziona in cima ai risultati di ricerca.

Secondo l’editore, questi strumenti sfruttano senza autorizzazione articoli giornalistici per rispondere direttamente alle domande degli utenti, sottraendo visite ai siti originali e quindi riducendo le entrate pubblicitarie e da abbonamenti.

Penske ha infatti denunciato un crollo di oltre un terzo dei ricavi da affiliazione rispetto al picco del 2024, e sostiene che la situazione peggiorerà man mano che l’AI Overview verrà estesa a un numero crescente di ricerche.

Abbiamo la responsabilità di lottare in modo proattivo per il futuro dei media digitali e di preservarne l’integrità, tutto ciò è minacciato dalle attuali azioni di Google”, ha dichiarato l’amministratore delegato Jay Penske.

Le accuse nei confronti Google: traffico condizionato e abuso di potere

Al centro delle accuse vi è la presunta pratica di Google di subordinare la visibilità dei contenuti editoriali all’accettazione dell’uso nelle panoramiche AI. In altre parole, se un sito non concede a Google il diritto di integrare i suoi articoli nei riassunti generati dall’AI, rischia di essere penalizzato nei risultati di ricerca tradizionali.

Per Penske, si tratta di una forma di ricatto resa possibile dal dominio quasi monopolistico dell’azienda nella ricerca online. Un tribunale federale, nel 2024, aveva infatti riconosciuto che Google deteneva circa il 90% del mercato statunitense. In assenza di reale concorrenza, l’editore sostiene quindi che la società californiana sia in grado di imporre regole unilaterali, senza riconoscere compensi agli autori dei contenuti sfruttati.

La questione tocca così un punto nevralgico: senza un meccanismo di remunerazione, gli editori rischiano di vedere svuotato il valore del proprio lavoro giornalistico, mentre l’AI di Google si appropria delle informazioni per offrire agli utenti risposte istantanee, scoraggiando il clic sulle fonti originali.

La difesa di Google: “Esperienza migliore e più traffico per tutti”

Google respinge le accuse, sostenendo che i risultati AI rendano la ricerca più utile e che, anziché penalizzare gli editori, allarghino il bacino di lettori indirizzando traffico verso un numero maggiore di siti:

Con AI Overview, le persone trovano la ricerca più utile e la utilizzano di più, creando nuove opportunità per la scoperta di contenuti. Ci difenderemo da queste affermazioni infondate”, ha dichiarato José Castaneda, portavoce della società.

Il colosso di Mountain View ha anche recentemente incassato una vittoria importante sul fronte antitrust: un giudice ha stabilito che non sarà obbligato a vendere il browser Chrome per favorire la concorrenza, deludendo le associazioni di categoria come la News/Media Alliance, che rappresenta oltre 2.200 editori. La stessa ha sottolineato come, a differenza di altri operatori AI, come ad esempio OpenAI, che ha firmato accordi di licenza con testate come Financial Times e The Atlantic, Google non sia incentivata a trattare con gli editori proprio a causa del suo strapotere nel mercato.

Quando si hanno le dimensioni e il potere di mercato di Google, non si è obbligati a rispettare le stesse norme. Questo è il problema”, ha commentato Danielle Coffey, CEO della News/Media Alliance.

La causa di Penske rappresenta quindi un punto di svolta nel braccio di ferro tra editori e big tech. Finora, molte testate avevano denunciato pubblicamente la perdita di traffico generata dai riassunti AI, ma nessun grande gruppo aveva intrapreso un’azione legale diretta contro Google.

L’esito della disputa sarà cruciale. Se i giudici dovessero dare ragione a Penske, potrebbe aprirsi la strada a richieste di compensazione economica e a un ridisegno delle regole per l’uso dei contenuti giornalistici nei sistemi di intelligenza artificiale. Al contrario, un verdetto favorevole a Google consoliderebbe la posizione dominante del colosso californiano, riducendo ulteriormente il potere contrattuale degli editori.

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